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Sull’abolizione dell’abuso d’ufficio

di - 10 Luglio 2023
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Osservazioni sulla garanzia della legalità e su recenti limitazioni della responsabilità amministrativa

 

SOMMARIO: 1.- Introduzione; 2.- Il problema della definizione della legittimità e della giustizia; 3.- Giustizia nell’amministrazione: la linea di civiltà dell’ordinamento e il suo limite.

 

  1. Introduzione

 

Da idee e fatti diversi che la Rivista considera nelle sue pagine, vengono fuori queste osservazioni, quasi a chiusura di una stagione e svolgendo un filo comune: quello della garanzia della legalità e del suo limite. L’abuso d’ufficio è solo un aspetto del problema. La sua recente abolizione[1] costituisce l’occasione per tornare sul tema.

L’abrogazione dell’abuso, difatti, non è casuale e s’inquadra in una certa linea legislativa, che tende ad evitare il conflitto tra giudice e amministrazione pubblica, e, nel particolare, l’amministrazione difensiva, la paralisi della firma[2]. Il risultato è una spiccata tendenza della legge contemporanea, che spesso si risolve nel porre un limite alla responsabilità dell’amministrazione. Per esempio, l’art. 2 del nuovo codice degli appalti pubblici esclude la responsabilità del funzionario per una mancanza derivante dall’interpretazione della giurisprudenza prevalente [3]; altresì, sulla stessa linea, oltre l’emergenza Covid, una norma recente posticipa al 30 giugno 2024 la limitazione della responsabilità amministrativa;[4] infine, è stata adottata la norma che elimina il controllo concomitante della Corte dei conti sui progetti del PNRR[5].

Del resto, anche la norma sull’abuso appena abrogata era sorta nell’emergenza del 2020 e al dichiarato fine di delimitare e di restringere l’area penalmente rilevante, sperando di incoraggiare l’azione amministrativa[6].

L‘abrogazione dell’abuso d’ufficio, dunque, non è altro che un esempio. Nel fare il punto, si ha in mente il problema di fondo: quale sia il principio di legalità e quale sia il suo limite.

Si vedrà che nel nostro ordinamento esiste un principio di legalità e di giustizia, insito nella Costituzione e in fondo nell’origine del sistema: risale al principio “Giustizia nell’amministrazione”, titolo del famoso discorso pronunciato da Silvio Spaventa nel 1880[7], e assunto a manifesto di fondazione della giustizia amministrativa. Sin dall’incipit del discorso il problema della giustizia era il problema dell’abuso del potere.

In questo quadro, il codice Zanardelli istituiva anche l’abuso di autorità (art. 175 c.p.), che subito veniva inteso come garanzia di giustizia amministrativa: l’esame della legittimità dell’atto amministrativo- scriveva Presutti nel 1911- non può “sfuggire al giudice penale”, non solo perché è parte del fatto di reato, ma perché l’autorità insita nell’esercizio del potere è parte della legittimità amministrativa stessa[8].

Tornando al presente e all’abolizione dell’abuso d’ufficio odierno, sia detto subito e in chiaro: meglio così.  La norma dell’art. 323 c.p., nell’ultima versione, quella del 2020, era scritta male. Difatti, il testo abrogato configurava un abuso in “violazione di specifiche regole di condotta”; il che apriva una grande difficoltà interpretativa, che verteva sul significato delle regole violabili: che significa regole specifiche e che significa di condotta? [9]

D’altronde, al di là delle questioni esegetiche, vi era una scelta di fondo, che la norma abrogata assumeva esplicitamente: l’art. 323 c.p. escludeva dall’abuso la violazione di disposizioni che riconoscono margini di discrezionalità. Ovvero, in altre parole, la norma escludeva il potere discrezionale. E allora che senso ha un abuso che non contempla la scelta discrezionale, il momento principale, e terribile, dell’esercizio del potere?

La risposta non può essere che negativa e il motivo è semplice: l’abuso, come espressione della teoria generale, ha senso se è abuso del potere[10]. Non è altro che la cartina di tornasole del cattivo uso del potere[11].

Era questo il senso dell’abuso d’ufficio nel diritto penale, nelle tre versioni che si sono succedute in tempi recenti. Nella versione del 1990, l’art. 323 c.p. puniva chi “abusa del suo ufficio…”[12]. Espressione tanto ampia quanto vaga, che spinse la Cassazione a identificare l’abuso con l’eccesso di potere[13].  L’eccesso, si sa, è il principale vizio della legittimità amministrativa, ma, attraverso la sua parte più interiore, lo sviamento dell’interesse pubblico, il giudice penale si spinse dentro il merito amministrativo, violando principi e limiti insiti nel sistema[14].

