Sanzioni penali di illeciti amministrativi. Un cattivo diritto per l’economia – e non solo per essa
5. Il principio della separazione dei poteri è un principio costituzionale fondamentale, pur non potendo essere assoluto, come ormai pacificamente si ammette [6]. Viene in gioco qui il suo significato nel rapporto tra potere esecutivo e potere giudiziario. Il governo, quale organo di vertice del potere esecutivo, deriva la propria esistenza e le proprie attribuzioni da un complicatissimo rapporto fiduciario che deve avere con il Parlamento e con le forze politiche. È investito di poteri e responsabilità molto ampi, che, per quanto qui rileva, esercita attraverso la pubblica amministrazione. Certo, l’amministrazione agisce gra-zie ad una sorta di mediazione della legge, che disciplina la sua azione; ma altrettanto certo è che valutare, comparare, progettare, decidere, togliere ed attribuire è compito suo ed esclusivamente suo. Non a caso l’art. 95 Cost. afferma che la responsabilità dell’azione amministrativa ricade sul governo [7] e l’art. 97 prescrive che “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”. Come tutti sanno, i risultati conseguiti sono un parametro di riferimento essenziale per ogni discorso che riguardi l’amministrazione ed i suoi dipendenti.
Di fronte a questo assetto di dipendenza dell’amministrazione dal governo, l’art. 101 Cost. dice che coloro in cui il potere giudiziario si incarna, i giudici, “sono soggetti soltanto alla legge” e l’art. 104 che “la magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere”, in cui i magistrati sono inamovibili (art. 107). In concreto, sempre secondo il dettato dell’art. 104, l’autonomia e l’indipendenza del corpo dei magistrati sono garantite e protette dal Consiglio superiore della magistratura, i cui componenti per due terzi sono magistrati eletti dai magistrati, due sono membri di diritto (il presidente della Cassazione ed il Procuratore generale) ed un terzo è eletto dal Parlamento.
I pubblici ministeri sono anch’essi magistrati a tutti gli effetti, come è ben noto; godono delle garanzie previste per loro dalle norme sull’ordinamento giudiziario, che sono praticamente le stesse previste per i giudici. La sola differenza è che, dovendosi attivare nel perseguire e far punire chi commette reati (“il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale” recita l’art. 112 Cost.), sono necessariamente inseriti in una struttura organizzata, in cui deve esservi e vi è un capo, il procuratore della Repubblica. Coloro nei cui confronti deve esercitare la funzione di indirizzo e di direzione non sono però suoi subordinati, che attuano le disposizioni del vertice a diversi livelli di competenza ed autonomia, come è proprio di qualunque organizzazione, salvi possibili dettagli. I magistrati pubblici ministeri che affiancano il procuratore della Repubblica sono suoi “sostituti”, non “subordinati”: quindi con pari dignità, come dice l’art. 107, co. 3. È superfluo osservare che una struttura organizzativa di questo genere nulla ha in comune con quella di una pubblica amministrazione, dove domina il principio gerarchico.
Se si riflette dunque sul rapporto costituzionale tra esecutivo e giudiziario, sembra evidente che si contrappongono due universi profondamente diversi. L’uno, il potere esecutivo ed in esso la pubblica amministrazione, è proiettato verso il futuro, con il fine univoco di rendere ordinato l’evolversi della società e favorirne il miglioramento. Questa è la sostanza concreta di ciò che viene comunemente detto “cura dell’ interesse pubblico” [8], affidata all’amministrazione. L’altro, il potere giudiziario, ha la duplice funzione di dirimere le liti – il celeberrimo ne cives ad arma veniant – e di punire chi commette i reati, con ciò inducendo un circuito virtuoso, appunto di prevenzione dei reati stessi. Le dimensioni, le prospettive, le funzioni svolte, le dinamiche di sistema sembrano non avere punti in contatto: nella cornice di una società e di uno Stato molto complessi, esprimono una compresenza di poteri in regime di separazione.
In realtà un punto di contatto c’è, ed è di cruciale rilievo. È la legge: che per l’amministrazione è guida per l’esercizio del compito affidatole, curare l’interesse pubblico nelle sue strutturali interferenze con gli interessi privati, mentre per il potere giudiziario è parametro per giudicare fatti e comportamenti necessariamente passati. Mentre insomma l’amministrazione si cura di ciò che Tizio intende fare, il giudice valuta ciò che Tizio ha fatto, in relazione a norme sotto cui potrebbe ricadere la sua attività – in quanto qualificabile come reato.
È chiaro che Tizio può aver violato la legge che qualifica come reato una certa fattispecie. Ma delle due l’una: o la ha violata intenzionalmente, scavalcando l’amministrazione: ed allora non vi è dubbio che la violazione della legge sia reato e la procura della Repubblica a buon diritto lo indaghi ed incrimini. Se però ha chiesto ed ottenuto le autorizzazioni che la legge richiede, non Tizio, ma l’amministrazione è responsabile della violazione. Il pubblico ministero che voglia occuparsi di questo fatto deve indagare solo se vi è stato o non vi è stato dolo. Se trova la prova del dolo di qualche amministratore (e necessariamente di Tizio), nulla quaestio: vi è il reato. Ma se non trova questa prova, la violazione di legge è frutto di un errore, di diritto o di fatto che sia. L’ordinamento prevede precisi rimedi: annullamento d’ufficio, reductio in pristinum, risarcimento del danno.
Questo vuole il principio di separazione dei poteri.
Note
6. Basti pensare ai poteri di nomina di presidenti e membri di autorità indipendenti attribuiti ai presidenti delle camere ed alla commissione parlamentare di vigilanza sulla RAI, per fare due soli esempi.↑
7. “1. Il presidente del consiglio dirige la politica generale del governo e ne è responsabile. Promuove e mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri. 2. I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri e singolarmente degli atti dei loro dicasteri. 3. (omissis)” …↑
8. Sull’interesse pubblico si potrebbe e dovrebbe dire molto, perché è uno dei concetti più ricchi di contenuto ed al tempo stesso più equivoci che si conoscano. Basti dire che il suo termine di riferimento – ciò che qualifica un interesse come “pubblico” – è passato dall’amministrazione in quanto tale alla collettività, senza che ne sia derivato un radicale ripensamento.↑