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La giuridificazione delle esigenze sociali oltre il mercato. Solidarietà europea tra terzo settore e contratti pubblici

di - 3 Ottobre 2023
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La giuridificazione delle esigenze sociali oltre il mercato. Solidarietà europea tra terzo settore e contratti pubblici[1]

 

 

1.Il metodo nella prospettiva istituzionale del diritto. – 2. L’influenza del diritto europeo sulla disciplina del terzo settore. – 3. Relazione tra nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. n.36/2023) e codice del terzo settore (d.lgs. n.117/2017).

 

Esigenze di sintesi consigliano, data l’ampiezza del volume, di soffermarsi, in particolare, su tre profili. Il primo relativo al metodo, anche in una prospettiva di scuola; il secondo riguardante l’attenzione riservata da Davide Palazzo all’influenza del diritto europeo sulla disciplina del terzo settore; il terzo circa il rapporto tra codice del terzo settore e codice dei contratti pubblici.

 

1.Il metodo nella prospettiva istituzionale del diritto.

Il metodo applicato da Davide Palazzo si colloca pienamente nella cosiddetta “prospettiva istituzionale del diritto”, che indaga la relazione tra ordinamenti: l’ordinamento generale, l’ordinamento amministrativo e l’ordinamento dei privati. Il richiamo è alla pagina di Salvatore Romano nella sua presentazione al “Diritto dei privati” di Widar Cesarini Sforza, nella quale Romano valorizzava il compito della Carta costituzionale di saldare insieme unità e pluralità: garanzia di unità dell’ordinamento e convivenza al suo interno di una pluralità di ordinamenti derivati[2]. Questo pensiero è stato ulteriormente sviluppato in un denso scritto di Alberto Romano su “L’ordinamento giuridico di Santi Romano” che riprende ed affina il tema dell’autonomia dei privati[3].

La Costituzione, infatti, riconosce e promuove l’autonomia degli enti locali (art. 5) ma riconosce anche i diritti individuali dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali (art. 2).

Il verbo “riconoscere” rappresenta, sul piano lessicale, un elemento ricorrente nelle disposizioni della Costituzione, che rimanda alla precedenza logica e giuridica dell’individuo (ossia dell’autonomia privata) e dell’autonomia locale, in una dimensione che fornisce una precisa direzione ermeneutica con riguardo alla relazione tra fatto e diritto, tra una dimensione sociale e solidaristica ancora relegata nell’irrilevante giuridico e i processi della sua successiva giuridificazione. Ed infatti il codice del terzo settore, come è tipico delle codificazioni (anche di settore) si pone l’obiettivo di costituire un sistema normativo organico e unitario al fine di superare la frammentarietà delle precedenti discipline, un micro-sistema che aspira alla autosufficienza, con l’intento di sistematizzare e chiarire la natura e il ruolo degli enti del terzo settore oltre la dicotomia pubblico/privato, norme pubblicistiche/codice civile, interesse generale/interessi individuali e particolari.

Nel nostro ordinamento la parabola pubblicistica, che si è sovrapposta alla vicenda di progressiva edificazione dello Stato Persona all’indomani dell’unificazione nazionale, è risultata servente all’autonomizzazione del diritto pubblico dal diritto privato e ha esaltato i profili di uniformità e di imperatività del nascente diritto amministrativo[4]. Emblematica di questa deriva pan-pubblicistica è stata la riconduzione delle attività di beneficenza e di assistenza svolte dalle IPAB (istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza), definibili in senso atecnico e ante litteram come “attività sociali”, nell’alveo pubblicistico dalla Legge Crispi (legge 17 luglio 1890, n. 6972); solo successivamente dichiarata incostituzionale dal nostro giudice delle leggi.

Un movimento opposto può essere osservato con riguardo all’esperienza inglese. In questo ordinamento le attività di beneficenza e di assistenza venivano storicamente svolte da strutture sociali che operavano ad un livello ancora non giuridico, ma prevalentemente morale[5].  Le istituzioni locali inglesi, costituite da una miriade di corpi sociali che non avevano ancora assunto una piena “centralità giuridica” nel quadro costituzionale inglese, non sono state inglobate in un sistema accentrato e pubblicistico, ma hanno continuato a svolgere attività per le collettività locali su di un piano solidaristico e di vicinanza ai più bisognosi. Sarà solo con l’imposizione del controllo governativo sulle amministrazioni locali che si inizieranno ad intravedere le prime tracce di un sistema di diritto amministrativo che si svilupperà dal basso verso l’alto.