Venne così la riforma del 1997: l’abuso era in violazione di “norma di legge” o di “regolamento” e, in più, doveva creare un “danno ingiusto” o un “vantaggio” ingiusto[15].

Tutta la norma era più chiara, e concettualmente colta, giacché identificava l’abuso con l’illegittimità amministrativa e con il danno da illecito civile; e, così, tendeva a restringere l’abuso ed il potere del giudice penale. Apriva però un grosso problema concettuale, quasi uno squarcio nel tessuto della legittimità: parlando solo di violazione della legge escludeva i principi generali e, primo tra essi, il principio di imparzialità. Una metamorfosi davvero singolare, per una norma che storicamente serve a tutelare l’imparzialità dell’Amministrazione.

Il paradosso si poneva anche nella versione appena abrogata, che, come visto, menzionava specifiche disposizioni di legge, escludendo i principi. Per questo, nelle due versioni passate, sorgeva un grande dibattito[16] e anche grandi equivoci interpretativi: se la violazione di legge riguardi la legge come norma o come principio, quale sia la norma violabile e a quale modello di legittimità appartenga, amministrativa o penale, e via seguitando, sino al punto di fondo[17].

 

2.- Il problema della definizione della legittimità e della giustizia

 

Il problema di fondo dell’abuso, e di ogni fattispecie di garanzia, è la definizione del principio di legalità che si vuole assicurare. Sul principio tutti d’accordo, ma la definizione dell’oggetto, la materia e lo scopo di cui il principio sia costituito, è difficile da rappresentare[18].

Implica un interrogativo di fondo: nel violare la legge, che significa legge?

Sorvolando su molte premesse, la risposta è duplice. In una teoria kelseniana, orientata ad una visione strutturale e concatenata delle norme, la legge e la sua violazione si risolvono nella volontà imperativa della norma e nell’aperta contrapposizione con questa volontà. Questa visione si addice bene alle due recenti versioni dell’abuso, che presupponevano atti vincolati e in violazione di legge.

All’opposto c’è una versione più aperta, orientata alla teoria dell’autonomia dell’amministrazione, e coincidente con l’eccesso di potere, in cui la violazione della legge è anche la violazione dell’interesse protetto dalla legge[19]. Qui conta anche lo spirito della legge, la sua ratio legis. E in questo caso interviene anche l’ordinamento, il principio. Questo accade per un motivo preciso: per intendere la ragione della legge, non basta la volontà della legge, ma ci vogliono anche le ragioni dell’interesse, qualcosa che sfugge alla lettera della legge, ma che è insito nella sua logica, nel valore che la norma tutela e che alla legge appartiene, come riflesso dei principi. È visibile a livello di interpretazione, nel circolo dell’ermeneutica, in cui tutto il punto è intendere come si determini lo spirito in ordine a un fine. Il che vale a mettere in scena indici fattuali e criteri di lettura precostituiti, per intendere quel fine. Ne viene un risultato: l’interesse- scrive Emilio Betti- è un problema oggettivamente determinabile[20].

Questa seconda ipotesi è quella più ampia e, nel diritto amministrativo, involge la valutazione dell’interesse pubblico. Soprattutto, è il risultato di una legittimità insita in un codice non scritto, che rappresenta una precisa idea di ordinamento giuridico – l’idea della positiva sintesi di legittimità e giustizia[21]. Quest’idea è costituita di principi generali e di norme giuridiche, di legittimità e di merito, di legge e di Costituzione. E si riflette in indici logicamente deducibili, quasi inventati dal Consiglio di Stato: l’irragionevolezza, l’ingiustizia manifesta, l’errore di fatto. Ovvero, in positivo, la ragione, la chiarezza, la verità.

 

3.- Giustizia nell’amministrazione: la linea di civiltà dell’ordinamento e il suo limite.

 

Questo è il quadro di fondo dei valori di giustizia. Costituisce anche il problema sottinteso ad ogni principio di legalità che intenda considerare l’interesse da tutelare, come interesse pubblico. Non sempre questo interesse è chiaro al legislatore dei nostri tempi, ma da sempre costituisce l’architettura delle garanzie amministrative. Il che significa che per tradurre il tutto in diritto positivo, ci vuole una cosa sola: la legge deve pensare agli interessi e agli assetti. Ovvero, deve identificare l’equilibrio di fondo degli interessi. Infatti, oggi, riteniamo, il male del sistema non è l’abuso, ma il conflitto degli interessi. È il grande problema irrisolto del nostro ordinamento[22].

