Il Sistema di certificazione della parità di genere e la prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022
Paolo Lazzara*, Il Sistema di certificazione della parità di genere e la prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022
Il “Sistema di certificazione della parità di genere”, il ruolo di UNI e il rapporto tra normazione volontaria e intervento pubblico.
Da tempo e con sempre maggior frequenza si parla del ruolo delle donne nella società al fine di realizzare un effettivo piano di parità. L’Agenda 2030 fissa tra i propri obiettivi per lo sviluppo sostenibile (al quinto posto) il raggiungimento effettivo della parità di genere; diverse Missioni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) prevedono linee di intervento volte a favorire tale risultato e superare il gap che faceva registrare, nel 2021, valori molto critici: la differenza del tasso di occupazione fra donne di 25-49 anni con figli in età prescolare e donne senza figli è pari al 74,3%; la partecipazione delle donne al mondo del lavoro è pari al 53,8%, rispetto a una media europea del 67,4%; l’inattività delle donne per necessità assistenziali è pari al 35,7%, rispetto a una media europea del 31,8%[1].
Grazie agli investimenti previsti nella Missione “Istruzione e ricerca” (con le linee di intervento per l’accesso delle donne alle competenze STEM, linguistiche e digitali, e per il potenziamento degli asili nido e del tempo pieno) e nella Missione “Inclusione e coesione” (con le linee di intervento per le soglie di occupazione femminile e per la valorizzazione dell’imprenditoria femminile) si immagina un aumento dell’occupazione femminile in tutto il territorio nazionale di 4 punti percentuale entro il 2026.
In questo contesto si inserisce il “Sistema di certificazione della parità di genere” che integra un progetto PNRR in titolarità del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri.
Esso rientra nella Missione 5, Componente 1 “Politiche attive del lavoro e sostegno all’occupazione” del PNRR (Investimento 1.3), che mira a promuovere una maggiore presenza delle donne nel mercato del lavoro, per migliorare la coesione sociale e territoriale e per la crescita economica del Paese.
Sul piano della legislazione nazionale, la certificazione è prevista all’art. 4 della Legge 5 novembre 2021, n. 162 (“Modifiche al codice di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, e altre disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo”, art. 46-bis “Certificazione della parità di genere”) e con Legge n. 234 del 2021, che ha disciplinato, tra l’altro, una serie di interventi volti a fronteggiare le instabilità del mercato e a supportare le transizioni occupazionali.
Si auspica un sistema di certificazione che – benché volontario – possa accompagnare e incentivare le imprese nell’adozione di policy adeguate alla parità di genere e per l’empowerment femminile a livello aziendale. Gli obiettivi sono quelli di ridurre il divario di genere nelle aree maggiormente critiche per la crescita professionale e migliorare la qualità del lavoro, promuovendo la trasparenza nei processi lavorativi delle imprese, riducendo il “gender pay gap”[2], aumentando le possibilità per le donne di raggiungere posizioni apicali, senza trascurare la maternità e la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
È importante ricordare anche che il Sistema di certificazione dà attuazione alla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026, con l’obiettivo di ottenere l’incremento di cinque punti nella classifica dell’indice sull’uguaglianza di genere elaborato dall’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE), che attualmente vede l’Italia al 14° posto nella classifica dei Paesi UE.
Tale Sistema di certificazione punta a migliorare le condizioni di lavoro delle donne non solo in termini quantitativi ma anche di remunerazione e di ruolo; prevede il raggiungimento dei seguenti traguardi:
- Obiettivo (conseguito) M5.C1-12: entrata in vigore del Sistema di certificazione della parità di genere e relativi meccanismi di incentivazione per le imprese entro dicembre 2022 (registrato ora come “traguardo”, in quanto obiettivo raggiunto);
- obiettivo M5.C1-13: ottenimento della certificazione della parità di genere da parte di almeno 800 imprese, di cui almeno 450 di dimensioni micro, piccole e medie entro giugno 2026;
- obiettivo M5.C1-14: ottenimento della certificazione della parità di genere da parte di almeno 1000 imprese accompagnate al processo di certificazione attraverso l’assistenza tecnica fornita da enti di consulenza convenzionati entro giugno 2026.
