La sfida ambientale in Cina: segnali di ottimismo

Nell’immaginario collettivo internazionale la Cina è tuttora sinonimo di un modello del tutto insostenibile sul piano ambientale. Le cose però stanno cambiando. Soprattutto negli ultimi anni è andata crescendo la consapevolezza della necessità di porre mano a misure per invertire la relazione negativa tra crescita economica e qualità dell’ambiente che ha caratterizzato i primi trent’anni di riforme economiche.

Ovviamente la Cina, come del resto tutti i paesi che non hanno ancora raggiunto lo stadio di uno sviluppo economico stabile e maturo, non vuole rinunciare alla crescita economica. Ma si sta progressivamente facendo strada l’idea che tale crescita deve essere resa più sostenibile, ossia deve essere caratterizzata non solo da una maggiore equità distributiva (la Cina ha drasticamente ridotto la povertà assoluta, ma non la disuguaglianza), ma anche da una maggiore compatibilità con la qualità dell’ambiente.

A partire dal periodo delle riforme, ha formalmente avuto una politica ambientale. La prima legge per la protezione ambientale venne approvata in Cina proprio all’inizio del periodo delle riforme economiche, nel 1979; e altre ne sono state approvate negli anni successivi. Ma le prescrizioni, peraltro molto vaghe e generiche di quelle leggi sono rimaste largamente inattuate.

Solo nel 1998 è stata costituita l’Agenzia Statale per la Protezione dell’Ambiente nota con l’acronimo inglese di SEPA (State Environmental Protection Agency), ma si è trattato di una specie di ministero di serie B, con il relativo ministro senza diritto di voto nel Consiglio di Stato (il Consiglio dei ministri cinese).

Ma dieci anni dopo, nel 2008, SEPA è stata trasformata in un vero e proprio Ministero per la Protezione dell’Ambiente (MEP, Ministry of Environmental Protection), il cui ministro non solo ha acquistato diritto di voto nel Consiglio di Stato, ma che è oggi uno dei più importanti membri dello stesso Consiglio di Stato. Al MEP oggi è assegnata la responsabilità nella formulazione delle leggi e dei regolamenti relativi all’ambiente, nonché nella supervisione e nel monitoraggio per l’attuazione di tali leggi e regolamenti. E il MEP ha preso piuttosto seriamente il suo compito.

Un altro segnale dell’importanza che viene ormai assegnata all’ambiente è il ruolo sempre maggiore che viene dato alle Agenzie di Protezione Ambientali (Environmental Protection Bureaus, EPBs) delle province, specialmente di quelle autonome, come Pechino, Shanghai, Tianjin, e la provincia meridionale del Guangdong con capitale Guangzhou (l’antica Canton). Si tratta delle quattro aree più fortemente urbanizzate della Cina che hanno quindi problemi ambientali enormi.

Naturalmente i problemi ambientali accumulati negli anni della crescita accelerata nel periodo delle riforme economiche erano così gravi che non è pensabile che l’impegno evidente, soprattutto della leadership di Hu Jintao e di quella dell’attuale presidente Xi Jinping, sia stato in grado risolverli.

La qualità dell’aria in Cina, specialmente nelle aree urbane, rimane tra le peggiori del mondo. Questo è accaduto, nonostante in molte aree urbane gli impianti più inquinanti siano stati messi fuori uso, soprattutto per il continuo incremento del traffico automobilistico. L’International Energy Agency stima che nel 2030 le vendite di automobili in Cina supereranno quelle di Stati Uniti, Europa e Giappone messi assieme.

Anche per quanto riguarda la qualità dell’acqua la situazione è ancora molto deteriorata, anche se ci sono stati dei miglioramenti. L’inquinamento di fiumi e laghi è molto elevato. L’inquinamento dello Yangtse, già elevato nel suo tratto verso est che interessa grandi città industriali come Wuhan e Shanghai, è destinato ad aumentare con l’estensione della crescita economica verso l’ovest del paese: il simbolo di questo spostamento, Chongquing, la più grande città cinese, conta oltre 30 milioni di abitanti.

È ancora troppo elevata la quota di popolazione della Cina non collegata a un sistema di trattamento delle acque reflue, e che manca di un accesso dignitoso ad impianti idrosanitari. Uno dei problemi ambientali più rilevanti e destinato a diventare sempre più serio in Cina è poi costituito dai rifiuti: la loro produzione è in continua crescita; il 30% dei rifiuti urbani non vengono raccolti, e il 40% viene depositato in discariche non controllate.

L’ultimo piano quinquennale rafforza l’impegno nella promozione di un progresso tecnologico “pulito”, focalizzandosi in particolare sulle nuove sfide che connettono la problematica ambientale a quella energetica; l’obiettivo è quello dello sviluppo delle nuove tecnologie “verdi” soprattutto nel campo energetico; ma anche più in generale quello di far sì che nei nuovi impianti industriali, nella costruzione di nuovi edifici e nei sistemi di trasporto si raggiunga una sempre minore intensità di emissioni di inquinanti per unità di prodotto.

La grande sfida per lo sviluppo sostenibile della Cina è costituita però dal problema energetico. La domanda di energia della Cina è costituita per oltre il 60% dal carbone e per quasi il 20% dal petrolio: si tratta di una struttura molto più squilibrata verso il carbone (il combustibile peraltro più inquinante) rispetto a quanto avviene nei paesi più sviluppati.

