È possibile recuperare il sogno europeo?

Sommario: 1. Il processo d’integrazione europea nelle incertezze del presente. – 2. Il necessario abbandono della politica del rigore. – 3. Pensare ad un’altra Europa.

1.   La recente crisi finanziaria ha costituito un duro banco di prova per un riscontro di validità degli esiti dei Trattati europei, i quali hanno evidenziato i loro limiti di fronte alle intemperie di eventi che hanno fortemente scosso gli equilibri dell’UE. Il processo d’integrazione euro­pea mostra carenze non adeguatamente valutate nel passato, allorché si è creduto di poter agevolmente pervenire, grazie ad un meccanismo di convergenze economiche e giuridiche, a forme avanzate di «omogeneizzazione» tra gli Stati membri. È messa in dubbio la costruzione della ‘moneta unica’.
Un senso di incertezza profonda pervade le popolazioni fortemente provate dalla fase recessiva derivata dalla crisi; esso non è prerogativa esclusiva di alcuni paesi, ma percorre gran parte d’Europa, risvegliando sentimenti euroscettici. Si va alla ricerca delle ragioni sulle quali è radi­cato il malessere presente, si prende atto delle difficoltà sottese all’identificazione di solu­zioni per riavviare la crescita, per porre fine ad una situazione caratterizzata da po­vertà, disoccupazione (soprattutto giovanile), fallimenti e cedimento della speranza.
Critiche severe, ma spesso poco attente nel tener conto della realtà dei fatti, sono sollevate da più parti, ponendo sotto accusa l’euro e, più in generale, l’apparte­nenza all’Unione. Sotto la spinta emotiva di mo­vimenti che cavalcano la ‘tigre del malcontento’ viene auspicato l’abbandono della moneta unica, la fuoriuscita dall’UE.
Cosa è successo? Come si spiega, a distanza di poco più di un decennio dall’introduzione dell’euro, un cambiamento di prospettiva sul futuro dell’Unione di entità rilevante come quella che oggi è dato riscontrare? Possono gli effetti trauma­tici della crisi finanziaria aver causato uno sconvolgimento tanto grave da mettere a rischio la realizzazione del progetto europeo? Questi e similari interrogativi ri­chiedono una risposta che faccia comprendere, plachi l’inquietudine e ridia serenità.
Da qui il compito difficile affidato all’interprete che, nell’analizzare i processi giuri­dici ed economici, deve contestualizzare le sue valutazioni, tentando di estrapolare una linea di lettura (degli accadimenti in osservazione) coerente sul piano logico e conforme ai dati fattuali di riferimento.
Volendo identificate le ragioni che inducono l’Europa a fronteggiare questa difficile prova è bene muovere, come autorevolmente è stato sottolineato, dalla con­siderazione secondo cui «la principale fonte del disincanto, della sfiducia o del rifiuto verso il disegno europeo e innanzitutto verso l’operato delle istituzioni dell’Unione, risiede nel peggioramento delle condizioni di vita e dello status sociale che ha investito lar­ghi strati della popolazione nella maggior parte dei paesi membri dell’Unione e dell’Eurozona»[1]. Deve aversi riguardo, quindi, ad una situazione nella quale il riferimento alla recente crisi finanziaria agisce da fattore catalizzatore nel mettere in rilievo pregresse carenze strutturali degli Stati membri, ovviamente ag­gravandone la entità e, dunque, innalzando ostacoli molteplici alla prosecuzione del cammino intrapreso.