Il costo totale dell’investimento è pari a 10 milioni di euro. Al fine di monitorare il Sistema di certificazione della parità di genere, con decreto ministeriale (5/04/2022) è stato istituito, presso il Dipartimento per le pari opportunità, il Tavolo di lavoro permanente sulla certificazione di genere [3].
La prassi UNI/PdR 125:2022
L’assetto disegnato si realizza attraverso l’interazione della legislazione con la normazione tecnica volontaria ed è esempio importante della necessità di un dialogo istituzionale tra ordinamento giuridico (statale), normazione volontaria e mercato.
La prassi sul sistema di gestione per la parità di genere è stata realizzata nell’ambito del Tavolo di lavoro in collaborazione tra UNI, l’Organismo Nazionale di Normazione, il Dipartimento per le politiche della famiglia, il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero dello sviluppo economico e la Consigliera Nazionale di Parità.
Con il decreto della Ministra per le pari opportunità e la famiglia del 29 aprile 2022, recante “Parametri minimi per il conseguimento della certificazione della parità di genere alle imprese e coinvolgimento delle rappresentanze sindacali aziendali e delle consigliere e dei consiglieri territoriali e regionali di parità”, è stata recepita la prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 con l’onere per i datori di lavoro di fornire annualmente un’informativa che ne rifletta il grado di adeguamento.
La certificazione si ottiene su base volontaria attraverso gli organismi accreditati (ai sensi del regolamento CE 765/2008), il cui elenco è curato da Unioncamere, in qualità di soggetto attuatore[4].
Può essere utile ricordare che le prassi di riferimento UNI sono documenti che introducono prescrizioni tecniche o modelli applicativi settoriali di norme tecniche, elaborati sulla base di un processo semplificato, rispetto a quello della normazione vera e propria, e a seguito di una più ristretta condivisione; costituiscono una tipologia di documento para-normativo che prepara nuovi contesti per le future attività di normazione. Le prassi di riferimento restano valide per un massimo di cinque anni, dopo il quale sono trasformate in un documento normativo (UNI, UNI/TS, UNI/TR) oppure devono essere ritirate.
La prassi UNI/PdR 125:2022 (16 marzo 2022) definisce appunto i criteri, le prescrizioni tecniche e gli elementi funzionali alla certificazione della parità di genere nelle imprese. Si prevede un sistema basato sull’adozione di indicatori specifici – c.d. Key Performance Indicator (KPI) – riferiti a sei diverse aree di valutazione e collegati a variabili differenti che contraddistinguono un’organizzazione con forza e capacità inclusiva e rispettosa dei valori e degli obiettivi in questione: cultura e strategia, governance, processi human resources, opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda, equità remunerativa per genere, tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro. Ad ogni indicatore è associato un punteggio da raggiungere che viene ponderato con il peso dell’area di valutazione. La certificazione ha validità triennale ed è soggetta a monitoraggio (annuale).
Promozione della certificazione della parità di genere – incentivi pubblici[5]
Il sistema di incentivi pubblici si collega dunque alla certificazione volontaria, a sua volta basata sulla normazione tecnica di UNI. La prassi di riferimento fornisce la base normativa al sistema di certificazione cui si collegano le politiche pubbliche volte a predisporre meccanismi premiali e di incentivo, in vista degli obiettivi sociali ed economici di primario rilievo.
In questo quadro si collocano anche i finanziamenti del Next Generation EU del PNRR, volti alla copertura dei costi per l’assistenza tecnica e l’accompagnamento alla certificazione per le piccole, medie e microimprese.
