Imposta come home page     Aggiungi ai preferiti

 

Atto amministrativo

di - 10 Aprile 2017
      Stampa Stampa      

5. In effetti, tra il 1865 ed il 1890 furono gettate le fondamenta di un sistema di quest’ultimo tipo. Esso è durato formalmente fino al 1990, anno in cui venne approvata la legge sul procedimento amministrativo [13]; in realtà questa legge aveva introdotto un tenue regime di amministrazione in regime di contraddittorio, che non ha mai dominato la scena ed è stato definitivamente cancellato dalla l. n. 15 del 2005.
Già si è detto che con la l. 20 marzo 1865, n. 2248 venne dettato l’assetto normativo generale dello Stato italiano. Il suo allegato E dettava alcune fondamentali norme, ancor oggi in vigore. Con l’art. 1 aboliva “i tribunali speciali attualmente investiti della giurisdizione del contenzioso amministrativo”, disponendo che “le controversie ad essi attribuite dalle diverse leggi saranno d’ora in poi devolute alla giurisdizione ordinaria o all’autorità amministrativa, secondo le norme dichiarate dalla presente legge”. Il celeberrimo art. 2 devolveva alla giurisdizione ordinaria tutte le cause per contravvenzioni e “quelle nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico, comunque vi possa essere interessata la pubblica amministrazione e ancorché siano emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa”. L’art. 3, mai o quasi mai realmente applicato, prevedeva che gli “affari” non compresi nell’art. 2 sarebbero stati devoluti all’autorità amministrativa, che avrebbe deciso, sentite le deduzioni degli interessati. L’art. 4 dettava infine la norma, che è stata fonte di infinite discussioni, secondo la quale “quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio”.
Il quadro è relativamente chiaro [14]: se si faceva (e si fa) questione di un diritto civile o politico, competente era (ed è) il giudice ordinario; quando si pretendeva (e pretende) che un diritto sia stato leso dall’autorità amministrativa, il giudice ordinario doveva (e deve) limitarsi a conoscere degli effetti dell’atto lesivo; se non si fosse trattato di diritti, ma di altro, ex art. 3, l’autorità amministrativa avrebbe deciso, sentiti gli interessati  [15].
L’unica norma con cui questa fondamentale legge incideva direttamente nell’agire delle amministrazioni pubbliche era dunque l’art. 3, or ora citato. Esso non è stato mai applicato, così sancendo il principio che l’agire dell’amministrazione può essere soggetto a sindacato giurisdizionale, ma non deve svilupparsi attraverso un metodo predefinito di dialogo o confronto, che dir si voglia. In altri termini, la storia con le sue tradizioni prevalse sulla volontà del legislatore del 1865. L’idea stessa che potesse darsi un regime procedimentale, nel quale il cittadino avrebbe potuto discutere con l’amministrazione di un suo provvedimento, venne respinta. Si poteva ammettere un ricorso al giudice, non un dialogo.
Non rilevano qui le vicende sviluppatesi intorno a questa legge tra il 1865 ed il 1889-90 [16]. Certo è che il sistema, che riservava alle amministrazioni la formazione delle decisioni, salvo il ricorso al giudice da parte del cittadino leso nei suoi diritti, venne consolidato. Nel 1889 presso il massimo organo consultivo del Governo, il Consiglio di Stato, fu costituita una nuova sezione “per la giustizia amministrativa”: ad essa potevano ricorrere i cittadini lesi nei loro interessi da atti delle pubbliche amministrazioni, per denunciarne l’illegittimità e chiederne l’annullamento perché viziati da violazione di legge, eccesso di potere, incompetenza. In altri termini, ad una forma di procedimento amministrativo in contraddittorio si preferì l’istituzione di un altro giudice [17].
Il diritto di questi due processi, ordinario ed amministrativo, e l’inestricabile criterio di distinzione tra i tipi di interessi che davano accesso al giudice ordinario o al giudice amministrativo han-no dato vita ad una letteratura sterminata e ad una ancor più ampia giurisprudenza [18]. Ma ciò che qui rileva non è questo diritto. Il fatto storicamente decisivo per la storia del nostro Paese è che il problema dell’agire delle pubbliche amministrazioni è stato visto, studiato, addirittura concepito sotto il profilo della tutela giurisdizionale contro questo agire. Per dirla con ogni chiarezza, è stato pensato in termini repressivi. Per un secolo, fino al 1990, [19] a prescindere da alcune isolate voci in dottrina [20] non ci si è mai voluti preoccupare di come l’azione amministrativa dovesse essere organizzata e strutturata per assicurare i migliori:risultati. La preoccupazione è stata chiarire, approfondire, raffinare gli strumenti del sindacato giurisdizionale, che per sua natura necessariamente si celebra ex post, non ex ante.
Si può ben dire che le leggi di cui si è detto costituiscono il riferimento logico e temporale per la lettura dell’agire amministrativo dall’unificazione fino ai tempi nostri, pur con l’evoluzione avviata con la l. 8 agosto 1990, n. 241, ma, come già si è accennato, ancora ben lungi dall’essere portata a termine; anzi, in realtà soffocata dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15 [21]. Dopo l’unificazione, infatti, ci sarebbero state svariate possibilità per armonizzare diversamente l’azione amministrativa dei tanti stati da cui era nata l’Italia: ad es., promuovendo procedimenti amministrativi in contraddittorio con i cittadini [22]; esaltando il ruolo delle comunità locali; etc. etc.. Il criterio adottato fu univocamente tutt’altro: si affermò perentoriamente la centralità del potere decisionale nelle amministrazioni, senza neppur pensare ad una qualche reale forma di contraddittorio; si consentì viceversa la tutela giurisdizionale, anch’essa per altro centralizzata: il giudice ordinario era comunque il giudice dello Stato che aveva il suo vertice nella Cassazione; il Consiglio di Stato era diventato il giudice amministrativo unico [23], sia pure accompagnato da un giudice locale, non indipendente, per certe controversie con le amministrazioni locali, quali erano le Giunte provinciali amministrative [24].
Questo è il marchio che la nostra storia ha impresso al rapporto tra cittadini ed amministrazione: non la ricerca degli strumenti culturali e tecnici per rendere la sua azione più efficace e condivisa, ma di quelli per meglio vincolare e controllare i cittadini, consentendo loro in cambio ampi spazi per imbrigliarla attraverso il sindacato del giudice. [25]

