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Recensione a M.R. Ferrarese, Promesse mancate. Dove ci ha portato il capitalismo finanziario

di - 14 Febbraio 2018
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  • 5. La finanza, anche quando promuove la crescita, è di per sé instabile e può provocare, o accentuare, l’instabilità intrinseca al capitalismo. Unisce, per Keynes, un “rischio del creditore”, o della banca, al “rischio del debitore”, o dell’impresa. La storia del capitalismo ha visto più spesso crisi reali e crisi finanziarie, insieme, ma ha visto anche crisi solo reali e crisi solo finanziarie. L’ultima crisi, del 2008-2009, è stata sia reale sia finanziaria, ma non dovunque. In Giappone e in Italia la più pesante delle recessioni ha coesistito con la stabilità bancaria. Negli Stati Uniti, invece, i fattori reali e i fattori finanziari hanno interagito. Tra i fattori reali si situano la scelta politica (Clinton, poi Bush) di compensare i bassi salari imposti dalla concorrenza cinese con l’acquisto a debito ipotecario dell’abitazione da parte dei lavoratori; la lunga esplosione dei prezzi degli immobili; l’incoerenza di salvare Bear Stearns, poi di abbandonare Lehman, poi si salvare AIG. Dal punto di vista finanziario la crisi Usa non fu da hedge-funds, da shadow banking, da banche universali, da derivati (con la parziale eccezione di AIG). Fu la solita crisi da eccesso d’indebitamento per finanziare investimenti rischiosi, in questo caso nei prodotti ipotecari. Colpì sia grandi banche commerciali classiche (come Wachovia), sia casse di risparmio (come Washington Mutual), sia broker-dealers, sia istituti speciali semipubblici (Fannie e Freddie), sia assicuratori.

La crisi è stata, però, di lezione. Molti, persino il giurista neo-liberista di Chicago Richard Posner (collega di Friedman e Fama), hanno scoperto Keynes e Minsky. Quella dei mercati perfetti appare sempre più, oltre che una promessa mancata, una bufala teorica. Nei fatti, per uscire dalla crisi, reale e finanziaria, si è dovuto far ricorso al vecchio Leviatano: lo Stato e la sua banca centrale. Tim Geithner, il pragmatico e decisionista Ministro del Tesoro di Obama, ha portato il disavanzo pubblico degli USA dal 5% del Pil nel 2007 al 14% del 2010, mentre la Fed abbatteva i tassi a breve dal 5% a zero, o poco più. Come spesso accade nelle crisi, dai salvataggi il Tesoro USA ha guadagnato (200 miliardi di dollari) perché ha acquisito cespiti a prezzi stracciati per poi rivenderli a prezzi rivalutati. Con parte di questi danari è stata salvata l’industria automobilistica.
Solo lo Stato non ha limiti di spesa. Solo la banca centrale può creare moneta.
Quindi, il bel libro della Ferrarese poteva chiudersi in tono meno pessimistico. Ciò anche perché, se le crisi sono imprevedibili e non prevenibili, la finanza può essere resa meno instabile e si possono contenere i danni dell’instabilità.
Quando Einaudi, liberal-liberista, nel dopoguerra fu Governatore della Banca d’Italia il suo saggio, esperto, pratico Direttore generale Donato Menichella gli spiegò che si poteva stabilizzare il sistema bancario italiano – con quello americano il più instabile dell’Occidente sino ad allora – agendo lungo tre vie: regole semplici e intelligenti; vigilanza prudenziale severa; credito di ultima istanza largo e discrezionale. Da ultimo, il codice penale.
Il sistema italiano ha confermato anche nell’ultima recessione la solidità bancaria acquisita da allora. Dal 2007 la caduta del Pil è giunta al 10%, ma solo qualche banca di provincia è caduta in dissesto. Solo in Italia si poteva addivenire a una inchiesta del Parlamento.
Occorrerebbe, nell’Europa del bail in, un Menichella fluente nella lingua tedesca…

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