In particolare, l’art. 5, comma 2, Legge 162-2021, attribuisce alle aziende private in possesso della certificazione della parità di genere (secondo la prassi UNI/PdR 125:2022) un esonero dal versamento di una percentuale dei complessivi contributi previdenziali a carico del datore di lavoro per l’anno 2022. In particolare, sono stanziati 50 milioni di euro per il 2022 e l’esonero è determinato in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna impresa[6]. La definizione delle modalità attuative della decontribuzione per le imprese certificate è regolata dal decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro con delega per le pari opportunità, adottato il 20 ottobre 2022.
Inoltre, la stessa Legge n. 162-2021 (art. 5, comma 3), riconosce alle aziende in possesso della suddetta certificazione, un punteggio premiale per la valutazione di proposte progettuali, da parte di autorità titolari di fondi europei nazionali e regionali, ai fini del cofinanziamento degli investimenti sostenuti.
Anche nel più recente decreto legislativo n. 36-2023 (nuovo Codice dei contratti pubblici), con l’articolo 106 viene confermata la riduzione dell’importo della garanzia fideiussoria fino ad un importo massimo del 20 per cento, cumulabile con altre riduzioni specificate nell’ambito del medesimo articolo, nel caso in cui l’operatore economico possegga una o più certificazioni o marchi individuati, tra quelli previsti dall’allegato II.13 del Codice, tra cui appunto la “Certificazione del sistema di gestione per la parità di genere all’interno delle organizzazioni” – UNI/PdR 125:2022[7].
L’art. 108 conferma i criteri premiali che le stazioni appaltanti devono prevedere nei bandi di gara, negli avvisi e negli inviti, attribuendo il maggior punteggio alle imprese che attestano, anche a mezzo di autocertificazione, il possesso dei requisiti di cui al citato articolo 46-bis del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna.
Sono previsti, infine, importanti contributi per i servizi di assistenza tecnica e accompagnamento alla certificazione e per i costi di certificazione della parità di genere che consentiranno a oltre 450 piccole e medie aziende e microimprese di affrontare l’iter per chiedere la nuova certificazione per la parità di genere.
Anche le Regioni si stanno attivando per sostenere l’investimento per la certificazione delle Pmi che ne faranno domanda.
Riflessioni finali
In via generale, la certificazione rappresenta una tappa fondamentale di un processo virtuoso attraverso il quale, dopo lo studio, l’elaborazione e l’approvazione di norme ad applicazione volontaria volte a garantire servizi e prestazioni standardizzati e di qualità, attesta che effettivamente quel determinato prodotto o persona o servizio rispetta i requisiti specificati dalla norma.
La certificazione rappresenta, indubbiamente, il riconoscimento di una “qualità” aziendale a cui le imprese aspirano. Lavorare sulla base di standard internazionali di qualità a cui viene riconosciuta la conformità attraverso l’accreditamento, restituisce un valore reputazionale e aziendale alle imprese e ai consumatori; ciò ha a che fare con la consapevolezza del ruolo e delle responsabilità nella società. Al riguardo, possiamo parlare di “internalizzazione” di valori sociali condivisi, che rappresentano leve di sviluppo per una nuova politica commerciale e industriale che spinga tutti (decisori politici, cittadini e imprese) verso comportamenti sostenibili in termini sociali, di ambiente, salute e sicurezza.
La normazione tecnica UNI e il sistema di certificazione rappresentano un passaggio importante nel percorso verso la parità nei luoghi di lavoro; una svolta rilevante per l’equità di genere, frutto di un percorso condiviso e interconnesso tra pubbliche amministrazioni, società civile e imprese.
Dal punto di vista giuridico-istituzionale, è un’importante ipotesi di interazione e collegamento tra fonti pubblicistiche e sistema della normazione volontaria; interazione che anche in questo caso incide su aspetti sensibili del mercato del lavoro e su obiettivi sociali di primissimo rilievo.