Nel nostro ordinamento si dovrà attendere la riforma costituzionale del 2001, e la introduzione del principio di sussidiarietà nella sua accezione orizzontale, che fornisce fondamento costituzionale  al criterio di ripartizione delle competenze tra pubblici poteri e società civile nello svolgimento di attività di interesse generale, individuandolo nella maggiore vicinanza rispetto ai destinatari dell’attività. In questo senso gli enti del terzo settore risultano più adeguati a fornire attuazione a quei doveri “di solidarietà politica, economica e sociale” già richiamati dall’art. 2 della Costituzione per garantire il principio personalista che sintetizza la matrice culturale liberale e mutualistica della nostra Costituzione.

La diversa collocazione dell’articolo 2 Cost., nelle disposizioni sui principi fondamentali, e dell’art. 118 Cost., nelle disposizioni sugli enti territoriali, fa emergere lo specifico significato rispettivamente del principio di solidarietà e di sussidiarietà con riguardo agli enti del terzo settore.

Il principio di solidarietà presuppone un collegamento tra astratta garanzia dei diritti inviolabili, che alludono ad una loro consistenza quasi pre-giuridica, ed assunzione di “doveri di solidarietà sociale” non solo da parte dello Stato, ma anche da parte dei singoli o delle formazioni sociali.

Pertanto già nell’articolo 2 si coglie in chiave programmatica l’esistenza di un vincolo al perseguimento di obiettivi sociali gravante non solo sulla Repubblica, ma anche sulla società civile, recuperando il significato semantico di solidarietà, che sottolinea un’interdipendenza, quasi fratellanza ispirandoci al lessico della Rivoluzione francese, discendente dal comune status di cittadino, titolare di diritti e di doveri, appunti solidali. Non è un caso che la Corte costituzionale abbia qualificato il terzo settore espressione della “società solidale”. E che il legislatore del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n.36/2023) all’art. 6 nel codificare il modello organizzativo dell’amministrazione condivisa abbia sottolineato la spontaneità (il vincolo morale) e l’assenza di rapporti sinallagmatici tra pubblica amministrazione e enti del terzo settore, fondati invece sulla cooperazione.

Il principio di sussidiarietà, per la sua collocazione nel Titolo V riguardante le Regioni, Province e Comuni, costituisce un criterio di ripartizione di competenze tra pubblici poteri e autonoma iniziativa dei privati (singoli o associati), che rimanda alla nozione di cittadinanza attiva (utilizzata da alcune leggi regionali), alla quale deve riconoscersi un ruolo propulsivo e sussidiario nello svolgimento delle funzioni amministrative.

Questo principio sembra implicitamente rimandare alla crisi dello Stato sociale, ossia all’incapacità imputabile a ragioni organizzative ma anche finanziarie di svolgere in modo efficace, ed efficiente, quelle attività sociali che non sono collocabili in una dinamica di mercato, nonostante la difficoltà di offrire soluzioni politico istituzionali alternative allo Stato. Questa situazione di crisi giustifica la sperimentazione di modelli di amministrazione condivisa, che – come si ricava dal libro di Palazzo – dovrebbero rappresentare una forma di azione amministrativa che trascende la distinzione moduli pubblicistici/moduli privatistici. Essa costituisce la manifestazione di quello sbiadimento o diluizione della nozione di pubblica amministrazione in senso soggettivo, dovuta alla configurazione di forme ibride e combinatorie: da un lato, sul versante organizzativo, le c.d. organizzazioni pubbliche in forma privatistica; dall’altro, sul versante procedimentale, l’attrazione nel regime della l. n. 241/1990 di figure formalmente privatistiche, limitatamente alla loro attività di interesse generale (ad esempio, nella disciplina del diritto di accesso). A conferma dell’interferenza tra disciplina pubblicistica e disciplina privatistica l’art.1, comma 2 bis, l. n. 241/1990 stabilisce che i rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede. Applicazione selettiva di frammenti di regimi sottolineata dalla dottrina amministrativistica tedesca, che ha definito diritto pubblico e diritto privato come sistemi di reciproco supporto, sottolineando la permeabilità dei due regimi[6].

