Recensione a M.R. Ferrarese, Promesse mancate. Dove ci ha portato il capitalismo finanziario

Questo libro denuncia le “promesse mancate”, le negatività, del “capitalismo finanziario” affermatosi nel mondo dagli anni Settanta del Novecento[1]. Rispetto alla copiosa pubblicistica ispirata a una visione demonologica della finanza, il libro si distingue per il rigore con cui ogni affermazione è argomentata; per la padronanza di una vastissima letteratura multidisciplinare; per le questioni di grande rilievo che affronta; per la finezza della scrittura.
Il viaggio dell’Autrice si snoda attraverso quattro principali passaggi e una conclusione:

Ma la Promessa – conclude l’Autrice – non è stata mantenuta. C’è stata crescita senza inflazione, è vero. Il Pil del mondo è aumentato del 3,5% l’anno nel 1980-2017: grazie a Cina e India un buon ritmo, sebbene inferiore al 5% del 1950-1973. Però la qualità della crescita è stata per più versi insoddisfacente. Il potere invisibile, a-democratico, del ristretto club dei finanzieri più ricchi si è affermato al punto da dettare financo le regole per la stessa finanza. Inoltre si sono registrati almeno tre “rovesciamenti”: disuguaglianze, invece di trickle down; oligopoli e monopoli, invece di concorrenza; debito pubblico esecrato, debito privato esaltato. Insomma, Prometeo…barcolla!
La lettura-riassunto – l’invito è a leggere il libro! – pone a questo recensore il problema di essere da un lato largamente d’accordo, ma anche sollecitato a ridimensionare le accuse alla finanza, il settore nel quale egli ha lavorato come banchiere centrale: se non per farla assolvere, almeno perché la pena sia mitigata…
Tutti hanno diritto alla difesa, e il dovere del buon difensore è di scaricare la colpa su qualcun altro o di affastellare attenuanti per il suo patrocinato:

La crisi è stata, però, di lezione. Molti, persino il giurista neo-liberista di Chicago Richard Posner (collega di Friedman e Fama), hanno scoperto Keynes e Minsky. Quella dei mercati perfetti appare sempre più, oltre che una promessa mancata, una bufala teorica. Nei fatti, per uscire dalla crisi, reale e finanziaria, si è dovuto far ricorso al vecchio Leviatano: lo Stato e la sua banca centrale. Tim Geithner, il pragmatico e decisionista Ministro del Tesoro di Obama, ha portato il disavanzo pubblico degli USA dal 5% del Pil nel 2007 al 14% del 2010, mentre la Fed abbatteva i tassi a breve dal 5% a zero, o poco più. Come spesso accade nelle crisi, dai salvataggi il Tesoro USA ha guadagnato (200 miliardi di dollari) perché ha acquisito cespiti a prezzi stracciati per poi rivenderli a prezzi rivalutati. Con parte di questi danari è stata salvata l’industria automobilistica.
Solo lo Stato non ha limiti di spesa. Solo la banca centrale può creare moneta.
Quindi, il bel libro della Ferrarese poteva chiudersi in tono meno pessimistico. Ciò anche perché, se le crisi sono imprevedibili e non prevenibili, la finanza può essere resa meno instabile e si possono contenere i danni dell’instabilità.
Quando Einaudi, liberal-liberista, nel dopoguerra fu Governatore della Banca d’Italia il suo saggio, esperto, pratico Direttore generale Donato Menichella gli spiegò che si poteva stabilizzare il sistema bancario italiano – con quello americano il più instabile dell’Occidente sino ad allora – agendo lungo tre vie: regole semplici e intelligenti; vigilanza prudenziale severa; credito di ultima istanza largo e discrezionale. Da ultimo, il codice penale.
Il sistema italiano ha confermato anche nell’ultima recessione la solidità bancaria acquisita da allora. Dal 2007 la caduta del Pil è giunta al 10%, ma solo qualche banca di provincia è caduta in dissesto. Solo in Italia si poteva addivenire a una inchiesta del Parlamento.
Occorrerebbe, nell’Europa del bail in, un Menichella fluente nella lingua tedesca…

Note

1.  M.R. Ferrarese, Promesse mancate. Dove ci ha portato il capitalismo finanziario, il Mulino, Bologna, 2017, 200 pg. 200