La certificazione di parità è pensata e funziona in un’ottica sistemica; per aspirare alla certificazione di parità – che resta un atto volontario – le aziende dovranno redigere, con cadenza biennale, un apposito Rapporto (obbligatorio per tutte le imprese che hanno più di 50 dipendenti) sulla situazione del personale maschile e femminile[8] e un’informativa aziendale annuale che rifletta il grado di adeguamento ad UNI/PdR 125:2022, anche sulla base delle risultanze dell’audit interno[9]. I rapporti restituiranno la misura effettiva delle policy adottate e delle azioni messe in campo per essere un’azienda equa e inclusiva e consentono di esercitare la verifica e l’opportuno controllo del rispetto dei requisiti necessari per il conseguimento della certificazione della parità di genere e sul mantenimento dei parametri.
Il contrasto alle discriminazioni diventa così idea condivisa e impegno inderogabile. Anche partendo dalla mia esperienza, giuridica e amministrativa, maturata come avvocato, docente di diritto amministrativo e nelle attività che svolgo come Vicepresidente di Inail e di UNI, colgo con favore questa evoluzione che appare avanzata; sembra che i tempi stiano cambiando, almeno nella parte di mondo più industrializzato. Proprio la Legge 162-2021 ha innescato una svolta strutturale nelle aziende, fornendo uno strumento efficace che, da un lato, attesta “le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità” e, dall’altro, favorisce il riconoscimento di benefit per premiare le aziende virtuose.
La certificazione della parità di genere e la prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022 sono esempi concreti del riconoscimento dell’interesse pubblico dell’attività di normazione svolta da UNI, nella sua natura aperta e pluralista. Anche in questo caso, UNI elabora, pubblica e diffonde norme che sono riferimenti condivisi dalla generalità delle categorie interessate, pur non essendo obbligatorie. Funge da piattaforma partecipativa a disposizione del Paese, delle imprese, delle istituzioni, delle associazioni e dei cittadini, e restituisce un patrimonio di conoscenze e di valori utile, pratico ed etico.
Occorre investire per una informazione diffusa sui nuovi strumenti e avviare una formazione capillare, affinché possano essere raggiunte sia le imprese medio-grandi (circa 28.000) con quasi 6 milioni di lavoratori e lavoratrici, sia le realtà più piccole.
* Vice presidente dell’INAIL, Vice presidente di UNI
[1] Dati pubblicati sul sito Italia domani della Presidenza del Consiglio dei ministri
[2] Il “divario retributivo di genere” indica la differenza tra il salario annuale medio percepito dalle donne e il salario annuale medio percepito dagli uomini.
[3] Il Tavolo è composto da rappresentanti del Dipartimento per le pari opportunità, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dello sviluppo economico, da rappresentanti delle consigliere e dei consiglieri di parità, da componenti designati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei lavoratori e da esperti con competenze specifiche sulle politiche di genere. La prima riunione del Tavolo si è tenuta in data 13 settembre 2022.
[4] L’elenco è pubblicato sul sito del Dipartimento per le pari opportunità. Gli organismi di certificazione accreditati interessati ad essere inseriti nell’elenco possono trasmettere la domanda fino al 30 giugno 2026.
[5] Cfr. sito Certificazione della parità di genere, del Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
[6] L’art. 1, comma 138, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, ha stanziato ulteriori fondi per finanziare la misura a regime, prevedendo 50 milioni di euro a partire dal 2023.
[7] L’art. 34 del decreto legge 30 aprile 2022, n. 36, recante “Ulteriori misure urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza”, aveva già introdotto nel precedente “Codice dei contratti pubblici”, il decreto legislativo n. 50 del 2016 (in vigore fino al 30 giugno 2023), rispettivamente agli articoli n. 93 e n. 95, una diminuzione della garanzia prevista per la partecipazione alle procedure di gara da parte di aziende certificate (riduzione del 30 per cento), oltre alla possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di istituire sistemi premiali legati al possesso della certificazione di genere.
[8] Rapporto biennale sulla situazione del personale maschile e femminile di cui all’art. 46 del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198.
[9] Ai sensi dell’art. 3, comma 1, del DM 29 aprile 2022.