La società per azioni in mano statale: fini generali e “logica dell’imprenditore privato in un’economia di mercato”

Sommario. 1. Premessa. – 2. Società pubbliche e limite delle “finalità istituzionali”. – 3. Il rapporto tra interesse generale e finalità lucrativa della s.p.a. La logica dell’imprenditore avveduto operante in un’economia di mercato. – 4. La società per azioni come “istituzione” e la naturale “elasticità” della causa societaria: il fine della “creazione sostenibile di valore”.

1. Premessa.

Le società per azioni in mano pubblica conoscono ormai da diversi anni una particolare considerazione da parte del nostro legislatore; il che alimenta riflessioni e rinnovati studi per definire i limiti della loro legittima presenza nella realtà economico-giuridica e tentarne un inquadramento di sistema, nelle maglie della costante tensione tra la naturale vocazione lucrativa dell’ente societario e le finalità di interesse generale perseguite attraverso il loro utilizzo ([1]). Nella grande varietà delle tipologie di società “in mano pubblica” ci si riferisce in particolare alle “società per azioni-imprese” controllate dallo Stato.
Merita dire subito che di queste società si coglie, per un verso, la progressiva attenuazione della “specialità” di disciplina in ragione del doveroso rispetto delle libertà economiche enunciate dai Trattati sovranazionali ([2]) e delle posizioni espresse dalla Commissione e dalla Corte di Giustizia anzitutto in materia di golden share e di “nomine riservate” dei membri degli organi sociali ([3]).
Per altro verso, si apprezza il moltiplicarsi di norme interne volte a razionalizzarne il sistema, sia per garantire una maggiore apertura alla concorrenza, sia,  soprattutto, per ridurre il peso delle società pubbliche sulle finanze statali e imporre una “moralizzazione” della relativa governance. Questi due temi sono essenzialmente riferiti a società non quotate in mercati regolamentati, evidentemente ritenendosi che la pressione esercitata dalla dinamica competitiva e dal giudizio degli investitori sia sufficiente per garantire la posizione di mercato delle società quotate.
Nell’insieme, dal nostro recente diritto positivo sembra possibile cogliere spunti per la ricostruzione di un particolare modello di società a partecipazione statale capace di operare legittimamente nel mercato senza smentire gli scopi d’interesse generale dell’azionariato statale.

2. Società pubbliche e limite delle “finalità istituzionali”.
Il pensiero corre, in prima battuta e da un primo punto di vista all’art. 3, co. 27 ss. della L. n. 244/2007 che ha posto severi limiti alla costituzione e al mantenimento di partecipazioni societarie, enunciando: «Al fine di tutelare la concorrenza e il mercato, le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società ([4]).
La norma sembra disegnare perduranti spazi per lo “Stato imprenditore”, attraverso la sua partecipazione a società di diritto comune allo scopo di produrre e dividerne gli utili, ma nei soli limiti in cui si tratti di uno strumento di realizzazione dei fini pubblici ad esso affidati (o, forse più precisamente, in esso soggettivizzati).
La giurisprudenza ha ben chiarito questo punto cruciale. Si è detto che la legge
«ha posto un limite all’impiego dello strumento societario non tanto per assicurare, come, invero, dichiarato nella parte iniziale della disposizione stessa, la tutela della concorrenza che di per sé lo strumento dell’impresa pubblica non potrebbe pregiudicare, quanto per garantire, in coerenza con l’esigenza di rispettare il principio di legalità, il perseguimento dell’interesse pubblico»;
 «allo stato, pertanto, può ritenersi esistente, nel nostro ordinamento, una norma imperativa che esprimendo un principio già in precedenza immanente nel sistema pone un chiaro limite all’esercizio dell’attività d’impresa pubblica rappresentato dalla funzionalizzazione al perseguimento anche dell’interesse pubblico» ([5]).
Si tratta di principi resi espliciti anche in altri ordinamenti, anzitutto e da tempo, nel diritto tedesco ([6]).
L’espresso richiamo ai “fini istituzionali”, quindi agli scopi d’interesse generale, come limite all’operare dello “Stato – azionista” porta oggi ad escludere che lo Stato e in genere le pubbliche amministrazioni possano perseguire finalità meramente speculative attraverso la partecipazione a società di diritto comune, e assumere nel mercato una presenza ingombrante e non giustificata.
D’altra parte, l’idea che lo Stato possa e forse debba attualmente continuare a poter agire come reale imprenditore, attraverso società per azioni, quale tradizionale leva per l’implementazione delle sue politiche economiche e sociali, appare prospettiva coerente con l’asserita neutralità del diritto europeo rispetto al regime di proprietà delle imprese.