La legge, dunque, dovrebbe pensare -lex da logos- presupponendo l’equilibrio degli interessi e imprimendo una certa misura agli interessi in gioco, in ogni materia. E mantenendo la responsabilità dell’amministrazione, o contenendone i limiti, in ciascuna materia. Così l’interprete saprebbe come agire: quel che conta è il valore di giustizia di fondo, cui l’interprete deve prestare attenzione e oltre il quale non può andare. Oggi, invece, la legge non pesa gli interessi o a volte elimina la garanzia di essi.

In questa situazione, c’é un principio di garanzia?

A proposito di potere e di pubblica amministrazione, c’è un principio che viene fuori dalla Costituzione: che la tutela vi sia sempre e che sia resa in termini di “giustizia”. Giustizia, dunque, nel senso ampio di equilibrio degli interessi[23]; giustizia, nel sistema dei poteri pubblici, nel senso di giustizia nell’amministrazione e contro l’amministrazione (artt. 100 e 103 Cost.); ovvero, davanti al giudice, giustizia “sempre ammessa” (art. 113 Cost.). È quanto emerge dagli artt. 113, 103 e 100 Cost.  Letti insieme e visti storicamente, non sono altro che un riflesso del principio “Giustizia nell’amministrazione”, il titolo del famoso discorso di Silvio Spaventa citato nelle premesse.  Nel nostro ordinamento, dunque, c’è una linea storica di continuità, visibile nella tutela degli interessi da amministrare. Sin dai tempi del discorso di Spaventa, quella linea è unitaria e va dalla legge amministrativa sino al giudice[24]. Tendenzialmente, non dovrebbe avrebbe limiti[25].

Alla luce di questa linea, oggi, cedendo un po’ alla provocazione, ci si chiede se quelle norme citate all’inizio, le norme che aboliscono o limitano responsabilità e controlli, siano in linea con la Costituzione o, quantomeno, con quella linea storica di continuità della tutela. La domanda non è retorica e vale soprattutto per la continuità della tutela, che nella Costituzione è sempre ammessa (art. 113 Cos.) e che nel sistema costituisce la misura di civiltà di ogni ordinamento giuridico[26]. In termini di diritto positivo, sia chiaro, l’abolizione dell’abuso d’ufficio è possibile: non costituisce, in sé, un vizio di legittimità costituzionale della legge abolitrice ed è una legittima scelta politica del legislatore. Tuttavia, ogni abolizione di una garanzia costituisce una lacuna, un deficit impresso a quel principio di giustizia, inteso come linea di continuità e di civiltà giuridica.

Ma, soprattutto, provoca un problema molto pratico: se il legislatore rinuncia, abolendo i controlli o non dicendo quale sia il giusto equilibrio degli interessi, alla fine la scelta la fa il giudice.

E la fa, dovrebbe farla, secondo un principio di giustizia, a chiusura del sistema. Il che significa che ci sono valori e limiti di giustizia insiti nella Costituzione, che li assume a garanzia, come idea fissa, come idea che ogni potere ha, di sé stesso e del sistema[27]. Con il risultato, però, paradossale o puerile, di identificare il problema della giustizia con la giurisdizione, mentre la giustizia è prima, è nella legge ed è nell’amministrazione. Non servirebbe arrivare a tanto e non servirebbe ricordare le origini di questo principio risalendo al discorso di Spaventa. Oggi basterebbe una buona legge, una legge giusta. Quest’ultima osservazione apre un interrogativo, che qui può essere solo accennato e assunto come filo di studi futuri: che vuol dire legge giusta ? [28]