La domanda di energia sta crescendo così rapidamente in Cina che il paese è recentemente diventato un importatore netto non solo di petrolio e gas naturale, ma perfino di carbone. Nel 2030 la domanda di energia da parte della Cina supererà il 20% della domanda mondiale, sorpassando gli Stati Uniti come primo consumatore mondiale di energia. I settori dai quali verrà la crescente domanda di energia in Cina sono soprattutto quello dell’industria, quello delle costruzioni e quello dei trasporti.

La Cina ha fatto comunque notevoli progressi nello sganciare la domanda di energia dalla crescita economica, dato che la “intensità energetica”, ossia l’offerta di energia per unità di prodotto interno lordo si è dimezzata a partire dalla seconda metà degli anni novanta.

La Cina si è fortemente impegnata nello sviluppo delle energie rinnovabili. Nei fatti la Cina è oggi tra i più importanti costruttori mondiali di turbine a vento, di pannelli solari e di impianti fotovoltaici, e spende un ammontare notevole di risorse nel sostenere la produzione di energia da fonti rinnovabili.

È del tutto evidente il ruolo crescente che la Cina è destinata ad avere nelle emissioni future di CO2. Secondo le stime dell’International Energy Agency, intorno al 2030 le emissioni di CO2 della Cina supereranno quelle di Stati Uniti, Europa e Giappone messi assieme.

Quindi, dal punto di vista della comunità internazionale, il contributo che la Cina potrà dare ad una strategia di mitigazione nei confronti del problema del cambiamento climatico è particolarmente importante. Ma fino a pochi anni or sono la sensibilità della Cina nei confronti del problema del cambiamento climatico non era particolarmente evidente. La sensazione è che l’adesione della Cina al protocollo di Kyoto fosse essenzialmente motivata dalla convinzione che gli strumenti di cooperazione internazionale previsti nel protocollo stesso potessero aiutare la Cina nella sua riconversione energetica in modo da aiutare anche il raggiungimento dell’obiettivo di una riduzione dell’intollerabile livello dell’inquinamento atmosferico, soprattutto nelle città.

La Cina sta oggi prendendo atto della serietà del problema del cambiamento climatico in quanto tale; e questo è un passaggio importante, anche se non scompare, e non scomparirà, il proposito strategico di cercare di ottenere il più possibile dalla comunità internazionale per sostenere sia dal punto di vista finanziario che da quello tecnologico le iniziative cinesi sia sul terreno della mitigazione sia su quello dell’adattamento.

Un segno evidente del mutamento dell’atteggiamento cinese nei confronti del cambiamento climatico è anche la recente volontà di accordo con gli Stati Uniti per una riduzione delle emissioni di gas serra.

La Cina sta anche dedicando grande attenzione alla costruzione ecologica delle nuove città. Come si è visto, è ancora enorme la popolazione rurale che tenderà a diventare popolazione urbana. L’idea della classe dirigente cinese è quella di costruire i nuovi quartieri e le nuove città con criteri di elevato risparmio energetico e a bassa emissione. Il settore dei trasporti e quello dell’edilizia assumeranno quindi un ruolo cruciale nell’obiettivo della realizzazione di una economia a basso contenuto di carbonio (low carbon economy).

La costruzione di una “low carbon economy” costituisce una delle caratteristiche dell’obiettivo principale che l’attuale classe dirigente del paese si è posta.

Un punto molto importante riguarda il peso che l’opinione di segmenti della società e del mondo intellettuale e della ricerca attenti alla necessità di una società più “low carbon” può avere sull’opinione pubblica media in Cina, e soprattutto su quella che determina le strategie del Partito Comunista, non solo a livello centrale, ma anche a livello locale. È molto difficile dire a quale punto siamo in Cina a questo proposito. Ma vi sono segnali di progresso verso una sempre maggiore sensibilità ambientale della popolazione specialmente nelle aree urbane dove i problemi sono maggiori e nuovi problemi si presentano, ma anche dove i crescenti livelli di reddito inducono a dare maggiore attenzione ai possibili danni ambientali, specialmente alla salute. Ad esempio sulla stampa si parla oggi molto di più di incidenti ambientali di qualche anno addietro.

La scelta strategica della “leadership” nazionale rimane comunque il pilastro centrale. Nei prossimi vent’anni la Cina dovrà sia aumentare i consumi sia ri-orientare gli investimenti in una direzione tale che i maggiori consumi di beni alimentari, manufatti ed energia abbiano un sempre minore contenuto di carbonio. Tutto ciò può essere deciso solo da una strategia complessiva e nazionale. È la “leadership” nazionale che deve fare le scelte sui nuovi investimenti strategici e incoraggiarli, consapevole della loro urgenza affinché abbiano effetti in un futuro ragionevole. È dunque la stessa “leadership” nazionale che deve percepire i rischi, ma anche le opportunità di una innovazione tecnologica “low carbon oriented”, che tra l’altro contribuirebbe ad avvicinare la Cina alla frontiera tecnologica mondiale.

Ed è ancora nelle mani della “leadership” trasmettere alla popolazione il messaggio che muovere verso un modello di sviluppo “low carbon” ha il grande vantaggio di migliorare nel lungo periodo le vite di milioni di cinesi con lavori più sani, con minori rischi per la salute, con migliore qualità della vita e maggiore sicurezza energetica. Sono oggi molti più che nel passato i segnali che questo sta avvenendo.