Il principio è altresì fatto proprio dall’“ordinamento globale”, nella misura in cui l’OCSE, in suoi recenti documenti sulle State Owned Enterprises ([7]), pur promuovendo le privatizzazioni, non sembra indicare la necessità di un totale venire meno delle imprese pubbliche, anche con struttura societaria. Al contrario, si suggerisce che le imprese pubbliche siano organizzate proprio in forme privatistiche, con conseguente scomparsa della figura dell’ente pubblico economico; che siano ad esse estranei regimi di privilegio, con riduzione al minimo di previsioni speciali come la golden share ([8]); come nell’ordinamento europeo, si promuove così la trasparenza delle relazioni finanziarie tra le imprese pubbliche e gli Stati, in modo che siano adeguatamente evidenziati gli eventuali “oneri impropri” e di servizio pubblico giustificanti particolari finanziamenti. Soprattutto, si esige che le società pubbliche siano inserite in un sistema di governance in grado di immetterle nel circuito democratico-rappresentativo, in modo che ne sia assicurata una “gestione unitaria” ed efficiente, svolta in termini di “politica pubblica” coerente e controllabile anzitutto dalle istituzioni rappresentative, nonché direttamente dalla collettività ([9]). Come è ovvio, questo richiede una regolamentazione aggiuntiva rispetto al diritto societario comune, rivolta, più che alle società partecipate in quanto tali, all’ente azionista.
Ciò sembra, dunque, offrire una prima risposta alla domanda su come debba intendersi l’incidenza degli “interessi istituzionali” o “generali” sull’impresa pubblica in forma di s.p.a.. Certamente non devono essere configurati né operare come pretesi interessi suscettibili di snaturare la “causa” della s.p.a. e stemperarne la naturale vocazione lucrativa insieme alla natura strettamente privatistica o di diritto comune ([10]). Piuttosto, si tratta d’interessi, “soggettivizzati” nell’amministrazione azionista, da perseguire attraverso la gestione del “complesso” delle partecipazioni che essa detiene. Sono, dunque, le finalità proprie di quella che l’OCSE identifica come “Ownership Entity”, da noi essenzialmente incarnata dal MEF, anche attraverso enti strumentali, quali le società legali a fini pubblici ([11]); tra i più rilevanti esempi nel nostro sistema, si pensi, in via meramente esemplificativa, a Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. e Invitalia s.p.a. o, ancora, all’importante ruolo affidato al Fondo Strategico Italiano, istituito sull’esempio del francese Fond Strategique d’Investissement.
Partendo, dunque, dalla necessaria funzionalizzazione dell’attività di gestione delle partecipazioni sociali, mentre non sembra che la norma di cui all’art. 3, co. 27 cit., abbia comportato una limitazione della “capacità” delle amministrazioni, ormai comunemente riconosciuta come “generale” ([12]), appare piuttosto necessario il riferimento alla soggettività e all’“autonomia” delle P.A., che si atteggia sempre come “autonomia funzionale” ([13]). Nozione che evoca, nella teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici, la distinzione tra norme dell’ordinamento generale di regolazione dei rapporti intersoggettivi, “di attribuzione” dei poteri e delle funzioni, e norme riferibili all’“ordinamento amministrativo” o ordinamento particolare della pubblica amministrazione, che disciplinano il relativo esercizio, norme volte al miglior perseguimento dell’interesse pubblico ([14]).
Sebbene non pacifica, sembra da condividere l’idea che tale ordinamento particolare, almeno nei suoi fondamentali principi, regoli appunto l’intero ambito in cui si esplica l’autonomia delle amministrazioni, quindi anche l’attività privatistica dalle medesime svolta ([15]).
Talora, si ritiene ne sia investita la sola “attività amministrativa di diritto privato”, ovvero quella direttamente rivolta al perseguimento degli interessi istituzionali dell’ente ([16]); altre volte, si considera compresa anche l’attività puramente privata delle P.A.
Ai nostri fini il discorso non sembra mutare, dovendo l’attività di gestione delle partecipazioni societarie assumere necessariamente, come chiarito, il ruolo di attività “istituzionale” dei soggetti pubblici, mezzo per la realizzazione degli interessi di cui sono titolari.
Dunque, il principio di legalità investe l’intera attività delle amministrazioni, almeno quella “istituzionale”, anche svolta in forme private, tuttavia atteggiandosi in questo caso, secondo attenta dottrina, in termini di “legalità-indirizzo”[17]. Il concetto di “funzionalizzazione” – che comporta la giuridica rilevanza in termini di riscontro con le norme di disciplina dell’esercizio della funzione dei momenti in cui si esprime lo svolgimento del compito pubblico –, si stempera in quello di “funzionalità”, richiamando la rilevanza del “vincolo nel fine” ma a prescindere dall’applicazione di regole ancorate alla natura autoritativa degli atti ([18]).
Ad ogni modo, se l’attività di “gestione delle partecipazioni” in s.p.a., anche in forma di holding, è essa stessa “attività d’impresa” ([19]), è proprio la nozione di “impresa” a dover essere considerata e raffrontata con l’“ordinamento dell’amministrazione” e con il principio di legalità come sopra considerato ([20]).
Questa emerge come “attività diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi” “sul mercato” e “per il mercato”, configurandosi di per sé, come “funzione” e rilevando per l’ordinamento giuridico come fenomeno globale e complessivo, non riducibile a una somma di episodi negoziali ([21]). Dunque, l’impresa, anche riferita a soggetti pubblici, assume consistenza per l’ordinamento generale come attività, misurabile in termini di risultato. È allora proprio di questo risultato il porsi in necessaria relazione con il vincolo di scopo ed il naturale carattere funzionale dell’azione pubblica.

