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Produttività o occupazione? Un falso dilemma?*

di - 12 Dicembre 2016
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Dal lato della domanda l’effetto espansivo degli investimenti pubblici può essere ricompreso, nel volgere di un biennio, tra due e tre[21]. Il moltiplicatore supera di molto quello – prossimo o inferiore all’unità – della spesa pubblica per consumi correnti, dei trasferimenti pubblici a famiglie e imprese, della detassazione. Assumendo un’elasticità 0,5 del rapporto disavanzo pubblico/Pil rispetto all’aumento dello stesso Pil, l’investimento pubblico si autofinanzia in tempi brevi, anche se viene inizialmente coperto da indebitamento. Ad esempio, un investimento aggiuntivo pari all’1% del Pil aumenta il Pil di oltre il 2%, e quindi per questa via migliora dell’1% del Pil il saldo del pubblico bilancio. Ma l’effetto netto sulla domanda globale resta positivo anche nel caso in cui l’investimento sia inizialmente coperto da riduzione di spese correnti o da aumento del gettito fiscale. Accrescendosi il Pil, se il bilancio pareggia, il debito pubblico flette in rapporto al Pil.
Dal lato dell’offerta, gli investimenti pubblici aumentano la produttività dell’intero sistema economico allorché ne beneficiano infrastrutture, fisiche e immateriali, R&D, reti, utilities, istruzione. Ancor più importante è la messa in sicurezza del territorio da alluvioni, frane, terremoti, che altrimenti colpirebbero la persona stessa dei cittadini, oltre ai loro averi e alle loro attività economiche. I disastri che l’Italia sta vivendo al centro dell’Appennino ne sono tremenda testimonianza.
Il caso dell’Italia è davvero grave. Gli investimenti fissi lordi della P.A. in rapporto al Pil sono caduti di più e sono più bassi che negli altri paesi avanzati (3,5% negli anni Ottanta del Novecento, 2% nel 2015). Da due decenni sia la produttività del lavoro sia il progresso tecnico ristagnano, mentre la domanda globale a metà del 2016 resta su livelli dell’8% inferiori a quelli di dieci anni fa e il tasso di disoccupazione è prossimo al 12%. Gli ultimi tre governi – Monti, Letta, Renzi – hanno addirittura tagliato gli investimenti della P.A. a prezzi correnti del 18% (da 45 miliardi di euro nel 2011 a 37 miliardi nel 2015). Preziose risorse – oltre un punto di Pil – sono state sottoutilizzate nella forma di trasferimenti-sussidi-sgravi ad alcune famiglie e ad alcune imprese. Essendo il loro moltiplicatore ben inferiore all’unità – 1/3 di quello degli investimenti pubblici – il sostegno alla domanda è stato modesto. Sussidiata, dal 2013 al 2016 l’occupazione è artificialmente aumentata (3%) più del Pil (1,5%). Ne ha risentito la produttività del lavoro. Quelle stesse risorse sono state sottratte alla manutenzione di infrastrutture seriamente carenti e alla messa in sicurezza di un territorio flagellato da disastri naturali, con morti e feriti oltre alla perdita di beni. Sia l’effetto di domanda, sia l’apporto alla produttività del sistema sarebbero stati ben maggiori se quelle risorse fossero state investite.
Ricorre ancora l’espressione “politica industriale”. Un insigne economista italiano, Claudio Napoleoni, era solito dire: “Che cosa deve essere la politica industriale? Credo che nessuno di noi abbia idee chiare su questo punto…”[22]. Una gestione corretta e funzionale degli investimenti pubblici – per un liberale come Keynes ”programmata”, a complemento degli investimenti privati – può restituire significato all’espressione. Là dove tuttora esistono, anche le imprese a controllo pubblico devono recare un contributo. Studi recenti hanno smentito la visione negativa, quasi demonologica, dell’intervento dello Stato sulle attività produttive e dell’impresa a partecipazione statale. In realtà in vari paesi, Stati Uniti compresi[23], il ruolo dello Stato e dell’impresa pubblica è risultato cruciale per l’innovazione, il progresso tecnico, la loro diffusione nel sistema produttivo. In Italia è stato rivalutato l’apporto dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale – l’IRI – dalla sua costituzione nel 1933 alla frettolosa privatizzazione delle sue aziende, fino alla liquidazione nel 2002[24]. Basti citare un solo dato: fra il 1963 e il 1971 l’IRI, occupando meno del 2% della forza-lavoro impiegata nel Paese, aveva espresso, da solo, una spesa per R&D pari a un quarto di quella effettuata dall’insieme delle imprese private nazionali.
Produttività e occupazione non sono condannate a confliggere…

Note

21.  IMF, World Economic Outlook, Washington, October 2014, Ch. 3.

22.  C. Napoleoni, Intervento, in Cedes, Crisi, occupazione, riconversione, Rosenberg & Sellier, Torino, 1977, p. 39.

23.  M. Mazzucato, The Entrepreunerial State. Debunking Public vs. Private Sector Myths, Anthem Press, London, 2013.

24.  AA.VV., Storia dell’IRI, 6 Voll., Laterza, Roma-Bari, 2012-2014.

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