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La sfida ambientale in Cina: segnali di ottimismo

di - 15 Marzo 2015
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Nell’immaginario collettivo internazionale la Cina è tuttora sinonimo di un modello del tutto insostenibile sul piano ambientale. Le cose però stanno cambiando. Soprattutto negli ultimi anni è andata crescendo la consapevolezza della necessità di porre mano a misure per invertire la relazione negativa tra crescita economica e qualità dell’ambiente che ha caratterizzato i primi trent’anni di riforme economiche.

Ovviamente la Cina, come del resto tutti i paesi che non hanno ancora raggiunto lo stadio di uno sviluppo economico stabile e maturo, non vuole rinunciare alla crescita economica. Ma si sta progressivamente facendo strada l’idea che tale crescita deve essere resa più sostenibile, ossia deve essere caratterizzata non solo da una maggiore equità distributiva (la Cina ha drasticamente ridotto la povertà assoluta, ma non la disuguaglianza), ma anche da una maggiore compatibilità con la qualità dell’ambiente.

A partire dal periodo delle riforme, ha formalmente avuto una politica ambientale. La prima legge per la protezione ambientale venne approvata in Cina proprio all’inizio del periodo delle riforme economiche, nel 1979; e altre ne sono state approvate negli anni successivi. Ma le prescrizioni, peraltro molto vaghe e generiche di quelle leggi sono rimaste largamente inattuate.

Solo nel 1998 è stata costituita l’Agenzia Statale per la Protezione dell’Ambiente nota con l’acronimo inglese di SEPA (State Environmental Protection Agency), ma si è trattato di una specie di ministero di serie B, con il relativo ministro senza diritto di voto nel Consiglio di Stato (il Consiglio dei ministri cinese).

Ma dieci anni dopo, nel 2008, SEPA è stata trasformata in un vero e proprio Ministero per la Protezione dell’Ambiente (MEP, Ministry of Environmental Protection), il cui ministro non solo ha acquistato diritto di voto nel Consiglio di Stato, ma che è oggi uno dei più importanti membri dello stesso Consiglio di Stato. Al MEP oggi è assegnata la responsabilità nella formulazione delle leggi e dei regolamenti relativi all’ambiente, nonché nella supervisione e nel monitoraggio per l’attuazione di tali leggi e regolamenti. E il MEP ha preso piuttosto seriamente il suo compito.

Un altro segnale dell’importanza che viene ormai assegnata all’ambiente è il ruolo sempre maggiore che viene dato alle Agenzie di Protezione Ambientali (Environmental Protection Bureaus, EPBs) delle province, specialmente di quelle autonome, come Pechino, Shanghai, Tianjin, e la provincia meridionale del Guangdong con capitale Guangzhou (l’antica Canton). Si tratta delle quattro aree più fortemente urbanizzate della Cina che hanno quindi problemi ambientali enormi.

Naturalmente i problemi ambientali accumulati negli anni della crescita accelerata nel periodo delle riforme economiche erano così gravi che non è pensabile che l’impegno evidente, soprattutto della leadership di Hu Jintao e di quella dell’attuale presidente Xi Jinping, sia stato in grado risolverli.

La qualità dell’aria in Cina, specialmente nelle aree urbane, rimane tra le peggiori del mondo. Questo è accaduto, nonostante in molte aree urbane gli impianti più inquinanti siano stati messi fuori uso, soprattutto per il continuo incremento del traffico automobilistico. L’International Energy Agency stima che nel 2030 le vendite di automobili in Cina supereranno quelle di Stati Uniti, Europa e Giappone messi assieme.

Anche per quanto riguarda la qualità dell’acqua la situazione è ancora molto deteriorata, anche se ci sono stati dei miglioramenti. L’inquinamento di fiumi e laghi è molto elevato. L’inquinamento dello Yangtse, già elevato nel suo tratto verso est che interessa grandi città industriali come Wuhan e Shanghai, è destinato ad aumentare con l’estensione della crescita economica verso l’ovest del paese: il simbolo di questo spostamento, Chongquing, la più grande città cinese, conta oltre 30 milioni di abitanti.

È ancora troppo elevata la quota di popolazione della Cina non collegata a un sistema di trattamento delle acque reflue, e che manca di un accesso dignitoso ad impianti idrosanitari. Uno dei problemi ambientali più rilevanti e destinato a diventare sempre più serio in Cina è poi costituito dai rifiuti: la loro produzione è in continua crescita; il 30% dei rifiuti urbani non vengono raccolti, e il 40% viene depositato in discariche non controllate.

L’ultimo piano quinquennale rafforza l’impegno nella promozione di un progresso tecnologico “pulito”, focalizzandosi in particolare sulle nuove sfide che connettono la problematica ambientale a quella energetica; l’obiettivo è quello dello sviluppo delle nuove tecnologie “verdi” soprattutto nel campo energetico; ma anche più in generale quello di far sì che nei nuovi impianti industriali, nella costruzione di nuovi edifici e nei sistemi di trasporto si raggiunga una sempre minore intensità di emissioni di inquinanti per unità di prodotto.

La grande sfida per lo sviluppo sostenibile della Cina è costituita però dal problema energetico. La domanda di energia della Cina è costituita per oltre il 60% dal carbone e per quasi il 20% dal petrolio: si tratta di una struttura molto più squilibrata verso il carbone (il combustibile peraltro più inquinante) rispetto a quanto avviene nei paesi più sviluppati.

La domanda di energia sta crescendo così rapidamente in Cina che il paese è recentemente diventato un importatore netto non solo di petrolio e gas naturale, ma perfino di carbone. Nel 2030 la domanda di energia da parte della Cina supererà il 20% della domanda mondiale, sorpassando gli Stati Uniti come primo consumatore mondiale di energia. I settori dai quali verrà la crescente domanda di energia in Cina sono soprattutto quello dell’industria, quello delle costruzioni e quello dei trasporti.

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