Negli attuali gruppi societari pubblici, peraltro, il vincolo finalistico sembra trovare espressione, secondo l’accezione qui accolta del principio di legalità riferito all’attività privatistica della P. A., non solo nella definizione legale, ad esempio, dei compiti dei Ministeri azionisti e di quelli conferiti alle società deputate alla gestione delle partecipazioni pubbliche, ma altresì negli atti d’indirizzo alle medesime rivolte, secondo i legami organizzativi che le collegano all’amministrazione statale strettamente intesa, anzitutto al MEF, chiamato, dunque, in prima istanza, nelle maglie della legge, ad elaborare e integrare gli scopi ultimi della politica di gestione delle partecipazioni societarie. I risultati di questa saranno poi apprezzabili nell’ambito delle dinamiche della rappresentanza politica, non solo attraverso dirette audizioni parlamentari ma anche attraverso la chiusura del sistema che si realizza con i controlli di gestione della Corte dei conti e le relative relazioni al Parlamento ([22]).
Non può tuttavia negarsi che, in taluni casi, singoli atti e decisioni assumano giuridica rilevanza in termini di momenti di esercizio della funzione amministrativa, così come appunto le scelte imposte dal ricordato art. 3, co. 27 della l. n. 244/2007. La giurisprudenza intende, invero, la determinazione di assumere quote societarie, come provvedimento amministrativo censurabile davanti al giudice amministrativo ([23]), così come lo sarebbe la condotta illegittimamente omissiva, ovvero la mancata cessione delle partecipazioni superflue[24].