6. I due temi fin qui discussi – l’espressione “atto amministrativo” identifica un coacervo di strumenti di azione delle pubbliche amministrazioni; la loro azione e quindi i suoi strumenti non sono mai stati studiati in profondità, perché il sistema esigeva che si studiasse  il processo amministrativo,  non il procedimento – conducono ad una conclusione univoca ed impongono una precisazione di metodo.
La conclusione che si può trarre da quanto precede è che dell’ “atto amministrativo” in quanto tale non si possono affermare caratteri comuni in via generale, propri cioè di qualunque tipo di atto amministrativo. Essi sono strumenti di azione delle pubbliche amministrazioni; sono quindi calibrati sulle esigenze che devono soddisfare. Esistono così caratteri comuni per tipi di atti. Gli atti che prescrivono comportamenti individuali sono (tendenzialmente) imperativi. Ma non lo sono ad es. gli atti di autorizzazione e di concessione, salvo che dettino prescrizioni. Vi sono atti che conferiscono diritti, ed altri che li tolgono o limitano. In funzione di un “Sì” o di un “No”lo stesso tipo di atto può essere o non essere imperativo o esserlo per un soggetto e non per un altro. La realtà giuridica emerge solo di fronte al processo: se un atto in qualche modo lede gli interessi di qualcuno, esso è “lesivo”; può – e deve – quindi essere impugnato nel termine.
La precisazione di metodo è assai più difficile da accettare e imporre. Il nocciolo della questione è che gli atti amministrativi devono essere impiegati – e quindi, essere previsti dalla legge e affidati alle cure delle amministrazioni – quando sono necessari. Questa idea è ostica. Non basta che vi siano leggi o regolamenti che disciplinano una data materia, e che devono essere osservati. Noi continuiamo a pensare che del cittadino non ci si può fidare e che quindi sempre e ovunque devono esserci controlli preventivi. La legge n. 15 del 2005 con le altre norme che la hanno accompagnata è esemplare. Vi sono stati ripetuti tentativi di semplificare l’azione amministrativa: ma, anziché rinunciare al controllo preventivo, cominciando dalle materie più semplici, per poi progredire su questa via e sanzionare pesantemente le violazioni, si sono dettate liberalizzazioni a schiera, tutte sottoposte ad una previo controllo. Opera vana, che nasce dalla sfiducia reciproca di cittadini ed amministrazione e di questa si alimenta. Non si dimentichi che la catena della sfiducia è uno dei più semplici sentieri che la corruzione percorre.