La crisi dello Stato sociale e il crescente coinvolgimento della società civile quale ragione giustificatrice di forme di amministrazione condivisa ci permette di passare al secondo punto. Ossia alla relazione tra diritto europeo ed enti del terzo settore.

 

  1. L’influenza del diritto europeo sulla disciplina del terzo settore.

L’indifferenza o forse la disattenzione del diritto europeo per gli enti del terzo settore sembrerebbe discendere da una ragione genetica, ascrivibile ai tratti originari della Comunità economica europea. Quest’ultima, come è noto, venne istituita per il perseguimento di finalità spiccatamente mercatiste: la creazione del mercato unico e, in via strumentale, l’iper-protezione delle libertà economiche. Con l’affermazione del dogma della concorrenza e della parità delle armi tra gli operatori economici.

La funzione trainante riconosciuta al sistema europeo della tutela giurisdizionale ha favorito la trasformazione, in virtù del ruolo poietico svolto dalla Corte di giustizia, della Comunità economica europea in una “Rechtsgemeinschaft” (Comunità di diritto)[7] e poi con il Trattato di Lisbona al riconoscimento alla Carta dei diritti fondamentali UE dello stesso valore giuridico dei Trattati (art. 6, par. 1, TFUE). Questo approdo ha permesso di cancellare il vizio originale della CEE in vista dell’inclusione della tutela dei diritti sociali tra le finalità che l’ordinamento europeo dovrebbe assicurare. Arricchimento negli obiettivi europei che in via paradigmatica e diacronica si coglie nell’evoluzione della disciplina europea degli appalti pubblici, prima limitata alla creazione del mercato unico, al quale si sono aggiunti progressivamente obiettivi sociali, ambientali. Nel contesto europeo la garanzia dei diritti sociali è risultata sottoposta ad una non sempre imparziale operazione di bilanciamento, nella quale la componente finanziaria ha sempre svolto un ruolo cruciale, costringendo l’Unione europea ad utilizzare meccanismi compensativi dovuti alla persistente rarefazione della dimensione politica (si veda la condizionalità nell’assegnazione dei fondi strutturali europei e il rispetto del principio dello Stato di diritto per i finanziamenti del Next Generation EU).

Se allora il metodo funzionalista, alla base dell’integrazione europea, ha spinto a teorizzare l’indifferenza verso lo statuto pubblicistico o privatistico degli enti, si registra una crescente e specifica attenzione da parte del diritto europeo alla disciplina degli enti del terzo settore, quale conseguenza dell’evoluzione sotterranea relativa alla natura dell’UE.

La relazione tra diritto europeo e disciplina degli enti non profit si è imbattuta innanzitutto nella regola aurea del diritto europeo che, nonostante alcune interpretazioni più elastiche, si fonda tutt’ora sul principio di attribuzione, posto che i Trattati non prevedono esplicite competenze europee al riguardo[8].

Dalla monografia emerge, tuttavia, come l’assenza di una esplicita attribuzione di competenze possa essere superata facendo leva su un complessivo quadro assiologico ricavabile dagli artt. 2 e 3 del TUE. Tra i valori che l’Unione deve perseguire l’art. 3 del TUE menziona esplicitamente “l’economia sociale di mercato fortemente competitiva”, dove la qualificazione quale “fortemente competitiva” sembrerebbe imprimere una precisa direzione di coerenza con paradigmi economici liberisti.

Nella sottoposizione degli enti del terzo settore al principio di concorrenza si coglie una traiettoria di cambiamento che raggiunge la sua sistemazione definitiva soltanto con il nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023). La giurisprudenza europea più conservativa sosteneva come il regime derogatorio riconosciuto agli enti del terzo settore avesse carattere eccezionale e di stretta interpretazione. La deroga del principio della gara e della par condicio tra gli operatori economici era infatti ammissibile soltanto a condizione che l’attività svolta dagli enti non profit non avesse rilevanza economica e quindi non producesse un impatto sul funzionamento competitivo del mercato.

