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Riflessioni sull’Unione Bancaria Europea in una prospettiva di riforme

di - 22 Gennaio 2014
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3. Ritengo che ulteriore materia di riflessione in ordine alle modalità di esercizio della funzione di vigilanza (cui è protesa la realizzazione dell’UBE) sia offerta dalla individuazione di alcuni significativi problemi riconducibili vuoi alla realtà operativa del sistema finanziario europeo, vuoi a taluni provvedimenti normativi recentemente assunti in alcuni Stati dell’UE.
Volendo circoscrivere l’analisi agli accadimenti del nostro Paese, sotto il primo profilo viene in considerazione l’uso/abuso di strumenti finanziari derivati da parte di numerosi intermediari. Sono comunemente note le vicende del Monte dei Paschi dovute a condotte irregolari tuttora al vaglio dei competenti organi giudiziari;  tali condotte, oltre ad incidere sulla realtà economico patrimoniale della terza banca italiana, potrebbero avere gravi ripercussioni critiche sull’intero settore finanziario domestico (connesse al discredito reputazionale di cui sono portatrici). Da qui la prospettiva di difficoltà ulteriori rispetto a quelle indotte dalla recente crisi finanziaria e dei debiti sovrani.
Orbene, prassi operative di tal genere agiscono da catalizzatore nell’emersione di talune carenze disciplinari che caratterizzano l’apparato autoritativo realizzato col SEVIF, interagendo sulla sfera di competenze delle autorità di vigilanza che ne fanno parte. Ed invero, come meglio si specificherà qui di seguito, non sono stati previsti a livello normativo europeo puntuali meccanismi volti a prevenire le forme degenerative dell’operatività in derivati, le quali sono ovviamente destinate ad avere ripercussioni negative sugli equilibri sistemici degli ordinamenti finanziari nazionali.
Al riguardo, occorre far riferimento alla disciplina sugli strumenti derivati negoziati sui mercati OTC introdotta dal Regolamento (UE) n. 648/2012. Più precisamente, rilevano – ai nostri fini – le disposizioni nelle quali si fissano gli obblighi di compensazione (presso una controparte centrale) e di segnalazione (alle società denominate «repertori di dati») cui sono tenuti i soggetti finanziari (a fronte di un più circoscritto onere imposto a quelli non finanziari, tenuti agli adempimenti in parola nelle sole ipotesi operative che superino una determinata soglia monetaria).
In tale contesto disciplinare, l’intervento dell’Esma è circoscritto alla partecipazione al ‘collegio’ deputato ad emettere il parere cui è subordinato il rilascio dell’autorizzazione (da parte delle autorità nazionali competenti) che abilita ad operare come ‘controparte centrale’; attività consultiva cui si aggiunge, poi, la tenuta del particolare registro nel quale sono elencati tutti i ‘repertori di dati’ finalizzati alla raccolta ed alla conservazione (in modo centralizzato) delle registrazioni sui derivati.  All’Esma è, dunque, riconosciuta la facoltà di chiedere ai ‘repertori di dati’ (ed a terzi collegati) qualsivoglia informazione relativa alla loro attività, potendo procedere – ove lo ritenga opportuno – ad ispezioni in loco; quadro interventistico che si completa con l’esercizio di un potere sanzionatorio attivabile in presenza di violazioni tecniche.
A ben considerare, si è in presenza di un complesso potestativo che appare di certo molto limitato ed insufficiente ad impedire che l’operatività in derivati possa, a volte, produrre gli effetti negativi di cui sopra si è detto, con immancabili ricadute sulla stabilità dei sistemi finanziari di riferimento. È evidente come – a fronte della descritta realtà disciplinare – un’estensione della sfera d’attività del ‘meccanismo unico di vigilanza’ appare, oltre che logica, necessaria. Da qui la riproposizione di una problematica già esaminata dalla dottrina (cfr. tra gli altri GUARRACINO, Supervisione bancaria europea. Sistema delle fonti e modelli teorici, Padova, 2012) con riguardo alla delimitazione dei poteri dell’EBA, le cui funzioni – come viene sostenuto anche nel mio libro – sono destinate ad un progressivo ridimensionamento a seguito della creazione dell’UBE.
Non v’è dubbio, infatti, che l’EBA – nel difficile compito di conciliare gli interessi (spesso contrapposti) degli Stati dell’eurozona con quelli dei paesi che ne sono fuori –  potrà, nel tempo, orientarsi verso un ipotizzabile non facere, con sostanziale modifica dell’apparato interventistico del SEVIF. Verosimilmente – a fronte delle indicate carenze disciplinari nella materia dei derivati – appare necessario valutare, in chiave prospettica, la possibilità di traslazione in capo alla BCE delle forme di controllo di cui trattasi. Consegue l’esigenza di dover procedere, in un futuro non lontano, alla revisione dell’impianto ordinatorio del sistema finanziario europeo, sì da rendere le competenze demandate alle relative autorità di vertice coerenti con la realtà normativa e fattuale degli Stati membri.

4. Da ultimo, la tematica concernente i condizionamenti posti dalle realtà nazionali alla perseguibilità degli obiettivi cui è finalizzata la creazione dell’UBE, deve tener conto – per quanto riguarda il nostro Paese – di un importante evento normativo in via di definizione. Mi riferisco alla conversione (prevista per la fine del presente mese di gennaio) di un decreto legge (cfr. d.l. 30 novembre 2013, n. 133) nel quale, tra l’altro, è disciplinata la rivalutazione delle quote del capitale della Banca d’Italia, mediante utilizzo delle riserve statutarie sino a euro 7.500.000.000.
Non intendo in questa sede soffermarmi sull’esame delle motivazioni che possano aver indotto, solo oggi, l’autorità politica a rivedere (in aumento) la consistenza dell’asset patrimoniale della nostra banca centrale, motivazioni valutate criticamente da alcuni comparti della stampa specializzata (cfr. tra gli altri Baglioni, Quote Banca d’Italia: la Bce bacchetta il Governo, reperibile su www. ilfattoquotidiano.it) che hanno evidenziato le variegate implicazioni negative di siffatta modifica strutturale della Banca d’Italia. Del pari, tralascio di prendere in considerazione l’interesse del Governo alla pronta realizzazione di tale operazione dalla quale derivano plusvalenze alle banche tassabili per oltre un miliardo di euro (cfr. sul punto, tra i numerosi articoli di stampa, Saccomanni: Bankitalia, possibile calo quota soci al 3%. Non escluso obbligo quotisti solo italiani, su www.ilsole24ore.it).
Per converso, ritengo opportuno richiamare l’attenzione sulla valutazione degli effetti di tale operazione in quanto, a seguito di essa, risulteranno profondamente innovati non solo il contesto strutturale della Banca d’Italia, ma anche le modalità con cui quest’ultima interagisce con gli appartenenti al settore creditizio. In particolare, rilevano le numerose questioni poste dalla situazione relazionale (significativamente diversa rispetto al passato) che la nostra banca centrale dovrà gestire nel rispetto delle regole fissate dalla legge di conversione, tuttora in itinere.

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