2.      Le misure anticrisi, attivate dai vertici europei, si sono accompagnate alla richiesta (ai paesi in difficoltà) di procedere tempestivamente al risanamento delle situazioni in­terne spesso gravemente deteriorate.
Le sollecitazioni al riguardo mosse dagli Stati cd. virtuosi (ed in particolare dalla Germania) hanno impresso agli interventi di risa­namento una vettorialità orientata al rigore. Le manovre fiscali (nelle quali alla riduzione delle spese pubbliche ven­gono spesso preferite forme di tassazione lineare), le modifiche del sistema pensioni­stico (con soluzioni talora incuranti dei diritti dei lavoratori) finiscono con l’essere avvertite come pesanti imposizioni, sì da generare una diffusa avversità nei confronti della «politica di austerity» di matrice comunitaria.
La pressante esigenza di recuperare disponibilità monetarie – destinate, per un verso, alla riduzione dei debiti pubblici, per altro al risanamento di economie logorate da lunghi periodi di decrescita e da ingiustificati, insostenibili meccanismi (pubblici) d’incentivazione – impatta su una realtà in fase di stagnazione, esasperando le criticità pre­senti in molti contesti nazionali dell’UE. Un dilagante impoverimento delle popola­zioni, preoccupanti livelli di disoccupazione caratterizzano gli anni recenti, mo­strando il ‘volto oscuro’ di un processo involutivo dell’era post-industriale.
Sono tristemente noti il clima di degrado (che, da tempo, imperversa su alcuni paesi dell’Unione) e gli inutili sforzi per contrastarlo compiuti da una politica che ap­pare vieppiù deludente e che dà spazio al malcontento, all’indignazione, alla protesta!
Si individuano i presupposti di una ‘deriva democratica’ che rischia di dar corso ad un sovvertimento, ad un’apertura oscurantistica, alimentata da un’opposizione populista che imputa all’Europa gli effetti nefasti di una situazione che, in gran parte, ha radici lontane, riconducibili ai difetti endemici di taluni Stati, ai limiti ed al disvalore di un’arretratezza culturale che non consente di approfondire, di comprendere fino in fondo le ragioni (rectius: le cause) della presente realtà[2].
Da qui l’opzione per un facile addebito dei mali dell’oggi alle improvvide po­litiche dell’Unione (assunte, di sovente, sulla spinta di un’induzione egemonica della Germania); nonché l’ampio spazio riservato alla critica di una poco ponderata ade­sione al Trattato di Maastricht, al quale si fa risalire l’origine dell’attuale malessere; la sempre più diffusa tendenza ad invocare la fuoriuscita dalla moneta unica ed il ri­torno a quelle nazionali.
Un vento di euroscetticismo scuote l’Europa! Esso annebbia il ricordo dei tanti benefici rivenienti dall’appartenenza all’Unione, dall’integrazione economica a quest’ultima sotteso; per converso, induce a riflettere, a ricercare quali siano stati gli errori di processo, cosa ha prodotto reazioni contrarie al progetto di una unificazione regionale fondata sulla cooperazione e sulla omogeneizzazione, finalizzate al supera­mento delle diversità.

