La società per azioni in mano statale: fini generali e “logica dell’imprenditore privato in un’economia di mercato”
Sommario. 1. Premessa. – 2. Società pubbliche e limite delle “finalità istituzionali”. – 3. Il rapporto tra interesse generale e finalità lucrativa della s.p.a. La logica dell’imprenditore avveduto operante in un’economia di mercato. – 4. La società per azioni come “istituzione” e la naturale “elasticità” della causa societaria: il fine della “creazione sostenibile di valore”.
1. Premessa.
Le società per azioni in mano pubblica conoscono ormai da diversi anni una particolare considerazione da parte del nostro legislatore; il che alimenta riflessioni e rinnovati studi per definire i limiti della loro legittima presenza nella realtà economico-giuridica e tentarne un inquadramento di sistema, nelle maglie della costante tensione tra la naturale vocazione lucrativa dell’ente societario e le finalità di interesse generale perseguite attraverso il loro utilizzo ([1]). Nella grande varietà delle tipologie di società “in mano pubblica” ci si riferisce in particolare alle “società per azioni-imprese” controllate dallo Stato.
Merita dire subito che di queste società si coglie, per un verso, la progressiva attenuazione della “specialità” di disciplina in ragione del doveroso rispetto delle libertà economiche enunciate dai Trattati sovranazionali ([2]) e delle posizioni espresse dalla Commissione e dalla Corte di Giustizia anzitutto in materia di golden share e di “nomine riservate” dei membri degli organi sociali ([3]).
Per altro verso, si apprezza il moltiplicarsi di norme interne volte a razionalizzarne il sistema, sia per garantire una maggiore apertura alla concorrenza, sia, soprattutto, per ridurre il peso delle società pubbliche sulle finanze statali e imporre una “moralizzazione” della relativa governance. Questi due temi sono essenzialmente riferiti a società non quotate in mercati regolamentati, evidentemente ritenendosi che la pressione esercitata dalla dinamica competitiva e dal giudizio degli investitori sia sufficiente per garantire la posizione di mercato delle società quotate.
Nell’insieme, dal nostro recente diritto positivo sembra possibile cogliere spunti per la ricostruzione di un particolare modello di società a partecipazione statale capace di operare legittimamente nel mercato senza smentire gli scopi d’interesse generale dell’azionariato statale.
2. Società pubbliche e limite delle “finalità istituzionali”.
Il pensiero corre, in prima battuta e da un primo punto di vista all’art. 3, co. 27 ss. della L. n. 244/2007 che ha posto severi limiti alla costituzione e al mantenimento di partecipazioni societarie, enunciando: «Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società ([4]).
La norma sembra disegnare perduranti spazi per lo “Stato imprenditore”, attraverso la sua partecipazione a società di diritto comune allo scopo di produrre e dividerne gli utili, ma nei soli limiti in cui si tratti di uno strumento di realizzazione dei fini pubblici ad esso affidati (o, forse più precisamente, in esso soggettivizzati).
La giurisprudenza ha ben chiarito questo punto cruciale. Si è detto che la legge
«ha posto un limite all’impiego dello strumento societario non tanto per assicurare, come, invero, dichiarato nella parte iniziale della disposizione stessa, la tutela della concorrenza che di per sé lo strumento dell’impresa pubblica non potrebbe pregiudicare, quanto per garantire, in coerenza con l’esigenza di rispettare il principio di legalità, il perseguimento dell’interesse pubblico»;
«allo stato, pertanto, può ritenersi esistente, nel nostro ordinamento, una norma imperativa che esprimendo un principio già in precedenza immanente nel sistema pone un chiaro limite all’esercizio dell’attività d’impresa pubblica rappresentato dalla funzionalizzazione al perseguimento anche dell’interesse pubblico» ([5]).
Si tratta di principi resi espliciti anche in altri ordinamenti, anzitutto e da tempo, nel diritto tedesco ([6]).
L’espresso richiamo ai “fini istituzionali”, quindi agli scopi d’interesse generale, come limite all’operare dello “Stato – azionista” porta oggi ad escludere che lo Stato e in genere le pubbliche amministrazioni possano perseguire finalità meramente speculative attraverso la partecipazione a società di diritto comune, e assumere nel mercato una presenza ingombrante e non giustificata.
