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Abuso del diritto ed elusione fiscale: quale regime?

di - 15 Settembre 2014
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In materia tributaria il quadro è profondamente diverso[7]. Tizio non vuole dar fastidio. Vuole evadere un’imposta – o dieci che siano. Poiché è troppo facile essere scoperti se si è evasori totali, mirabilmente sfuggiti alla Guardia di Finanza e all’Agenzia delle Entrate, si cerca di montare una costruzione giuridica che consenta di applicare aliquote meno pesanti – o di evitare del tutto l’imposizione, come nel caso delle operazioni transfrontaliere, oggetto della Raccomandazione della Commissione. È di piana evidenza che, in quanto l’operazione mira soltanto o principalmente ad evitare o ridurre l’imposizione fiscale a proprio carico, l’abuso del diritto trascende i limiti propri del diritto privato ed assurge al livello di attività dolosa[8]. Come tale deve essere trattata, vale a dire prevenuta, accertata e repressa.
Come si è visto sopra, sotto l’influenza dell’equivoca estensione del concetto di abuso del diritto privato a quel particolarissimo settore del diritto pubblico, che è il diritto tributario, il legislatore ha del tutto ignorato il tema della prevenzione e non ha dettato una disciplina ad hoc per l’accertamento e la repressione dell’abuso. Ha semplicemente ritenuto che, in sede di verifica fiscale, sia possibile intercettare operazioni organizzative di qualsiasi genere, volte in primis a eludere qualche imposta. Ha così dettato alcune norme per vanificare gli effetti elusivi dell’operazione e quindi recuperare alcuni redditi a tassazione piena, delegando il Governo a disciplinare in dettaglio questa non semplice materia. Di prevenzione “attiva” nella legge delega non si parla.

4. Sennonché in una materia così complessa e intrinsecamente delicata non è sano ignorare il problema della prevenzione. Perché l’Amministrazione finanziaria arrivi ad esaminare la dichiarazione del contribuente ci vuole molto tempo, come è naturale che sia. In concreto, ci vogliano anni prima che gli amministratori di una data società siano chiamati a spiegare per quali ragioni, in funzione di quali vantaggi non tributari, abbiano fatto una certa operazione – ad es. incorporato un’altra società. È superfluo dire che, a distanza di anni, un accertamento fiscale mirato ad invalidare una rilevante ristrutturazione societaria può porre seri problemi all’impresa, solo a causa del tempo trascorso. Anche se a questo tipo di interventi ex post siamo purtroppo abituati, non vi è dubbio che quando essi investono un sistema organizzato, il loro peso e la loro efficacia paralizzante possano spingersi a livelli molto elevati, fino a porre in dubbio il vantaggio complessivo che si ritrae dall’intervento pubblico repressivo: questo, ovviamente,  da un punto di vista generale e non limitato alle parti in causa. Aggiungasi – e non è fatto di poco conto – che nessun accertamento lontano nel tempo ha un effetto dissuasivo sul piano sociale, come è quello indotto da un ordinato e tempestivo controllo dei comportamenti, quali che essi siano.
Una prevenzione dell’abuso è dunque sommamente auspicabile. È ragionevole pensare che possa ridursi a poco. Nella serie sterminata di caselle, righe e spazi da riempire nella dichiarazione dei redditi non sarebbe difficile prescrivere di evidenziare tutte le operazioni concatenate o organizzative che hanno avuto un impatto sul carico tributario. Vendite e riacquisti, spin-off, incorporazioni etc. etc. sono alcuni tra i mille esempi di operazioni che possono tanto avere una giustificazione sostanziale, quanto non averla – ed esser quindi potenzialmente elusive. I sistemi informatici dell’Amministrazione metterebbero subito in evidenza questi accadimenti; si potrebbe quindi procedere agli accertamenti nella dovuta forma: in tempi rapidi.
Ci si potrebbe spingere più avanti su questa via: e quindi pensare di introdurre l’obbligo di trasmettere all’amministrazione finanziaria tutti gli atti di organizzazione (fusione, scissione etc.) aventi rilevanza tributaria. Questo costituirebbe un formidabile caveat, perché avrebbe un effetto deterrente su iniziative fiscalmente dubbie.