3. Il rapporto tra interesse generale e finalità lucrativa della s.p.a. La logica dell’imprenditore “avveduto” operante in un’economia di mercato.
Da un secondo punto di vista, assumono particolare significato, ai fini della ricostruzione della figura della legittima “società–impresa” a partecipazione statale, le diverse discipline volte a condizionare l’acquisto o il mantenimento di quote societarie da parte delle amministrazioni, organizzate in forme tradizionali ovvero di “società-enti pubblici” ([25]), e, in generale, alla “salute” delle imprese partecipate. Si possono in tal senso ricordare, sempre solo a titolo di esempio, le norme che condizionano le iniziative della CDP s.p.a. ad una “stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico” e ad “adeguate prospettive di redditivita” ([26]), e quelle che subordinano gli interventi del Fondo Strategico Italiano asignificative prospettive di sviluppo” ([27]), o di Invitalia s.p.aa “iniziative d’impresa concorrenziali” ([28]). Regole particolarmente restrittive accompagnano, peraltro, le eventuali gestioni in perdita ([29]).
Se è palese che tali norme mirino a scongiurare gli epiloghi del vecchio sistema e ad evitare che lo Stato assuma le vesti del dispensatore di benefici e sussidi sotto le mentite spoglie dell’imprenditore e dell’azionista, al primario fine di salvaguardare le finanze pubbliche, è evidente che tale condotta è altresì imposta dall’ordinamento europeo, in particolare, dal divieto di aiuti di Stato e dalla necessaria logica dell’“imprenditore privato in un’economia di mercato” che deve ispirarne l’azione ([30]).
Presupposto è che l’operatore economico privato sia naturalmente mosso dallo scopo di profitto, mirando alla “redditività”, intesa come massimizzazione dell’utile senza correre eccessivi rischi.
Il discorso si atteggia, tuttavia, diversamente allorché il medesimo non si limiti a finanziamenti a puro scopo speculativo, assumendo invece le vesti di “imprenditore”; in tal caso vengono necessariamente in esame, secondo la Corte di Giustizia, logiche di lungo periodo, essendo il fine di utile immediato temperato dallo scopo della permanenza e del rafforzamento dell’impresa stessa nel mercato.
Pertanto, allorché lo Stato, assuma, direttamente o indirettamente, le vesti di azionista almeno “influente”, potendo così la società partecipata definirsi ancora impresa pubblica ([31]), il relativo contributo di capitale sembra dover essere apprezzato, analogamente, non tanto come finanziamento, ma come investimento. Lo Stato–imprenditore dovrebbe, poi, essere considerato in termini di holding privata o di gruppo imprenditoriale che persegue una politica strutturale, globale o settoriale, ammettendosi che possa conferire capitali anche per “garantire la sopravvivenza di un’impresa temporaneamente in difficoltà ma che, previa riorganizzazione, sia eventualmente in grado di ridivenire redditizia” ([32]).
Oggi, dunque, secondo i principi sovranazionali ma anche le chiare indicazioni del nostro legislatore, lo Stato-imprenditore può legittimamente agire come investitore di lungo periodo attraverso la gestione di partecipazioni sociali e tuttavia operando in modo prudente e contenuto, con attenzione a non valicare i confini, spesso sottili, che separano tale azione legittima dall’aiuto illegittimo, la sana gestione imprenditoriale, pur a fini d’interesse generale, dall’attività sostanzialmente erogativa.

4. La società per azioni come “istituzione” e la naturale “elasticità” della causa societaria: il fine della “creazione sostenibile di valore”.
Si può, infine, osservare come il punto di equilibrio tra fini di interessi generale e logica dell’“imprenditore avveduto”, possa trovare nell’istituto della s.p.a. una sua definizione, guardando ad essa così come sembra attualmente configurarsi non solo nell’ordinamento italiano ma in altri ordinamenti, anzitutto europei: non strettamente come “negozio” ma come “istituzione” ([33]).