L’assenza di un fine di lucro, unitamente al raggiungimento di obiettivi solidaristici e mutualisti  giustificavano un regime speciale e differenziato, secondo una logica regola/eccezione che è alla base anche di altri atti di diritto derivato europeo, come la direttiva servizi c.d. Bolkenstein (Direttiva 2006/123/CE). Proprio negli interstizi della nozione di “motivi imperativi di interesse generale” era permesso agli Stati introdurre discipline che si allontanavano dal modello ideologico del libero mercato e quindi dalle nuove regole in materia di liberalizzazione.

In termini teorici forse una base ulteriore per riconoscere una più forte legittimazione agli enti del terzo settore muovendo dalle norme dei Trattati potrebbe discendere dalla lettura presentata nell’ultima monografia di Armin von Bogdandy, che analizzando in chiave “trasformativa” i cambiamenti o meglio la “Strukturwandel” del diritto pubblico coglie nella declinazione al singolare del concetto di “società”, richiamata nell’art. 2 del TUE, un obiettivo diverso ed ulteriore rispetto al traguardo dell’unione sempre più stretta (“ever closer union”) tra i popoli europei[9].

In altri termini, il progetto dell’integrazione europea non sarebbe rivolto a creare un utopico Stato federale europeo ma a dar luogo alla società europea, in grado di conferire alla “solidarietà europea” una dimensione eccedente le dinamiche strettamente mercatiste e soprattutto di ammantare gli obiettivi sociali di una cornice europea unitaria (e non solo nazionale).  Questa nozione di società europea viene individuata da von Bogdandy anche tra le righe della sentenza della Corte costituzionale polacca in riposta alla sentenza della CGUE di condanna rispetto alla riforma del sistema giudiziario polacco[10]. Questa concettualizzazione più progredita di “società europea”, che risolve la visuale dicotomica tra sfera pubblicistica e privatistica, recide il cordone ombelicale con gli Stati membri, superando le ambiguità della nozione di cittadinanza europea, condannata ad una dimensione di secondo grado.

 

  1. Relazione tra nuovo codice dei contratti pubblici (d.lgs. n.36/2023) e codice del terzo settore (d.lgs. n.117/2017).

Questa rinnovata interpretazione della componente sociale, quasi comunitaria, nelle norme dei Trattati conduce all’esame dell’ultimo profilo, ossia alla relazione tra codice dei contratti pubblici e codice del terzo settore.

Nelle ultime direttive del 2014 gli enti del terzo settore sono oggetto di specifica considerazione, ma è solo con il codice n. 36/2023 che viene introdotto un regime specifico in via generalizzata e non più in una logica derogatoria e di eccezione.

La dequotazione della dimensione dogmatica della concorrenza nel nuovo codice dei contratti pubblici, peraltro già affiorante in alcuni considerando delle direttive europee del 2014, ha favorito la previsione di un “regime speciale generalizzato” per il terzo settore, superando le apparenti conflittualità che la giurisprudenza amministrativa aveva colto tra gli articoli 55 e 57 del codice del terzo settore e la precedente disciplina del codice dei contratti pubblici. Questa giurisprudenza aveva sostenuto, muovendo dal primato del diritto euro unitario, “la prevalenza del codice dei contratti pubblici su quello del terzo settore” con la conseguenza che, in caso di conflitto, il giudice e l’Amministrazione avrebbero dovuto disapplicare le disposizioni del terzo settore contrastanti con il diritto europeo (Parere del Consiglio di Stato, n.2052/2018). Il superamento della conflittualità era già stato anticipato da un parere del Consiglio di Stato n. 802/2022, che intravedeva una direzione di cambiamento nell’affidamento diretto dei servizi sociali, con ampi spazi di sottrazione alla disciplina della concorrenza e del mercato.