5. Il tema dell’accertamento è difficile, addirittura diabolico. La legge delega è perentoria: gli atti con cui si realizzata l’operazione non sono opponibili all’amministrazione; la prova che l’operazione è stata dettata da ragioni non tributarie incombe sul contribuente. Così, anche se l’operazione di ristrutturazione non avesse realmente avuto finalità evasive, certo è che i nuovi modelli organizzativi, con la fusione finale di A in B, sono frutto di valutazioni imprenditoriali altamente discrezionali sotto molti profili, quello tributario incluso. Come è possibile dimostrare con certezza (questo vuole la legge) che i profili tributari non avevano avuto un peso rilevante nelle decisioni assunte?
Si crea insomma una situazione di grande, preoccupante incertezza. Dato per pacifico che ci sono sempre evasori raffinatissimi, altrettanto certo è che ci sono anche tante imprese e tante persone corrette che si sviluppano ed evolvono vuoi sotto il profilo strutturale, vuoi sotto quello organizzativo. Non sembra accettabile che tutti i contribuenti siano sospetti di evasione, fino al punto di rovesciare l’onere di provare la correttezza tributaria in capo al contribuente. Si stabilisce un clima di incertezza del diritto che inevitabilmente spinge a cercare sempre vie nuove per eludere l’imposizione.
A questo clima di incertezza si deve cercare di porre rimedio.
La soluzione convenzionale tipica sarebbe dettare con legge una disciplina più organica delle procedure anti-elusione. Come si ipotizzava qui sopra, si potrebbe immaginare una soluzione di questo tipo: si dovrebbe stabilire nella legge che l’operazione deve essere comunicata e illustrata a fondo entro n mesi dal suo perfezionamento, con l’indicazione e la valutazione dei vantaggi cui si mira. La relazione al bilancio dovrà esporre analiticamente l’andamento e gli esiti degli interventi. A questo dovrebbe seguire l’obbligo del contribuente di dichiarare nella dichiarazione dei redditi di avere adottato misure organizzative fiscalmente rilevanti; in caso positivo di averle – o non averle – adottate solo per ottenere una riduzione del carico fiscale. Dovrebbe seguire la verifica delle dichiarazioni negative, che, se false, dovrebbero essere debitamente sanzionate.

Note

7.  La letteratura è ampia. Tra i tanti, particolarmente lucidi e chiari, ALTIERI, La codificazione di una clausola generale antielusiva: giungla o wild west, in Rassegna Tributaria, 2014, p. 521; SPOSATO, L’abuso del diritto tributario nella giurisprudenza della Cassazione, edito da Centro di ricerca per il diritto di impresa dalla LUISS, 12.4.2010; GENTILI, Abuso del diritto, giurisprudenza tributaria e categorie giuridiche, in Ianus 1/2009.

8.  È bene dire che il fenomeno non è isolato. Il c.d. abuso tributario del diritto è parallelo a quello dei cd. falsi invalidi. Tutti sanno quanto possa essere difficile circolare in una grande città – e soprattutto fermarsi. Giustamente, da sempre, è il caso di dire, la solidarietà sociale si è espressa riconoscendo agli invalidi agevolazioni per il loro movimento. Documentata l’invalidità, possono ottenere un contrassegno che, applicato sul vetro di un’automobile, consente di circolare anche nelle zone a traffico limitato e di utilizzare parcheggi riservati. Questo favor, che sarebbe in sé una minima compensazione della malattia e della sfortuna che hanno colpito qualcuno, fa gola a tanti, come è ovvio. Ebbene, il numero dei contrassegni che si vedono in giro fa ritenere che il numero di invalidi sia molto elevato, molto superiore a quello che l’esperienza umana suggerisce; e, fenomeno singolare, che l’invalidità colpisca con notevole frequenza persone con redditi vistosi. Questo sembrano dire le automobili di lusso e di straordinaria potenza che si vedono per strada con il contrassegno per gli invalidi bene in vista. Comodissimo, non c’è dubbio: accesso gratuito al centro storico; frequenti parcheggi gratuiti riservati. Ma anche frode. Non si può che dissentire da Cass. 17 giugno 2011, n. 24454, che ha affermato che non ricorre alcun reato nell’uso di un veicolo destinato ad un invalido da parte di persone in condizione di perfetta sanità.

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