In particolare, si svalutano gli effetti positivi dell’armonizzazione delle regole finanziarie, si trascura di considerare che, solo grazie agli input dell’UE, è stato pos­sibile realizzare la modernizzazione dei sistemi disciplinari (cui hanno fatto seguito livelli di competitività, diversamente non ipotizzabili). Si comprende, peraltro, che la ricerca di una possibile soluzione alla difficile problematica evidenziata dalla crisi non può prescindere dalla riferibilità agli eventi succedutisi in Europa negli ultimi vent’anni; donde l’esigenza di iscrivere l’analisi delle linee evolutive della realtà comunitaria (e delle implica­zioni del processo d’integrazione) nella valutazione del conte­sto socio politico di riferimento. È questa la via da seguire per intendere la causa del ridimensionamento dei vantaggi di un governo dell’economia che, nella prospettiva di un’ineludibile crescita legata al progetto di unificazione della moneta, avrebbe dovuto essere fondato sulla stabilità e sull’equilibrio dei rapporti tra gli Stati membri.
Consegue l’esigenza di far luce sui limiti applicativi delle convergenze economi­che e giuridiche a suo tempo avviate nell’eurozona per consentire alla moneta unica di esplicare i suoi benefici effetti. Al contempo, viene in evidenza la necessità di te­ner conto delle deroghe (all’applicazione del complesso disciplinare europeo) talora consentite nel passato a favore di alcuni Stati membri, determinando forme d’apertura nell’applicazione delle clausole dei Trattati, quali al presente vengono negate ai paesi in difficoltà.[3]
Più in generale, si ravvisa l’opportunità di orientare la ricerca alla focalizza­zione delle possibili interazioni negative della politica del rigore e dell’austerità sulla definizione dell’impianto democratico a base della costruzione di un’Europa mo­derna. La peculiare caratterizzazione dell’UE – disancorata dalla presenza di un compiuto para­digma ordinamentale di tipo politico istituzionale – priva la compagine comunitaria del grado di coesione necessario per accettare vincoli (rectius: sacrifici) avvertiti come imposti ab esterno, vincoli rivenienti soprattutto dalle richieste di paesi che sono stati solo sfiorati dalla recente crisi finanziaria, dalla quale sembra abbiano tratto benefici[4].
Non ci si deve nascondere che, a fronte di un perdurare delle tendenze egemoniche ed autoritarie di questi ultimi, l’accordo su cui l’Unione è fondata (in vista del miglioramento dell’efficienza complessiva dei paesi membri) può vacil­lare.
È evidente come un’applicazione ad oltranza della politica del rigore reca im­pedimento alla crescita di taluni Stati europei, i quali finiscono col valutare come an­tidemocratico un metodo d’integrazione economica che ha consentito disparità di trattamento nel passato, ed ora pone seri ostacoli alla rinascita di alcuni paesi in vista del mantenimento di posizioni di dominio di altri. Il dubbio su cosa sia la democrazia a livello europeo, le perplessità in ordine all’opportunità di continuare il cammino intrapreso potrebbero trovare sempre più ampio accoglimento in popolazioni provate da anni di sacrifici, da un sostanziale impoverimento, dalla perdita della speranza!
La rinunzia al ‘sogno europeo’, alimentata dall’antipolitica e dal populismo, potrebbe al fine configurarsi come un obiettivo equo e sano, da perseguire … ciò, tra­scurando le considerazioni dianzi esposte. L’illusoria e vaga aspirazione ad un ritorno al passato potrebbe prevalere sulla razionale aspettativa di effettivi miglioramenti della situazione economica attuale, la cui realizzazione è alla base dello spirito comu­nitario, legittimando il significato (rectius: il senso) dell’appartenenza all’UE.
A ben considerare, un’alternativa è possibile, anche se oggi essa appare dai contorni confusi, non precisabili e, dunque, ancora tutti da definire. Essa si individua nell’opportunità di procedere ad un esame analitico delle possibili vie da seguire per un ‘recupero del sogno europeo’, nel quale crediamo e vogliamo continuare a credere. Bisogna pensare ad «un’Europa diversa», come viene in­dicato da alcuni politici[5], all’uopo ricercando congrue forme di cambiamento in grado di dare nuova linfa ad un processo d’integrazione ritenuto dai più non rispondente ai criteri ordinatori del suo originario impianto.
Quale debba essere la configurazione dell’altra Europa è un’ipotesi costruttiva ancora nel grembo di Giove! Analogamente, identificare l’ordine delle priorità da seguire nel dar corso al cambiamento è impresa di difficile rappresentazione. Quel che, invece, appare certo è il fatto che bisogna rompere gli indugi, uscire dalla fase delle sterili proteste verbali, delle facili promesse, per passare ad un concreto iter operativo.

3.      La ricerca del quid agendum diviene improcrastinabile al fine di interrompere la perversa sequenza difficoltà/malcontento e, dunque, populismo/disgregazione. Del resto, proprio in relazione alla descritta situazione europea, è stato sottolineato in autorevole sede tecnica che «l’Europa monetaria è terribilmente indietro rispetto al calendario. Mai come oggi sarebbe necessario uno sforzo di fantasia e di volontà politica»[6]. Ed invero, è necessario ‘non avere paura’ nell’affrontare con consapevolezza e responsabilità il cambiamento che porti alla costruzione di una Europa diversa, auspicata nelle dichiarazioni di molti politici[7], ma ancora relegata nell’ambito di un vago wishful thinking per quanto concerne la sua concreta definizione ed attuazione.
Nel delineare il contesto di riforme un dato sembra inequivoco: superare le attuali forme di rigidità che, nel costituire un chiaro fattore d’impedimento alla crescita, sono causa di dissenso sociale, con tutto quel che ne consegue. Si impone, pertanto, l’imperativo categorico di una maggiore flessibilità, la quale peraltro non deve essere intesa in senso restrittivo (vale a dire come possibilità di far ricorso a momentanee misure derogatorie ad una rigida applicazione delle regole imposte dalla vigente normativa UE), bensì come criterio ordinatorio da seguire nella revisione dell’impianto sistemico dei Trattati.
Per vincere le sfide del futuro bisogna abbandonare la politica del rigore ed adottare forme di intervento che sappiano coniugare innovativi principi di convivenza tra i paesi dell’Unione. L’altra Europa dovrà essere ‘rifondata’ da un’Assemblea costituente di Stati decisi a procedere su una strada d’integrazione economico finanziaria che si accompagni a crescente condivisione, coesione e solidarietà. Il rinvio ad un futuro lontano nel tempo dell’unione dei popoli europei – cosa inevitabile alla luce della considerazioni che precedono – non deve risolversi in comportamenti che favoriscono un processo di progressiva disgregazione dell’esistente.