In prima approssimazione, si può dire che la legge giusta presuppone l’equilibrio degli interessi. L’equilibrio, per antonomasia, è insito nella legge ed è il risultato della scelta politica del legislatore. Ma legge giusta è, soprattutto, quella che si inserisce nella materia giusta, la materia costituita di più norme e di leggi ben connesse fra di loro, in cui sia visibile in anticipo l’assetto degli interessi, la sua inclinazione prevalente. Per esempio, assumendo una scelta esplicita nel rapporto tra libertà e autorità; e, così, disegnando materie in cui l’inclinazione sia a favore della libertà e materie in cui si presupponga l’attribuzione del potere amministrativo e la prevalenza dell’interesse generale. In ambedue i tipi di materie, dev’essere ben visibile la presupposizione di base. “Presupposizione”, secondo la teoria generale, vuol dire che nel definire tutta la materia il legislatore suppone cosa viene prima e cosa deve star prima, la libertà o il potere [29]. Per esempio, in materia di concorrenza, la legge 5 agosto 2022 n. 118 (art. 26, secondo comma, lett. a) prevede che le autorizzazioni amministrative possano istituirsi solo per “motivi imperativi di interesse generale” e solo per “principi e interessi costituzionalmente rilevanti”; oppure, in materia di libertà e di pluralismo, l’art. 52 della Carta di Nizza stabilisce che la libertà può essere limitata solo da un “fine d’interesse generale”. Casi, questi, in cui è chiaro quale sia la situazione giuridica che viene prima.

La legge giusta, dunque, è la legge che bilancia in modo consapevole la dialettica autorità-libertà, o, più modernamente, la dialettica libertà-autorità, anteponendo, non a caso, il primo termine[30]. Ma questa è un’altra storia.

[1] Cfr. il disegno di legge “Modifiche al Codice penale, al Codice di procedura penale e all’Ordinamento giudiziario”, approvato dal Consiglio dei ministri il 15 giugno 2023.

 

[2] In argomento, ex multis, v. G. BOTTINO, Il conflitto tra il legislatore e la giurisprudenza come causa della “burocrazia difensiva”, la responsabilità penale per “abuso d’ufficio” come paradigma, Il lavoro nelle pubbliche Amministrazioni, n. 2/2022, 242 ss.

[3] “Non costituisce colpa grave la violazione o l’omissione determinata dal riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti”- art. 2 del decr. legs. 31 marzo 2023 n. 36.

[4] V. l’art.  21, comma 2, del D.L. 16 luglio 2020 n. 76; norma prorogata dall’articolo 51, comma 1, lett. h), del decreto – legge 31 maggio 2021, n. 77, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2021, n. 108, e, ancora, art. 12-quinquies, allegato alla legge 23 giugno 2023 n. 74, legge di conversione del D.L. 22 aprile 2023 n. 44: “ Al decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 settembre 2020, n. 120, sono apportate le seguenti modificazioni: a) nelle more di una complessiva revisione della disciplina sulla responsabilità amministrativo-contabile, all’articolo 21, comma 2, primo periodo, le parole: “30 giugno 2023” sono sostituite dalle seguenti: “30 giugno 2024”.

[5] V. l’allegato all’art. 1 della legge 23 giugno 2023 n. 74, di conversione del D.L. 22 aprile 2023 n. 44- emendamento 12 -quinques: “b) all’articolo 22, comma 1, primo periodo, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: ad esclusione di quelli previsti o finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, di cui al regolamento (UE) 2021/241 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 febbraio 2021, o dal Piano nazionale per gli investimenti complementari, di cui al decreto-legge 6 maggio 2021, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge l° luglio 2021, n. 101″.

[6] Cfr. la versione dell’art. 323 c.p. introdotta dall’ art. 23 del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con modificazioni dalla legge 11 settembre 2020, n. 120. Su quest’ultima versione, la dottrina era molto critica: v. S. PERONGINI, L’abuso d’ufficio. Contributo a una interpretazione conforme alla Costituzione. Con una proposta di integrazione della riforma introdotta dalla legge n. 120/2020, Torino, 2020; R. FERRARA, Abuso d’ufficio e discrezionalità amministrativa: alle origini del problema, Dir. e proc. amm., 1, 2022, pag. 1 e ss; R. GRECO, Abuso d’ufficio: per un approccio eclettico, Giustizia Insieme, 22 luglio 2020; G. AMATO, L’irrilevanza penale trova un limite nell’uso distorto del potere pubblico, in Guida al diritto (6 febbraio 2021), n. 5, 99 ss.; G. BOTTINO, Il conflitto tra il legislatore e la giurisprudenza come causa della “burocrazia difensiva”, la responsabilità penale per “abuso d’ufficio” come paradigma, Il lavoro nelle pubbliche Amministrazioni, 2022, n. 2, 242 ss.; A. CIOFFI, Abuso d’ufficio e diritto amministrativo. Il problema dei due ordinamenti, tra eterointegrazione e incorporazione, Dir. amm., 2023, 285 ss.; F. FRANCARIO, Riflessioni sulla necessità o meno di una nuova riforma dell’abuso d’ufficio, Giustizia Insieme, Aprile 2023; A. CRISMANI, La discrezionalità amministrativa nel reato di abuso d’ufficio, Giustizia Insieme, aprile 2021; C. Cudia, Abuso d’ufficio e provvedimento discrezionale tra istituti di diritto amministrativo e necessità del diritto penale, Scritti per F. G. Scoca, Napoli, 2020, II, 1285 ss; S. VILLAMENA, La riforma dell’abuso d’ufficio, : fra attività interpretativa, attività discrezionale e autovincoli amministrativi, Dir e società, 2021, 695 ss.,; M. GAMBARDELLA, Simul Stabunt Vel simul Cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del Giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell’abuso d’ufficio, in Sistema penale 2020, p. 133 e ss.; F. BARRETTA, A. CAPPELLINI, Il sindacato penale sulla discrezionalità amministrativa alla prova della regolazione flessibile dell’agire pubblico, Legislaz. Pen., 18 giugno 2021, 1 ss.

