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È possibile recuperare il sogno europeo?

di - 13 Maggio 2014
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Ricercare e perseguire l’«unione tra e nelle diversità»: è questo il difficile com­pito cui un rinnovato spirito comunitario deve tendere, riuscendo a superare gli ostacoli che fino ad oggi sono stati frapposti dal prevalere degli individualismi, delle tendenze egemoniche e di linee comportamentali aduse alla furberia ed al pressapochismo. È questo l’obiettivo cui deve tendere la politica intenzionata a svolgere il ruolo primario suo proprio!
Si ha riguardo, dunque, ad un processo nel quale le modifiche disciplinari dei rapporti infra Stati – per quanto ancorate alle determinazioni espresse dagli accordi intergovernativi cui sono riconducibili – devono caratterizzarsi per la loro riferibilità ad una più matura realtà culturale, alla cui realizzazione di certo contribuiscono gli sforzi compiuti dai paesi UE per il superamento della crisi. Maggiore, reciproca disponibilità, nuove forme di alternatività nei ruoli guida dovranno qualificare un agere che esprima l’esigenza di mettere in comune la gestione del potere inteso come «servizio».
Assume specifico rilievo, in tale contesto, il convincimento che una stretta interrelazione tra i membri dell’Unione non reca beneficio unicamente ai paesi che da quest’ultima possono trarre il supporto finanziario per la loro ripresa economica; bensì anche a quelli che hanno conservato pressoché integra nel tempo la loro capacità espansiva, senza incorrere nelle perdite e nei disagi patiti da altri. Nello specifico, diventerà possibile comprendere che l’unione non reca pernicioso contagio dei «mali» che, per ragioni diverse (dalle quali non vanno escluse eventuali situazioni di cattiva gestione), hanno colpito alcuni paesi europei; al contrario, essa consente di rinvenire in forme di più intensa aggregazione il presupposto di una comune, maggiore forza, tale cioè da trasformare l’interdipendenza in motore propulsivo della crescita.
Ove detta evoluzione culturale abbia modo di affermarsi, sarà forse possibile riscontrare anche l’abbandono da parte della Germania dell’atteggiamento egemonico che contraddistingue la sua partecipazione alle scelte politico economiche dei vertici europei. In prospettiva, gli interventi cui si intende dar corso nell’Unione potrebbero finalmente essere disancorati dagli orientamenti della Corte costituzionale tedesca che, nelle sue pronunce (da ultimo quella del 12 settembre 2012, 2 BvR 1390/12, relativa alla ratifica del Trattato ESM)[8], è chiamata a valutarne l’ammissibilità in base al diritto federale tedesco.
È comunemente nota la posizione che caratterizza tale Paese nei rapporti con gli altri componenti dell’Eurosistema e, in particolare, la sua rigidità, l’intransigenza che contraddistingue l’imposizione di condizionamenti agli Stati in difficoltà; tematica sulla quale ci siamo intrattenuti in altra occasione tralasciando i richiami ai ‘luoghi comuni’ e tentando di individuare una chiave di lettura dell’azione da esso svolta nell’incidenza della cd. sonderweg («via peculiare») sul processo formativo della democrazia tedesca[9]. Vorremmo qui aggiungere solo una considerazione desumibile proprio dalla storia di questo grande Paese: nel perseguire la virtù bisogna evitare che questa si accompagni all’imperio, potendo (in caso contrario) crearsi una miscela esplosiva di imprevedibili conseguenze. È evidente, infatti, che il ruolo guida giustificatamente ascrivibile alla Germania, in ragione del suo peso economico in ambito UE, potrebbe diventare oggetto di intolleranze da parte degli altri componenti della Unione, con inevitabili implicazioni negative anche a suo carico[10].
Ciò posto, si ritiene che esuli dall’ambito della presente indagine l’identificazione degli specifici interventi tecnico giuridici utilizzabili per la realizzazione di un nuovo modello d’incontro (e se esso sia risolvibile in chiave intergovernativa) che consenta di perseguire le finalità dianzi indicate. In questa sede si vuole solo ribadire che l’ipotizzato ridimensionamento del ‘sogno europeo’ previo rinvio dell’aspettativa di unione politica (a tempi fu­turi, di difficile identificazione) dovrebbe, comunque, non incidere sul mantenimento di una costruzione nella quale la ‘coesistenza tra le diversità’ trovi adeguato compendio in una ‘crescita comune’, vale a dire estesa a tutti i paesi aderenti; restando ferma, ovviamente, la prospettiva di differenti gradi di sviluppo, correlati al peso, all’apporto, all’impegno dei singoli Stati.
Si ha ben presente che tale ipotesi ricostruttiva appare riconducibile alla nota tesi dell’Europa ‘a geometria variabile’ ovvero ‘a più velocità’, a fondamento della quale v’è il riconoscimento di una differente intensità partecipativa dei paesi membri al processo d’integrazione comunitaria[11].
Per vero, tale tesi deve ritenersi poco conferente alla ricerca delle soluzioni che qui si propongono, in quanto essa appare sostanzialmente volta a giustificare modalità d’integrazione differenziate; problematica che, nel passato, si è posta in relazione all’allargamento dell’UE (ad esempio: nei confronti dei paesi scandinavi). L’implicita riferibilità, sottesa a detto approccio analitico, ad una realtà caratterizzata dalla permanente separazione tra Stati con diverso grado di sviluppo, ne esclude l’applicabilità al disegno dianzi tracciato che presuppone, invece, una comune, volontaria tendenza all’armonizzazione ed all’equiparazione, la cui sintesi concettuale si realizza per l’appunto in un contesto di unione[12].
Per converso, il rafforzamento dei meccanismi decisionali dell’UE (attuato attraverso un progressivo aumento dei poteri del Parlamento europeo), nel conferire più ampia legittimazione democratica al sistema istituzionale, potrebbe essere d’ausilio nel rinvenire una risposta ai quesiti in precedenza rappresentati. L’individuazione di nuovi schemi ordinatori verrebbe, infatti, ricondotta all’organismo abilitato a definire gli orientamenti e le priorità politiche generali dell’Unione, sì da facilitare la ricerca di forme di miglior coordinamento delle policies destinate all’integrazione economica ed allo sviluppo comune.
Necessita riscoprire la possibilità di attribuire ad istituzioni democratiche comuni la salvaguardia di una crescita equilibrata, da realizzare grazie alle opportunità offerte dalla Unione. È, questa, la meta cui deve tendere un cambiamento che, per quanto concerne l’Eurozona, si proponga diridare valore alla rinuncia della sovranità monetaria (connessa all’introduzione della moneta unica), alla quale dovranno inevitabilmente aggiungersi (nel tempo) ulteriori trasferimenti di poteri e funzioni dalle autorità domestiche a quelle europee.
Al conseguimento di tale obiettivo potrà far seguito la giusta conquista, a livello globale, di un ruolo, conforme alla tradizione storica del ‘vecchio continente’ ed alle sue effettive capacità e potenzialità economico finanziarie (con la possibilità di partecipare, in modalità adeguate, all’assunzione delle decisioni che investono i destini delle nazioni, si pensi ai recenti eventi dell’Ucraina); potrà finalmente addivenirsi all’affermazione di una cittadinanza europea che, nel passato, fu negli ideali dei padri fondatori della Comunità ed oggi permane negli auspici di coloro che ne condividono l’essenza.