Ricercare e perseguire l’«unione tra e nelle diversità»: è questo il difficile com­pito cui un rinnovato spirito comunitario deve tendere, riuscendo a superare gli ostacoli che fino ad oggi sono stati frapposti dal prevalere degli individualismi, delle tendenze egemoniche e di linee comportamentali aduse alla furberia ed al pressapochismo. È questo l’obiettivo cui deve tendere la politica intenzionata a svolgere il ruolo primario suo proprio!
Si ha riguardo, dunque, ad un processo nel quale le modifiche disciplinari dei rapporti infra Stati – per quanto ancorate alle determinazioni espresse dagli accordi intergovernativi cui sono riconducibili – devono caratterizzarsi per la loro riferibilità ad una più matura realtà culturale, alla cui realizzazione di certo contribuiscono gli sforzi compiuti dai paesi UE per il superamento della crisi. Maggiore, reciproca disponibilità, nuove forme di alternatività nei ruoli guida dovranno qualificare un agere che esprima l’esigenza di mettere in comune la gestione del potere inteso come «servizio».
Assume specifico rilievo, in tale contesto, il convincimento che una stretta interrelazione tra i membri dell’Unione non reca beneficio unicamente ai paesi che da quest’ultima possono trarre il supporto finanziario per la loro ripresa economica; bensì anche a quelli che hanno conservato pressoché integra nel tempo la loro capacità espansiva, senza incorrere nelle perdite e nei disagi patiti da altri. Nello specifico, diventerà possibile comprendere che l’unione non reca pernicioso contagio dei «mali» che, per ragioni diverse (dalle quali non vanno escluse eventuali situazioni di cattiva gestione), hanno colpito alcuni paesi europei; al contrario, essa consente di rinvenire in forme di più intensa aggregazione il presupposto di una comune, maggiore forza, tale cioè da trasformare l’interdipendenza in motore propulsivo della crescita.
Ove detta evoluzione culturale abbia modo di affermarsi, sarà forse possibile riscontrare anche l’abbandono da parte della Germania dell’atteggiamento egemonico che contraddistingue la sua partecipazione alle scelte politico economiche dei vertici europei. In prospettiva, gli interventi cui si intende dar corso nell’Unione potrebbero finalmente essere disancorati dagli orientamenti della Corte costituzionale tedesca che, nelle sue pronunce (da ultimo quella del 12 settembre 2012, 2 BvR 1390/12, relativa alla ratifica del Trattato ESM)[8], è chiamata a valutarne l’ammissibilità in base al diritto federale tedesco.
È comunemente nota la posizione che caratterizza tale Paese nei rapporti con gli altri componenti dell’Eurosistema e, in particolare, la sua rigidità, l’intransigenza che contraddistingue l’imposizione di condizionamenti agli Stati in difficoltà; tematica sulla quale ci siamo intrattenuti in altra occasione tralasciando i richiami ai ‘luoghi comuni’ e tentando di individuare una chiave di lettura dell’azione da esso svolta nell’incidenza della cd. sonderweg («via peculiare») sul processo formativo della democrazia tedesca[9]. Vorremmo qui aggiungere solo una considerazione desumibile proprio dalla storia di questo grande Paese: nel perseguire la virtù bisogna evitare che questa si accompagni all’imperio, potendo (in caso contrario) crearsi una miscela esplosiva di imprevedibili conseguenze. È evidente, infatti, che il ruolo guida giustificatamente ascrivibile alla Germania, in ragione del suo peso economico in ambito UE, potrebbe diventare oggetto di intolleranze da parte degli altri componenti della Unione, con inevitabili implicazioni negative anche a suo carico[10].