In realtà, ovunque ormai la s.p.a. appare affermatasi e conformatasi in fatto, assumendo i caratteri dell’istituzione e dell’ordinamento giuridico e trovandosi riconosciuta dagli ordinamenti giuridici generali nei limiti della compatibilità con gli interessi da questi ultimi perseguiti e tutelati ([34]).
Guardando ai modi di tale riconoscimento è possibile cogliere la consistenza della stessa “realtà” riconosciuta.
Nell’ordinamento italiano, la riforma del diritto societario muove dalla percepita esigenza di ricercare nuovi equilibri tra interessi degli azionisti e interessi “dei soci, dei creditori, degli investitori, dei risparmiatori e dei terzi”, quindi un’armonia tra società e comunità in cui la medesima opera ([35]).
In Germania, mentre l’originario Aktiengesetz del 1937 faceva espresso richiamo, quanto ai compiti dei managers, al dovere di perseguire, insieme al bene dell’impresa, quello dei suoi dipendenti, del popolo e dello Stato, l’attuale vocazione istituzionalistica della s.p.a. sembra implicita nella trama, anzitutto, delle discipline della “cogestione” ([36]); peraltro, il codice sulla corporate governance delle società quotate richiama il consiglio direttivo a una “gestione indipendente” nell’interesse dell’impresa, tenendo in considerazione gli interessi degli azionisti, dei dipendenti e degli altri stakeholders, nell’obiettivo della crescita sostenibile di valore.
L’art. 172 del Companies Act inglese del 2006 enuncia che: “A director of a company must act in the way he considers, in good faith, would be most likely to promote the success of the company for the benefit of its members as a whole, and in doing so have regard (amongst other matters) to: (a) the likely consequences of any decision in the long term, (b) the interests of the company’s employees, (c) the need to foster the company’s business relationships with suppliers, customers and others, (d) the impact of the company’s operations on the community and the environment,(e) the desirability of the company maintaining a reputation for high standards of business conduct, and (f) the need to act fairly as between members of the company”.
E ancora in Francia, se pur non si rinvengono discipline così esplicite, la rigida conformazione della governance societaria e gli specifici compiti affidati ai singoli organi dalla legge sembra evocare una prospettiva ormai lontana dall’originaria idea della società come organizzazione democratica basata sulla “sovranità” dei titolari delle quote sociali e sulla centralità della relativa volontà negoziale mossa dalla logica della massimizzazione del profitto ([37]).
Questa realtà dunque, da tempo, vede la causa societaria non atteggiarsi come puro scopo di utile, né sotto il profilo soggettivo, né sotto quello oggettivo. Ciò non sfugge, invero, alla giurisprudenza più recente che, con specifico riguardo al fenomeno delle s.p.a. a partecipazione pubblica, ammette: «L’interesse pubblico, proprio delle società pubbliche, è compatibile con lo scopo lucrativo che caratterizza, a livello tipologico, le società per azioni; deve, infatti, ritenersi che, soprattutto dopo la riforma del diritto societario del 2003, l’interesse sociale non ha una connotazione omogenea ed unitaria, in quanto confluiscono nell’assetto societario non solo interessi eterogenei che fanno capo agli stessi soci (si pensi al socio investitore e a quello imprenditore) ma anche interessi diversi riferibili a soggetti terzi. In questa prospettiva, non può ritenersi che il rispetto dell’interesse pubblico sia idoneo ad alterare il tipo societario conducendo alla configurazione di una società diversa da quella contemplata dal codice civile» ([38]).
Si spiega così come l’interesse generale perseguito attraverso l’azionariato statale risponda alla naturale logica di lungo periodo insita nell’impresa organizzata in forma di s.p.a. e cooperi a conformare in concreto l’“interesse sociale”, quella naturale finalità lucrativa che si determina attraverso l’effettiva considerazione e il bilanciamento di interessi “altri” rispetto a quello del mero profitto.
Dunque, la s.p.a. sembra uscire oggi ridisegnata come una “istituzione” perfettamente idonea a ospitare lo Stato – imprenditore e azionista, che non appare affatto un retaggio del passato incompatibile con le recenti linee evolutive degli ordinamenti.
Nella prospettiva istituzionale e della pluralità degli ordinamenti, l’interesse pubblico soggettivizzato nello Stato azionista, nelle diverse forme in cui si atteggia e nei diversi organismi che cooperano a comporlo, si traduce in specifica regolazione e controllo dei fini complessivi dell’attività di gestione delle partecipazioni, esterni e non “funzionalizzanti” una singola s.p.a. ma capaci di indirizzarne l’azione attraverso le comuni dinamiche del diritto societario, in piena coerenza con la naturale attitudine di questa a tradursi in uno degli strumenti di quell’“economia sociale di mercato”, ora espressamente enunciata dai Trattati europei come tessuto connettivo della dimensione sovranazionale ([39]).

Note

1.  Ci si limita a rinviare ad alcune recenti trattazioni generali sul tema delle società pubbliche, tra cui cfr. C. Ibba – M. C. Malaguti – A. Mazzoni (a cura di), Le “società pubbliche”, Torino, 2011, F. Guerrera (a cura di), Le società a partecipazione pubblica, Torino, 2010, F. Fimmanò (a cura di), Le società pubbliche. Ordinamento, crisi ed insolvenza, Milano, 2011, e cfr. V. Cerulli Irelli, Amministrazione pubblica e diritto privato, Torino, 2011, 35 ss.