La specialità delle modalità di coinvolgimento degli enti del terzo settore da parte delle pubbliche amministrazioni è confermata in termini generali dall’enunciazione dei principi di solidarietà sociale e di sussidiarietà orizzontale fatti convergere nell’articolo 6 d.lgs. n.36/2023 nella funzionalizzazione al perseguimento di obiettivi di spiccata valenza sociale. L’ultimo comma dell’articolo 6 stabilisce esplicitamente la non applicazione del codice dei contratti pubblici al Titolo VII del codice del terzo settore (artt.55-57, d.lgs. n.117/2017), che prevede l’affidamento diretto dei servizi, disciplinando le specifiche modalità di coinvolgimento degli enti del terzo settore.

Del resto che l’ordinamento europeo non imponga il ricorso al mercato e le procedure di gara a tutti i costi si ricava da alcuni passaggi significativi della relazione illustrativa del Consiglio di Stato al nuovo Codice dei contratti pubblici, dove nel chiarire la funzione orientativa del principio del risultato si mette in discussione “la tutela fideistica della concorrenza”. La concorrenza, infatti, non costituisce un obiettivo ma un metodo: un metodo che deve garantire il risultato. Assecondando l’impostazione sostanzialistica del diritto europeo, il Consiglio di Stato ribadisce come il diritto europeo non impone il mercato, ma solo il rispetto della concorrenza se si sceglie di andare sul mercato. Anche il funzionamento competitivo del mercato esige il bilanciamento del principio di concorrenza con altri principi: tra questi sicuramente il favore che il nostro ordinamento costituzionale riconosce alle iniziative di particolari soggetti privati, quando questi ultimi siano funzionali al raggiungimento più efficace di obiettivi sociali, solidaristici, civici.

La circostanza che le direttive europee non costringano gli Stati membri ad utilizzare l’evidenza pubblica trova una conferma virtuosa nell’esperienza tedesca, nella quale le direttive europee sui contratti pubblici sono state trasposte nella legge sulla concorrenza, assecondando gli obiettivi europei pur senza ricorrere ad uno speciale procedimento pubblicistico di scelta del contraente.

 

 

 

[1] Riflessioni a margine della monografia di Davide Palazzo “Pubblico e privato nelle attività di interesse generale, Terzo settore e amministrazione condivisa”, Torino, 2022.

[2] Salv. Romano, Presentazione a W. C. Sforza, Il diritto dei privati, Milano, 1963.

[3] Alb. Romano, L’“Ordinamento giuridico” di Santi Romano, il diritto dei privati e il diritto dell’amministrazione, in Dir. amm., 2011,2, 241 ss.

[4] B. Sordi, Diritto pubblico e diritto privato, Una genealogia storica, Bologna, 2020, 118 ss.

[5] M. Loughling, Staat, Verwaltung und Verwaltungsrecht: Grossbritannien, in Handbuch Ius Publicum Europaeum (a cura di A. von Bogdandy, S. Cassese, P.M. Huber, Heidelberg, 2010, 118 ss.

[6] Öffentliches Recht und Privatrecht als wechselseitige Auffangordnungen ( a cura di W. Hoffmann-Riem, E. Schmidt-Aßmann), Baden, 1996.

[7] W. Hallstein, “Die EWG -eine Rechtsgemeinschaft (1962)” in T. Oppermann (a cura di), Europäische Reden, Stuttgart, 1979, 341-348. Da ultimo, C.D. Classen, Perspektiven der europäischen Rechtsgemeinschaft, in Juristen Zeitung, 2023, 53 ss.

[8] E. Cannizzaro, Il diritto dell’integrazione europea, L’ordinamento dell’Unione, Torino, 2022, 263-264.

[9] A.von Bogdandy, Strukturwandel des öffentlichen Rechts, Entstehung und Demokratisierung der europäischen Gesellschaft, Berlin, 2022, 16 ss.von

[10] Sentenza della Corte costituzionale Polacca del 7 ottobre 2021 K 3/21, su ricorso del capo del governo Mateusz Morawiecki. Cfr. A. von Bogdandy, Wie polnische Richter die europäische Integration fördern, in Frankfurter Allgemeine Zeitung, pubblicato il 26 gennaio 2022.


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