Ciò posto, si ritiene che esuli dall’ambito della presente indagine l’identificazione degli specifici interventi tecnico giuridici utilizzabili per la realizzazione di un nuovo modello d’incontro (e se esso sia risolvibile in chiave intergovernativa) che consenta di perseguire le finalità dianzi indicate. In questa sede si vuole solo ribadire che l’ipotizzato ridimensionamento del ‘sogno europeo’ previo rinvio dell’aspettativa di unione politica (a tempi fu­turi, di difficile identificazione) dovrebbe, comunque, non incidere sul mantenimento di una costruzione nella quale la ‘coesistenza tra le diversità’ trovi adeguato compendio in una ‘crescita comune’, vale a dire estesa a tutti i paesi aderenti; restando ferma, ovviamente, la prospettiva di differenti gradi di sviluppo, correlati al peso, all’apporto, all’impegno dei singoli Stati.
Si ha ben presente che tale ipotesi ricostruttiva appare riconducibile alla nota tesi dell’Europa ‘a geometria variabile’ ovvero ‘a più velocità’, a fondamento della quale v’è il riconoscimento di una differente intensità partecipativa dei paesi membri al processo d’integrazione comunitaria[11].
Per vero, tale tesi deve ritenersi poco conferente alla ricerca delle soluzioni che qui si propongono, in quanto essa appare sostanzialmente volta a giustificare modalità d’integrazione differenziate; problematica che, nel passato, si è posta in relazione all’allargamento dell’UE (ad esempio: nei confronti dei paesi scandinavi). L’implicita riferibilità, sottesa a detto approccio analitico, ad una realtà caratterizzata dalla permanente separazione tra Stati con diverso grado di sviluppo, ne esclude l’applicabilità al disegno dianzi tracciato che presuppone, invece, una comune, volontaria tendenza all’armonizzazione ed all’equiparazione, la cui sintesi concettuale si realizza per l’appunto in un contesto di unione[12].
Per converso, il rafforzamento dei meccanismi decisionali dell’UE (attuato attraverso un progressivo aumento dei poteri del Parlamento europeo), nel conferire più ampia legittimazione democratica al sistema istituzionale, potrebbe essere d’ausilio nel rinvenire una risposta ai quesiti in precedenza rappresentati. L’individuazione di nuovi schemi ordinatori verrebbe, infatti, ricondotta all’organismo abilitato a definire gli orientamenti e le priorità politiche generali dell’Unione, sì da facilitare la ricerca di forme di miglior coordinamento delle policies destinate all’integrazione economica ed allo sviluppo comune.
Necessita riscoprire la possibilità di attribuire ad istituzioni democratiche comuni la salvaguardia di una crescita equilibrata, da realizzare grazie alle opportunità offerte dalla Unione. È, questa, la meta cui deve tendere un cambiamento che, per quanto concerne l’Eurozona, si proponga diridare valore alla rinuncia della sovranità monetaria (connessa all’introduzione della moneta unica), alla quale dovranno inevitabilmente aggiungersi (nel tempo) ulteriori trasferimenti di poteri e funzioni dalle autorità domestiche a quelle europee.
Al conseguimento di tale obiettivo potrà far seguito la giusta conquista, a livello globale, di un ruolo, conforme alla tradizione storica del ‘vecchio continente’ ed alle sue effettive capacità e potenzialità economico finanziarie (con la possibilità di partecipare, in modalità adeguate, all’assunzione delle decisioni che investono i destini delle nazioni, si pensi ai recenti eventi dell’Ucraina); potrà finalmente addivenirsi all’affermazione di una cittadinanza europea che, nel passato, fu negli ideali dei padri fondatori della Comunità ed oggi permane negli auspici di coloro che ne condividono l’essenza.