2.  Per come il discorso sia inevitabilmente influenzato dalla considerazione del diritto europeo, cfr. F. Satta, Indirizzo politico, autorità di regolazione e autorità antitrust: quale spazio e quali ruoli in un ordinamento fondato sul principio di libera concorrenza, in Studi in onore di Alberto Romano, Napoli, 2011, II, 893 ss.

3.  Per tutti: A. Maltoni, M. Palmieri, I poteri di nomina e revoca in via diretta degli enti pubblici nelle società per azioni ex art. 2449 c.c.; in Dir. amm., 2009, 2, 267 ss., S. Vanoni, Le società miste quotate in mercati regolamentati (dalla golden share ai fondi sovrani), in C. Ibba, M. C. Malaguti, A. Mazzoni, Le società “pubbliche”, cit., 187 ss. Per la nuova disciplina delle golden shares: d.l. 15 marzo 2012, n. 21, conv. in l. 11 maggio 2012, n. 56.

4.  Il testo continua: «È sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi di interesse generale e che forniscono servizi di committenza o di centrali di committenza a livello regionale a supporto di enti senza scopo di lucro e di amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 3, comma 25, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza». L’attuale versione risulta dalle modifiche apportate dall’art. 18, comma 4-octies, del D.L. 29 novembre 2008 n. 185 e successivamente dall’art. 71, comma 1, lettera b), della legge 18 giugno 2009, n. 69.
Il co. 28, stabilisce, poi, per gli enti pubblici diversi dallo Stato, «28. L’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento delle attuali devono essere autorizzati dall’organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 27». La delibera è poi, trasmessa alla Corte dei conti. Ai sensi del co., 28-bis, «Per le amministrazioni dello Stato, l’autorizzazione di cui al comma 28 è data con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze». Si dispone, poi, che «per le amministrazioni dello Stato restano ferme le competenze del Ministero dell’economia e delle finanze già previste dalle disposizioni vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge. In caso di costituzione di società che producono servizi d’interesse generale e di assunzione di partecipazioni in tali società, le relative partecipazioni sono attribuite al Ministero dell’economia e delle finanze, che esercita i diritti dell’azionista di concerto con i Ministeri competenti per materia». Il co. 29 definisce il termine, ritenuto non perentorio, per la dismissione delle partecipazioni vietate.

5.  Cons. St., Sez. VI, 20 marzo 2012 n. 1574, in www.giustizia-amministrativa.it; analogamente: TAR Cagliari Sardegna, sez. I, 5 aprile 2013 n. 269, in Foro amm. – TAR, 2013, 4, 1403; cfr. anche Corte Conti reg. Lombardia, Sez. contr., 17 giugno 2010 n. 675, in Riv. corte conti, 2010, 3 , 98. Per una lettura più restrittiva, v., tuttavia, Cons. St., ad plen. 3 giugno 2011 n. 10, in Foro amm. – CdS, 2011, 6, 1842.

6.  Cfr. il § 65 del Bundeshaushaltsordnung. In dottrina, per tutti: T. Würtenberger – S. Neidhart, L’État Actionnaire en Allemagne, in Rev. fran. admin. publ., 2007, 585 ss., C. Fusaro, I servizi locali in Germania: ovvero le attività economiche comunali a garanzia della Daseinsvorsorge in bilico fra fine pubblicistico e mercato, in Dir. pubbl. comp. eur., 2001, 2, 837 ss.

7.  OECD, Guidelines on Corporate Governance of State-owned Enterprises, del 2005, Accountability and Transparency. Guide for State Ownership, del 2010, costruiti a partire dai principi generali in materia di governance societaria: OECD PrinciplesofCorporate Governance, del 2004.

8.  OECD Guidelines on Corporate Governance of State Owned Enterprises, cit., Preamble.

9.  Si promuove, invero, un accentramento della gestione delle partecipazioni, possibile diversi modelli: la relativa attribuzione della titolarità e dei poteri di gestione a un’unica entità, ministero o agenzia, la frammentazione della titolarità delle partecipazioni ma il conferimento ad un unico organo del compito di gestirle, ovvero il mantenimento della titolarità e dei poteri di gestione in capo alle diverse amministrazioni “competenti” ma con una singola autorità chiamata a svolgere un ruolo di “coordinamento”: OECD, Accountability and Transparency. A Guide for State Ownership, cit., 3, 26-27.