Note

13.  L. 7 agosto 1990, n. 241, più e più volte modificata ed integrata – ed anche stravolta.

14.  In realtà la chiarezza era ed è solo apparente, perché può essere difficilissimo distinguere in concreto un diritto soggettivo da un interesse. Non è un caso che uno degli assi intorno a cui ruota la storia della nostra giustizia amministrativa sia il problema del riparto di giurisdizioni. Questa è una grave patologia del sistema, che sembra impossibile risolvere.

15.  In realtà oggi la differenza tra diritti soggettivi e interessi legittimi, con le conseguenze processuali che ne derivano, nei fatti si è molto attenuata

16.  Per esse, v. F. BENVENUTI,  Giustizia amministrativa, v. Enc. d. dir., XIX, 1970,  589 ss.

17.  Al Consiglio di Stato di poteva andare solo per l’annullamento di provvedimenti definitivi per loro natura (decreti ministeriali ad es.),  o divenuti tali dopo l’esaurimento del ricorso gerarchico. Ma il ricorso gerarchico non era certo una forma di dialogo. Era l’anticipazione del ricorso giurisdizionale.

18.  Riferimento essenziale è la voce di BENVENUTI qui sopra cit..

19.  Nell’agosto 1990 venne pubblicata la prima legge italiana sul procedimento amministrativo (la n. 241/1990).

20.  FORTI e SANDULLI

21.  Il titolo di questa legge è “Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa.” È un titolo molto significativo. La l. n. 241/1990 era la legge – o almeno in tentativo di legge – sul procedimento amministrativo. Lasciata cadere ogni aspirazione a dare un assetto contraddittorio all’azione amministrativa, vale a dire di dialogo tra i cittadini e l’amministrazione – appunto, un assetto procedimentale – la nuova legge, succeduta alla n. 241/1990, è tornata all’antico: detta norme che vorrebbero essere generali sull’azione amministrativa. Del cittadino protagonista della vita e dell’economia quasi non vi è traccia. Se ne parla naturalmente; ma in chiave statica o repressiva.

22.  Come è ben noto, l’art. 3 della legge abrogatrice del contenzioso prevedeva che, per le controversie non devolvibili al giudice ordinario, si sarebbe potuto avviare un contraddittorio con l’amministrazione. La norma non ha mai avuto attuazione. Non è un caso che il maggiore studio su questo tema (SANDULLI, Il procedimento amministrativo, 1940) scomponga l’attività amministrativa per momenti o fasi solo formalmente funzionali (iniziativa, istruttoria, decisoria, etc.), non già su compiti e ruoli di amministrazione, come l’idea stessa di “procedura” e “procedimento” avrebbe suggerito. V. anche FORTI,     Foro it., 1929

23.  E tale rimase fino alla legge 6 dicembre 1971, n. 1034, che istituì i Tribunali Amministrativi Regionali.

24.  Dichiarate incostituzionali da C. Cost. 22 marzo 1967, n. 30.

25.  Basti pensare che in Austria la legge sul procedimento amministrativo, con la partecipazione del cittadino, risale al 1875. V. MANNORI-SORDI, Storia del diritto amministrativo, 2001, p.464. Ed è del 1925 la legge generale austriaca sull’attività amministrativa.: ibid., p. 468.

Pagine: 1 2 3


RICERCA

RICERCA AVANZATA


ApertaContrada.it Via Arenula, 29 – 00186 Roma – Tel: + 39 06 6990561 - Fax: +39 06 699191011 – Direttore Responsabile Filippo Satta - informativa privacy