D’altra parte, l’idea che lo Stato possa e forse debba attualmente continuare a poter agire come reale imprenditore, attraverso società per azioni, quale tradizionale leva per l’implementazione delle sue politiche economiche e sociali, appare prospettiva coerente con l’asserita neutralità del diritto europeo rispetto al regime di proprietà delle imprese.
Note
1. Ci si limita a rinviare ad alcune recenti trattazioni generali sul tema delle società pubbliche, tra cui cfr. C. Ibba – M. C. Malaguti – A. Mazzoni (a cura di), Le “società pubbliche”, Torino, 2011, F. Guerrera (a cura di), Le società a partecipazione pubblica, Torino, 2010, F. Fimmanò (a cura di), Le società pubbliche. Ordinamento, crisi ed insolvenza, Milano, 2011, e cfr. V. Cerulli Irelli, Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011, 35 ss. ↑
2. Per come il discorso sia inevitabilmente influenzato dalla considerazione del diritto europeo, cfr. F. Satta, Indirizzo politico, autorità di regolazione e autorità antitrust: quale spazio e quali ruoli in un ordinamento fondato sul principio di libera concorrenza, in Studi in onore di Alberto Romano, Napoli, 2011, II, 893 ss. ↑
3. Per tutti: A. Maltoni, M. Palmieri, I poteri di nomina e revoca in via diretta degli enti pubblici nelle società per azioni ex art. 2449 c.c.; in Dir. amm., 2009, 2, 267 ss., S. Vanoni, Le società miste quotate in mercati regolamentati (dalla golden share ai fondi sovrani), in C. Ibba, M. C. Malaguti, A. Mazzoni, Le società “pubbliche”, cit., 187 ss. Per la nuova disciplina delle golden shares: d.l. 15 marzo 2012, n. 21, conv. in l. 11 maggio 2012, n. 56. ↑
4. Il testo continua: «È sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza». L’attuale versione risulta dalle modifiche apportate dall’art. 18, comma 4-octies, del D.L. 29 novembre 2008 n. 185 e successivamente dall’art. 71, comma 1, lettera b), della legge 18 giugno 2009, n. 69.
Il co. 28, stabilisce, poi, per gli enti pubblici diversi dallo Stato, «28. L’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere autorizzati dall’organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 27». La delibera è poi, trasmessa alla Corte dei conti. Ai sensi del co., 28-bis, «Per le amministrazioni dello Stato, l’autorizzazione di cui al comma 28 è data con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze». Si dispone, poi, che «per le amministrazioni dello Stato restano ferme le competenze del Ministero dell’economia e delle finanze già previste dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge. In caso di costituzione di società che producono servizi d’interesse generale e di assunzione di partecipazioni in tali società, le relative partecipazioni sono attribuite al Ministero dell’economia e delle finanze, che esercita i diritti dell’azionista di concerto con i Ministeri competenti per materia». Il co. 29 definisce il termine, ritenuto non perentorio, per la dismissione delle partecipazioni vietate.↑
5. Cons. St., Sez. VI, 20 marzo 2012 n. 1574, in www.giustizia-amministrativa.it; analogamente: TAR Cagliari Sardegna, sez. I, 5 aprile 2013 n. 269, in Foro amm. – TAR, 2013, 4, 1403; cfr. anche Corte Conti reg. Lombardia, Sez. contr., 17 giugno 2010 n. 675, in Riv. corte conti, 2010, 3 , 98. Per una lettura più restrittiva, v., tuttavia, Cons. St., ad plen. 3 giugno 2011 n. 10, in Foro amm. – CdS, 2011, 6, 1842. ↑
6. Cfr. il § 65 del Bundeshaushaltsordnung. In dottrina, per tutti: T. Würtenberger – S. Neidhart, L’État Actionnaire en Allemagne, in Rev. fran. admin. publ., 2007, 585 ss., C. Fusaro, I servizi locali in Germania: ovvero le attività economiche comunali a garanzia della Daseinsvorsorge in bilico fra fine pubblicistico e mercato, in Dir. pubbl. comp. eur., 2001, 2, 837 ss. ↑