Abuso del diritto ed elusione fiscale: quale regime?
1. La legge 11 marzo 2014, n. 23, all’art. 5 ha delegato il Governo ad adottare una disciplina volta alla “revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale dell’abuso del diritto”, in applicazione di una serie di principi e criteri direttivi. Il tema è molto delicato e merita qualche riflessione.
I principi cui si dovrà attenere il Governo nell’esercizio della delega devono essere brevemente riassunti.
Il primo (lett. a) è che “condotta abusiva” è l’uso “distorto”[1] di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio di imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione.
Il pensiero sotteso a queste parole è difficile ed in un certo senso contraddittorio, an-che se ispirato da un’idea pienamente condivisibile. Può essere esplicitato in questi termini: in forza della legge, il livello dell’imposizione fiscale è tipizzato e rigido, con riferimento alle varie attività da cui deriva un reddito. Non è consentito procedere a strutturazioni alternative della realtà di qualsiasi genere, anche se in sé e per sé legittime, al solo fine di trarne un beneficio fiscale: questo comportamento violerebbe infatti il principio della intrinseca rigidità dell’imposizione. In altri termini, per potersi valere di un carico fiscale minore è necessario sviluppare ed organizzare un’attività che per sua natura goda di un trattamento tributario più favorevole, mentre non si può “orchestrare” giuridicamente l’attività dell’impresa in modo da rendere applicabile un regime fiscale più favorevole[2]. È superfluo dire che questo concetto è ricco di equivoci, come si cercherà di chiarire.
Il secondo principio (lett. b) sembra quasi voler razionalizzare il primo. La premessa è che si deve garantire la libertà di scelta del contribuente tra operazioni comportanti “anche” un diverso carico fiscale. Ma questa libertà di scelta chiaramente non può essere illimitata. Perché possa essere esercitata occorre considerare nel merito il vero scopo perseguito: se esso è solo ottenere vantaggi fiscali – che assurgono quindi al rango di causa prevalente dell’operazione – la condotta è “abusiva”. L’abusività non ricorre a condizione che l’operazione sia giustificata da “ragioni extrafiscali non marginali”; ciò può darsi non solo se l’operazione ha una redditività immediata, ma anche se risponde a esigenze di natura organizzativa e determina “un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda del contribuente” (lett. b, 2).
Ciò posto come disciplina sostanziale della condotta abusiva, la legge stabilisce anzitutto che gli strumenti giuridici attraverso i quali si consuma la condotta abusiva “non sono opponibili all’amministrazione finanziaria”, che può quindi disconoscere il risparmio di imposta realizzato dal contribuente (lett. c). Affronta poi (lett. d) il problema della prova. Dispone così: (α) che l’amministrazione debba dimostrare l’esistenza del disegno abusivo nella sua struttura (manipolazione e alterazione funzionale degli strumenti giuridici utilizzati), “nonché la loro mancata conformità ad una normale logica di mercato”; e (β) che, viceversa, gravi sul contribuente l’onere di “allegare” l’esistenza di valide ragioni extrafiscali, alternative o concorrenti, che giustifichino il ricorso agli strumento utilizzati. In vista del giudizio, insomma, l’amministrazione finanziaria assume la veste dell’attore ed il contribuente quella del convenuto, con la non secondaria anomalia che l’amministrazione può “disapplicare” – scilicet, scavalcare – gli strumenti giuridici che avevano condotto al risparmio di imposta: quindi disconoscerlo ed applicare l’imposta o l’aliquota dovuta, senza considerare l’operazione manipolatrice.
Seguono doverose norme sulla motivazione dell’accertamento e sulla necessità di prevedere regole procedimentali che garantiscano il contraddittorio con l’amministrazione e salvaguardino il diritto di difesa[3].
2. Il problema sostanziale – l’elusione fiscale – ovviamente non è solo italiano. Basti ricordare che l’Amministrazione Obama sta agendo presso il Congresso per ottenere una legislazione, addirittura retroattiva, che ostacoli, ed in realtà impedisca, le c.d. “inversions”, cioè l’acquisto che grandi società americane tendono a fare di piccole società, loro fornitrici, situate in paesi a basso carico fiscale in giro per il mondo, al solo fine di procedere poi ad una “incorporazione inversa”: la grande società si fonde nella piccola, e cessa di essere una società con sede negli USA: tutto ciò al solo fine di beneficiare di un carico fiscale molto minore. Il Segretario del Tesoro americano ha sollecitato il Congresso ad adottare in tempi brevi una legislazione che impedisca queste “inversions”, osservando però che il modo migliore per correggere una situazione di questo genere è una riforma tributaria che riduca il tasso di imposizione delle imprese, allarghi la base imponibile, semplifichi il sistema fiscale, chiudendo “vie di fuga”[4].
Anche nell’Unione Europea il problema dell’elusione fiscale è dibattuto. È del 6 di-cembre 2012 la Raccomandazione della Commissione 2012/772/UE sulla c.d. pianificazione fiscale aggressiva, che invita tutti gli Stati membri ad adottare misure per evitare che operazioni transfrontaliere possano fruire di un doppio beneficio fiscale, nel Paese di origine una prima volta e nel Paese di destinazione una seconda[5].
Il problema insomma non è l’elusione fiscale e la lotta contro gli elusori (che aggravano così, indirettamente, il carico per gli altri contribuenti). Il problema è come l’elusione fiscale venga combattuta in Italia e a quale prezzo. In altri termini: il ricorso alla figura “abuso del diritto” è valido per fare diritto?
3. L’abuso del diritto, come la nostra tradizione lo conosce, è una figura emersa in tempi non lontani dall’esperienza del diritto privato. La sua portata è povera, se così si può dire: qualcuno, per le ragioni più varie, esercita un suo diritto al solo fine di dare fastidio a terzi[6] o di acquisire un beneficio, un vantaggio improprio, grazie alla posizione dominante occupata. Il rapporto si svolge sul piano dei “diritti soggettivi” e del loro esercizio in qualche misura extra ordinem; questo ha posto e pone un’esigenza di tutela del terzo leso nei confronti di atti e comportamenti altrui, tanto ricadenti nella sfera dei diritti di qualcuno, quanto mirati direttamente o indirettamente a nuocere. Questi comportamenti, insomma, eccedono dal fisiologico ambito dell’esercizio di un proprio diritto.
Note
2. In realtà, l’abuso può darsi anche per attività non produttive: si pensi alle automobili immatricolate in paesi “paradisi fiscali”: hanno una tassazione minima e sfuggono alle verifiche fiscali in Italia. ↑
3. In sostanza, il legislatore ha introdotto un meccanismo che costituisce la versione italiana del GAAR, General Anti-abuse (o Anti-avoidance) Rule. ↑
4. Il tema ricorre continuamente nei giornali americani. V. ad es. l’articolo di D. GELLES, Obama administration seeks end to inversion deals, nel New York Times del 16 luglio 2014. Il 31 luglio sullo stesso giornale è apparsa la notizia che, secondo le nuove proposte, le società che si trasferiscono oltremare per fini fiscali verrebbero escluse dagli appalti pubblici. ↑
5. La Commissione ha poi pubblicato un Discussion Paper on aggressive tax planning (che si può trovare all’indirizzo Platform/006/2014) nel quale sono specificati molti dei problemi che devono essere affrontati. ↑
6. Come punti di riferimento si possono certamente considerare P. RESCIGNO, L’abuso del diritto, 1988; C. SALVI, Abuso del diritto, v. Enc. Giur., I, 1988 e SALV. ROMANO, Abuso del diritto, v. Enc. d. dir. I, 1958, p. 166 s. ↑