[7] Cfr. S. SPAVENTA, Giustizia nell’amministrazione, ora in La politica della destra. Scritti e discorsi raccolti da Benedetto Croce, Laterza, Bari, 1910, 78 ss. Discorso pronunciato nell’Associazione costituzionale di Bergamo il 7 maggio 1880.

[8] Cfr. E. PRESUTTI, I limiti del sindacato di legittimità, Milano, 1911, 160-161.

[9] Cfr. A. CIOFFI, Abuso d’ufficio e “specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge”, in Giustizia Insieme, Annuario 2022, 168.

 

[10] Per tutti v. SALV. ROMANO, Abuso del diritto, Enc. dir., I, 166.

[11] La relazione tra esercizio del potere amministrativo e diritto penale è visibile non solo nell’abuso, ma in una sfera più ampia, in cui la relazione comprende la sottoposizione dell’amministrazione alla legge e alla giurisdizione; e si può leggere alla luce del principio di legalità, del principio della divisione dei poteri e del principio del sindacato del giudice sugli atti amministrativi. Il tutto genera un ordine di relazioni e di limiti. Quest’ordine intesse elementi eterogenei, quasi a costituire una trama oggettiva, visibile in controluce nell’ordinamento giuridico. La letteratura sul tema è molto vasta: R. VILLATA, “Disapplicazione” dei provvedimenti amministrativi e processo penale, Milano 1980; C. FRANCHINI, Il controllo del giudice penale sulla pubblica amministrazione, Padova 1998; G. CONTENTO, Giudice penale e pubblica amministrazione: il problema del sindacato giudiziale sugli atti amministrativi in materia penale, Roma- Bari, 1979; M. PETRONE, Attività amministrativa e controllo penale, Milano 2000; M. GAMBARDELLA, Il controllo del giudice penale sulla legalità amministrativa, Milano, 2002; M. GAMBARDELLA, La disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi nel sistema penale dopo le recenti riforme del diritto amministrativo, Riv. it. dir e proc. pen., 2013, 744; T. PADOVANI, L’abuso di ufficio e il sindacato del giudice penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1989, 85 ss.; T. ALIBRANDI, L’atto amministrativo nella fattispecie penale (avvio ad una ricostruzione tipologica), in Riv. trim. dir. pubbl, 1970, 784 ss.; V. ANGIOLINI; Legalità penale e legalità amministrativa, Dir. pubbl., 1997, 74; M. GAMBARDELLA, Considerazione sulla «violazione di norme di legge» nel nuovo delitto di abuso d’ufficio, Cass. pen., 1998, 2335 ss.; C. F. GROSSO, Condotte ed eventi del delitto di abuso di ufficio, Foro it., 1999, V, c. 331 ss.; A. MERLO, L’abuso d’ufficio tra legge e giudice, Torino 2019; A. TESAURO, Violazione di legge ed abuso d’ufficio. Tra diritto penale e diritto amministrativo, Torino 2002; M. PARODI GIUSINO, Aspetti problematici della disciplina dell’abuso di ufficio in relazione all’eccesso di potere ed alla discrezionalità amministrativa, Riv. trim dir. pen. ec, 2009, 879 ss.; A. CIOFFI, Eccesso di potere e violazione di legge nell’abuso d’ufficio. Profili di diritto amministrativo, Milano 2001; R. BORSARI, Reati contro la Pubblica Amministrazione e discrezionalità amministrativa, Padova 2012, 84; G.D. Comporti, – E. Morlino, La difficile convivenza tra azione penale e funzione amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl., 2019, 181 ss.; B. Tonoletti, La pubblica amministrazione sperduta nel labirinto della giustizia penale, Riv. trim. dir. pubbl., 2019, 77 ss.