Note

1.  Cfr. Il discorso tenuto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a Strasburgo nel Parlamento europeo il 4 febbraio 2014, visionabile su www.federalismi.it

2.  Cfr. Capriglione, Mercato regole democrazia, Torino, 2013, Cap. VI, ove si delinea la realtà geopolitica dell’eurozona, ponendo a confronto i dati caratterizzanti della Germania con quelli di altri paesi (Italia, Spagna, Grecia).

3.  Ci si riferisce alla nota violazione, imputabile alla Germania, della disciplina di bilancio imposta dal cd.  patto di stabilità, stante il superamento nel 2003 dei limiti da quest’ultimo segnati. Cfr. COLLIGNON, S. “The End of the Stability and Growth Pact?”, in  International Economics and Economic Policy, Volume 1, n. 1, gennaio 2004; si veda, altresì, il discorso tenuto a Strasburgo da Mario Monti il 15 Febbraio 2012 nel quale ricordò che «stati centrali per il peso delle loro economie come la Germania e la Francia, sono stati all’origine della crisi del patto di stabilità e di crescita e della sua limitata credibilità nel 2003, quando con la complicità dell’Italia che presiedeva il Consiglio Ecofin, quei due paesi hanno preferito esercitare la loro influenza politica su gli altri Stati membri, in buona sostanza rompere il meccanismo delle regole del Patto di Stabilità».

4.  Cfr. CAPRIGLIONE e SEMERARO, Crisi finanziaria e dei debiti sovrani, Torino, 2012, p. 29, ove sono riportate le previsioni di una crescita positiva per la Germania, stimate dell’1.2 % per il 2012, tendente all’1.9 % per il 2013.

5.  Cfr. tra gli altri l’editoriale dal titolo «Londra, Renzi: ‘Vogliamo un’Europa migliore’. Cameron: ‘Con l’Italia per cambiare le burocrazie’», visionabile su www.rainews.it/dl/rainews.

6.  Cfr. VISCO, Guido Carli e la modernizzazione dell’economia, intervento introduttivo in occasione della “Celebrazione del centenario della nascita di Guido Carli”, Roma, 28 marzo 2014, p. 5.

7.  Si veda al riguardo l’editoriale comparso su corriere.it dal titolo “Renzi a Parigi, incontro con Hollande «Uniti per una nuova Europa»”, pubblicato in data 15 marzo 2014; più in generale, cfr. l’editoriale visionabile su europaquotidiano.it, dal titolo “La nuova Terza via” del 2 aprile 2014.

8.  Se ne veda in testo in inglese nella Rivista trimestrale di diritto dell’economia, 2012, II, p. 61 ss, con nota di GUARRACINO, Brevi note sulla sentenza della Corte costituzionale tedesca in merito al Trattato istitutivo del Meccanismo europeo di stabilità e sulla collateralisation degli interventi dell’ESM finalizzati alla ricapitalizzazione degli istituti bancari, in http://www.fondazionecapriglione.luiss.it

9.  Cfr. CAPRIGLIONE, Mercato regole democrazia, cit. p. 181 ss.

10.  Cfr. LEMMA – HAIDER, The Difficult Journey Towards European Political Union: Germany’s Strategic Role, in Law and Economics Yearly Review, 2012, p. 390 ss.

11.  Cfr. tra gli altri LETTA E., Passaggio a Nord-Est. L’Unione europea tra geometrie variabili, cerchi concentrici e velocità differenziate, Bologna, 1994, passim; AMATO – PRAUSSELLO, L’unione europea di fronte alle sfide dell’allargamento, Bari, 1994, passim.; DASTOLI, Dimenticare Maastricht?, in Il Mulino, 1993, fasc. 4, p. 711 ss.; MAILLET – VELO, L’Europa a geometria variabile, Torino, 1996, passim.

12.   Vicino alla prospettiva qui delineata deve considerarsi il progetto ideato da Nino Andreatta nel 1993, volendo rilanciare la possibilità di dar vita agli Stati Uniti d’Europa tra i paesi intenzionati a costituire un’unione avanzata e federativa, cfr. l’editoriale visionabile su www.europaquotidiano.it, dal titolo “Stati Uniti ora per Dodici, ma accoglienti”, pubblicato in data 31 marzo 2006.
L’ipotesi di realizzare tale obiettivo partendo da «un nocciolo duro federale, in cui moneta ed esercito fossero unici» appare, infatti, verosimile ai fini di una costruzione che si proponga come «nucleo» di base (voluto da paesi uniti da interessi comuni) per successive aggregazioni, non orientate in via esclusiva al perseguimento di interessi economici.