Note

8.  Se ne veda in testo in inglese nella Rivista trimestrale di diritto dell’economia, 2012, II, p. 61 ss, con nota di GUARRACINO, Brevi note sulla sentenza della Corte costituzionale tedesca in merito al Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità e sulla collateralisation degli interventi dell’ESM finalizzati alla ricapitalizzazione degli istituti bancari, in http://www.fondazionecapriglione.luiss.it

9.  Cfr. CAPRIGLIONE, Mercato regole democrazia, cit. p. 181 ss.

10.  Cfr. LEMMA – HAIDER, The Difficult Journey Towards European Political Union: Germany’s Strategic Role, in Law and Economics Yearly Review, 2012, p. 390 ss.

11.  Cfr. tra gli altri LETTA E., Passaggio a Nord-Est. L’Unione europea tra geometrie variabili, cerchi concentrici e velocità differenziate, Bologna, 1994, passim; AMATO – PRAUSSELLO, L’unione europea di fronte alle sfide dell’allargamento, Bari, 1994, passim.; DASTOLI, Dimenticare Maastricht?, in Il Mulino, 1993, fasc. 4, p. 711 ss.; MAILLET – VELO, L’Europa a geometria variabile, Torino, 1996, passim.

12.   Vicino alla prospettiva qui delineata deve considerarsi il progetto ideato da Nino Andreatta nel 1993, volendo rilanciare la possibilità di dar vita agli Stati Uniti d’Europa tra i paesi intenzionati a costituire un’unione avanzata e federativa, cfr. l’editoriale visionabile su www.europaquotidiano.it, dal titolo “Stati Uniti ora per Dodici, ma accoglienti”, pubblicato in data 31 marzo 2006.
L’ipotesi di realizzare tale obiettivo partendo da «un nocciolo duro federale, in cui moneta ed esercito fossero unici» appare, infatti, verosimile ai fini di una costruzione che si proponga come «nucleo» di base (voluto da paesi uniti da interessi comuni) per successive aggregazioni, non orientate in via esclusiva al perseguimento di interessi economici.

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