 

 

[12] V. l’art. 323 c.p. nella versione della legge 6 aprile 1990 n. 86.

[13] V. Cass. pen, Sez. un., 20 giugno 1990, Monaco.

[14] Cfr. S. PERONGINI, Il sindacato del giudice penale sulle valutazioni discrezionali dell’amministrazione, Dir. amm., 2023, 229 ss.

[15] V. l’art. 323 c. p. nella versione della legge 16 luglio 1997 n. 234.

[16] V. per esempio il convegno Abuso d’ufficio e diritto alla buona amministrazione, Università degli studi di Bari Aldo Moro, 31 gennaio 2023.

[17]  Cfr. A. CIOFFI, Abuso d’ufficio e diritto amministrativo. Il problema dei due ordinamenti … op. cit..

[18] Cfr. A. CIOFFI, Il problema della legittimità nell’ordinamento amministrativo, Padova, 2012.

[19] Cfr. ALB. ROMANO (a cura di), Diritto amministrativo, Torino, 2022, 1-10; 179-180.

[20] V. E. BETTI, Interpretazione della legge e degli atti giuridici, Milano, 1949, 237.

 

[21] V. E. CANNADA BARTOLI, Giustizia amministrativa, Dig. Disc. pubbl., VII, 3 ss., 16, 41 ss.

[22] Un solo esempio recente. Il nuovo Testo unico dei media audiovisuali (decr. lgs. 28 novembre 2021, n. 208) prefigura la comunicazione come un mercato integrato – TV, piattaforme web e satellite- e dovrebbe rifletterne gli assetti in materia di concorrenza, ma, soprattutto, dovrebbe dire quale sia il mercato rilevante della comunicazione audiovisuale; per esempio, considerando casi recenti, dovrebbe evitare il formarsi di un certo tessuto tra editoria, grandi industrie e banche, come nel caso C. Giust., sez. V, 3 settembre 2020, causa C-719/18 -Vivendi SA c. Mediaset e Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Qui l’eredità dell’anomalia italiana è forte e difatti il conflitto resta irrisolto anche nel nuovo Testo unico, perché l’art. 51 non definisce le soglie antritrust ma le affida alla determinazione dell’Autorità garante delle comunicazioni, che, per quanto sia indipendente e competente, non è il Parlamento. In questi termini, O. GRANDINETTI, La tutela del pluralismo nel nuovo testo unico sui servizi di media audiovisivi, in Medialaws, 2022, 286 ss.

[23] Un chiarimento al riguardo si può leggere nelle conclusioni.

[24] Nel pensiero di Spaventa, il termine giurisdizione era assunto in due significati: “l’uno forte, riferibile al giudice civile o a quello penale; l’altro debole, riferito alla norme che, se non hanno raggiunto una <<potenza di espressione giuridica da servire di base a veri e propri giudizi di un’autorità indipendente dall’amministrazione, possono bastare al sindacato che questa deve esercitare gli atti dei suoi organi, e questa è anche giurisdizione>>” -v. E. CANNADA BARTOLI, Giustizia amministrativa … cit., 16.

[25] Cfr. R. CAVALLO PERIN, I limiti ai poteri delle giurisdizioni nelle controversie contro gli atti della pubblica amministrazione, Dir. proc. amm., 2016, 981 ss.

[26] Cfr. E. CANNADA BARTOLI, Giustizia amministrativa… cit.

[27] Cfr. M. LUCIANI, Ogni cosa al suo posto, Milano, 2023.

[28] Raccolgo qui uno spunto della Direzione della Rivista e di Anna Romano, cui si deve il suggerimento sull’apertura del problema.

[29] Tutto dipende dalla presupposizione della libertà, considerata come interesse messo a punto di origine dell’ordinamento. In certi casi la libertà preesiste; difatti, in certe materie, l’assetto odierno è già dalla parte della libertà – cfr. ALB. ROMANO, La nullità del provvedimento amministrativo, in ALB. ROMANO (a cura di), L’azione amministrativa, Torino, 2016, 796 ss., spec. 810-819.

[30] Cfr. la recentissima monografia di V. CAPUTI JAMBRENGHI, Libertà e autorità. Dottrine sulle libertà. Diritti delle future generazioni, vol. II, Napoli, 2023, con approfondimenti sulla derivazione del potere dalla libertà, spec. 47 ss.


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