10.  Ci si limita, in proposito, a richiamare la nota tesi di G. Santini, Tramonto dello scopo lucrativo nelle società di capitali, in Riv. dir. civ., 1973.

11.  Cfr. OECD, Accountability and Transparency. A Guide for State Ownership, cit., 12, 24, in cui più genericamente ci si riferisce a società totalmente pubbliche eroganti pubblici servizi o comunque tenute ad altre “special obligations”, come entità distinte dalle società miste operanti nel mercato.

12.  Tra i molti contributi: C. Marzuoli, Principio di legalità e attività di diritto privato della Pubblica amministrazione, Milano, 1982, 95 ss.

13.  Alb. Romano, Amministrazione, principio di legalità, ordinamenti giuridici, in Dir. amm., 1999, 1, 111 ss., 127.

14.  Alb. Romano, Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Milano, 1975, 134 ss., Id., La situazione legittimante al processo amministrativo, in Dir. proc. amm., 1989, 511 ss..

15.  V., ad es., M. Dugato, Atipicità e funzionalizzazione nell’attività amministrativa per contratti, Milano, 1996, 21.

16.  A. Amorth, Osservazioni sui limiti all’attività amministrativa di diritto privato, Padova, 1938, ora in Scritti giuridici, Milano, 1999, 455 ss.

17.  Cfr. C. Marzuoli, Principio di legalità, cit., 149-150 ss. Per una nozione ampia del principio di legalità riferito alla pubblica amministrazione, incapace di esaurirsi nelle sole prescrizioni legislative: F. Satta, Principio di legalità e pubblica amministrazione nello Stato democratico, Padova, 1969.

18.  Cfr., ancora, C. Marzuoli, op. cit., 133.

19.  Si pensi all’art. 2497 c.c. che definisce la responsabilità delle società o degli enti i quali, esercitando l’attività di direzione e di coordinamento di società agiscono “nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui”.

20.  Diversamente: M. S. Giannini, voce Atto amministrativo, in Enc. dir., 1959, ora in Scritti, vol. IV (1955-1962), Milano, 2004, 525 ss.

21.  S. Valentini, L’impresa pubblica, Milano, 1980, 47 ss.

22.  Cfr. OECD, Accountability and Transparency. A Guide for State Ownership, 2010, 18-19, 43, 54, 75.

23.  Cons. St., Ad. plen., 3 giugno 2011 n. 10, in Foro amm. – CdS, 2011, 6, 1842.

24.  Per la possibilità del terzo di esercitare l’azione avverso l’inerzia dell’amministrazione ai sensi dell’art. 117 c.p.a. v. ancora, TAR Cagliari Sardegna, sez. I, 5 aprile 2013 n. 269, in Foro amm. – TA R, 2013, 4, 1403. Sullanatura pubblicistica di atti “prodromici alla vicenda societaria”, con particolare riguardo alle s.p.a. costituite dagli enti locali,: R. Cavallo Perin, Comuni e province nella gestione dei servizi pubblici, Napoli, 1993, in partic. 112 ss.; in termini generali: TAR Umbria – Perugia, Sez. I, 28 agosto 2012 n. 335, in Foro amm. – TAR, 2012, 7-8, 2305.

25.  Per tutti: G. Grüner, Enti pubblici a struttura di S.p.A. Contributo allo studio delle «legali» in mano pubblica di rilievo nazionale, Torino, 2009

26.  Cfr. art. 7 del d.l. marzo 2011 n. 34, conv. in l. 26 maggio 2011, n. 75.

27.  Cfr. decreto del MEF 8 maggio 2011.

28.  Cfr. art. 1, co. 2 del d.lgs. n.1/99, modif. dall’art.1 del d.lgs. 14 gennaio 2000, n. 3.

29.  V., ad es., il co. 465 dell’art. unico della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e l’art. 3, co. 32 bis della l. 24 dicembre 2007 n. 244 che ne detta una “interpretazione autentica”, o, ancora, l’art. 6. co. 19, d.l. 31 maggio 2010 n. 78, conv. in l. 30 luglio 2010, n. 122.

