Ignazio Musu, Proteste degli agricoltori e agricoltura sostenibile.
Le proteste degli agricoltori europei andrebbero prese più seriamente di quanto non stia avvenendo e affrontate dai governi non solo, come sta avvenendo, prendendo misure volte a far fronte alla paura degli effetti negativi sulle prossime elezioni per il Parlamento Europeo.
Dietro le proteste degli agricoltori che hanno caratterizzato tutta l’Europa ci sono prezzi di vendita in declino, costi crescenti a causa dei più potenti venditori al dettaglio, pesanti regole giustificate con la lotta al cambiamento climatico, e il danno prodotto da importazioni competitive a costi decrescenti.
Questi impatti negativi sono sicuramente in larga parte il frutto di una Politica Agricola Europea che, da sessant’anni, ha puntato su una crescente industrializzazione dell’agricoltura, che ha favorito le imprese agricole più grandi, peraltro spesso crescite con l’indebitamento, a scapito delle imprese agricole più piccole divenute sempre più non competitive.
Ma recentemente si sono aggiunti nuovi fattori che andrebbero adeguatamente considerati.
I costi per gli agricoltori, principalmente per l’energia, i fertilizzanti e il trasporto, sono cresciuti dopo la guerra in Ucraina; al tempo stesso, i governi e i venditori al dettaglio hanno ridotto i prezzi d’acquisto dei prodotti acquistati dagli agricoltori.
Gli agricoltori europei si sono trovati di fronte a una forte riduzione dei prezzi dei prodotti agricoli importati dall’Ucraina, dopo che l’Unione Europea ha tolto i limiti preesistenti all’invasione russa.
Non solo, ma gli agricoltori europei si sono anche trovati di fronte a importazioni competitive di prodotti agricoli da paesi come Nuova Zelanda o il Cile, che non hanno l’obbligo di rispettare le regole imposte ai produttori agricoli europei.
Oltre a questo, gli agricoltori europei temono la conclusione dell’accordo commerciale tra l’Unione Europea e l’America Latina, noto come EU-Mercosur, che comporterebbe una iniqua competizione per prodotti come zucchero, grano e carne.
Recentemente, ancora, il settore agricolo europeo, al quale va attribuito l’11 per cento delle emissioni di gas serra, è apparso allarmato dal Green Deal Europeo che implica il dimezzamento dei pesticidi entro il 2030, la riduzione del 20 per cento dell’uso di fertilizzanti, un maggior utilizzo della terra per usi non agricoli, lasciandola incolta o piantando alberi per assorbire i gas serra dall’atmosfera; anche l’obiettivo di raddoppiare la produzione organica, senza adeguati incentivi, per spostarvisi della produzione tradizionale è diventata fonte di preoccupazione.
Di fronte alle proteste degli agricoltori, i governi europei hanno preso misure a breve termine per fermarle, come le riduzione delle tasse sui combustibili fossili usati dai trattori, la proposta dell’Unione Europea di riprendere limiti alle importazioni agricole dall’Ucraina e di ritardare i vincoli alla destinazione delle terre a agricoltura organica, la proposta per presidente francese Emanuel Macron e del primo ministro irlandese Leo Varadkar di non firmare l’accordo EU-Mercosur nella forma attuale.
Ma queste misure di breve termine non affrontano il vero problema che le proteste degli agricoltori sollevano, quella di costruire in Europa una agricoltura sostenibile coinvolgendo gli agricoltori, dando loro gli incentivi adeguati a passare a un modello di agricoltura più sostenibile e compensandoli per i costi che devono affrontare per l’abbandono dell’attuale modello insostenibile.
La Politica Agricola Europea ha favorito una agricoltura industrializzata che non si fonda soltanto sull’energia solare che guida i cicli naturali del carbonio, dell’azoto, dell’acqua e quelli alla base dei nutrienti delle piante, ma che ha aggiunto ulteriori forme di energia come quella proveniente dai prodotti chimici sintetici.
Tutto questo ha prodotto rendimenti più elevati, ma ha anche prodotto effetti negativi sull’ambiente come la degradazione del suolo, l’inquinamento da fertilizzanti e pesticidi, un uso eccessivo dell’acqua.
Una agricoltura sostenibile dovrebbe invece portare ad avere un livello stabile di produzione agricola, senza però compromettere il sistema ambientale che lo sostiene; da un punto di vista economico, questo significa internalizzazione delle esternalità e utilizzo equilibrato delle risorse a proprietà comune.
Una agricoltura sostenibile non dovrebbe puntare solo al mantenimento dell’ambiente, bensì a una sua “rigenerazione”; di qui, il recente concetto di “agricoltura rigenerativa” che punta non solo a mantenere, ma a migliorare la qualità del suolo, della qualità della vegetazione, dell’acqua, a promuovere l’assorbimento del carbonio aiutando così a mitigare il cambiamento climatico.
Strumenti per una agricoltura sostenibile e rigenerativa sono una fertilizzazione organica basata sul riciclaggio delle piante e dei rifiuti animali, e sulla rotazione e interrelazione di raccolti volti a mantenere l’equilibrio nella nutrizione del suolo; e una gestione integrata dei parassiti (“Integrated Pest Management”, IPM) basata su un controllo naturale e la riduzione dei pesticidi chimici.
Arrivare però a una agricoltura sostenibile e rigenerativa non è però un compito facile, soprattutto, se come accade in Europa, tutta la politica agricola è stata impostata sull’obiettivo di una agricoltura industrializzata, con forti incentivi in questa direzione.
Per invertire questa tendenza non bastano documenti programmatici e misure non integrate, che finiscono per colpire gli agricoltori che realizzano proprio quella agricoltura industrializzata e non sostenibile indicata dalla Politica Agricola Comune.
Per rendere possibile questo passaggio di modello, disincentivi sotto forma di aumenti di prezzo per comportamenti e tecniche che promuovono una agricoltura non sostenibile servono, ma il ricavato di questi e di altre fonti di entrate pubbliche dovrebbe essere destinato a adeguati incentivi agli agricoltori perché si muovano nella direzione di una agricoltura sostenibile e rigenerativa.
Da un punto di vista economico, sarebbe anche necessaria una più decisa azione da parte dei governi per ridurre i comportamenti di fatto monopolistici delle società alimentari nella loro funzione di acquirenti dei prodotti agricoli e di venditori dei prodotti alimentari.
Soprattutto, sono necessarie una azione di incentivazione della ricerca per arrivare a nuove tecnologie per la realizzazione di una agricoltura sostenibile e rigenerativa, e una azione di educazione e informazione degli agricoltori su come applicare queste tecnologie.
In sostanza c’è un gran lavoro da fare da parte dei governi europei per fare degli agricoltori i protagonisti di una agricoltura sostenibile e rigenerativa; e invece, si assiste a un sostegno di fatto a tecnologie che puntano rendere l’alimentazione sempre meno dipendente dall’agricoltura con effetti sulla qualità della vita e anche sulla salute quanto meno discutibili.
Anche in questo campo, come in molti altri, ci sarebbe molto da cambiare nella politica europea; ma, intanto singoli governi potrebbero dare il buon esempio, magari spinti da opinioni pubbliche più sensibili e informate.