30.  V., ad es., la Comunicazione della Commissione “Applicazione degli artt. 92 e 93 del trattato CE alla partecipazione delle autorità pubbliche nei capitali delle imprese”, in Boll. CE 9-1984, la Comunicazione “Applicazione degli artt. 92 e 93 del trattato CEE e dell’art. 5 della direttiva 80/723/CEE della Commissione alle imprese pubbliche dell’industria manifatturiera”, in GUCE 13 novembre 1993, C 307, n. 11, la Comunicazione “Aiuti di stato e capitale di rischio”, (2001/c 235/03).

31.  Cfr. dir. CE n. 2006/111, del 16 novembre 2006, art. 2, § 1.

32.  V., ad es., Corte Giust CE 14 settembre 1994 C-278/98, C-279/92, C-280/92, Spagna C. Commissione, Trib. I grado, Sez. III, 15 settembre 1998 n. 126, Breda Fucine Meridionali s.p.a. C. Commissione Ce, su www. eur-lex.europa.eu, Trib. CE I grado, T- 228/99 e T-233/99, Westdeutsche Landesbank Girozentrale e Land Nordrhein – Westfalen/ Commissione, Trib. I grado, Sez. V, 24 settembre 2008 n. 20, T-20/03, Kahla/Thüringen Porzellan GmbH e Rep. Germania C. Commissione Ce, Ibidem.

33.  Cfr. W. Rathenau, La realtà della società per azioni. Riflessioni suggerite dall’esperienza degli affari, in Riv. soc., 1960, 912 ss., e T. Asquini, I battelli del Reno, in Riv. soc., 1959, 617 ss.

34.  Per queste dinamiche:  Santi Romano, in L’ordinamento giuridico, 2° ed., 1945, 33 ss. 115-116, 122, 126, e cfr. Alb. Romano «L’ordinamento giuridico» di Santi Romano, il diritto dei privati e il diritto dell’amministrazione, in Dir. amm. 2011, 2, 241 ss.

35.  Cfr. art. 4, co. 1, l. n. 366/2001, “Delega al Governo per la riforma del diritto societario”.

36.  Per tutti: G. Ferri, Società per azioni (ad vocem), in Enc. Giur. Trecc., XXXIII, 1987, 3., M. Rondinelli, Il sistema dualistico di amministrazione e controllo nella società per azioni tedesca, in AA. VV. Percorsi di diritto societario europeo, II ed., Torino, 2011, 207 ss, 242-245.

37.  Sulle diverse declinazioni della teoria istituzionalistica della s.p.a.: G. Visentini, La teoria della personalità giuridica ed i problemi della società per azioni, in Riv. soc., 1990, 1 89 ss. In termini critici: M. Libertini, Impresa e finalità sociali. Riflessioni sulla teoria della responsabilità sociale dell’impresa, in Riv. soc., 2009, 1, 1 ss.

38.  Cons. St., Sez. VI, 20 marzo 2012. 1574, in Foro amm. – CdS, 2012, 3, 696. D’altra parte, in dottrina, non manca chi afferma che “è alla forma societaria che si ricorre, e soprattutto alla società per azioni” quando l’ordinamento intende assegnare specifica rilevanza, riguardo all’esercizio dell’impresa, a “interessi ulteriori” rispetto a quelli dei soci-proprietari, anche all’“interesse pubblico”: C. Angelici, Società per azioni e interessi pubblici, in AA. VV., Nuovi Poteri e dialettica degli interessi, Atti del LV Convegno di scienza dell’amministrazione, Varenna, Villa Monastero, 24-26 settembre 2009, Napoli, 2010, 69 ss., 73.

39.  Cfr., in particolare, l’art. 3 della versione consolidata del TUE. V. anche la Comunicazione della Commissione europea, Verso un atto per il mercato unico. Per un’economia sociale di mercato altamente competitiva, Bruxelles, 27 ottobre 2010, Comunicazione della Commissione: L’atto per il mercato unico. Dodici leve per stimolare la crescita e rafforzare la fiducia. “Insieme per una nuova crescita”, Bruxelles, 13 aprile 2011; Comunicazione della Commissione. L’atto per il mercato unico II. Insieme per una nuova crescita, Bruxelles, 3 ottobre 2012.