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In materia di partenariato pubblico privato

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E purtroppo occorre aggiungere, per restare all’interno del focus su cui si è incentrata la seduta del 10 marzo dell’Osservatorio, ovverosia il Tema del Partenariato Pubblico/Privato, che è emerso esattamente come i vari Istituti contemplati dal Codice risultino, tutti, scarsamente procedimentalizzati e presuppongano l’esercizio di una discrezionalità e negoziazione ampia, che scontano le carenze sopra rappresentate e gravano il dirigente preposto di responsabilità difficilmente sostenibili ove non via sia un supporto adeguato, la possibilità d ricorrere a professionalità esterne, l’accettazione culturale di un rapporto e dialogo diretto con il mercato: tutte queste sono condizioni al momento inesistenti o presenti solo in nuce, per la maggior parte degli Enti aggiudicatori di prossimità.
In tale ottica il D.lgs. 50/16 e soprattutto il relativo acquis communautaire rischia di rimanere inapplicato senza la promozione di una diversa cultura alla base di tale approccio.
Allora, forse, è doverosa la presa d’atto che il D.lgs. 50/16, almeno per alcuni profili, appare fin troppo ambizioso, per il contesto storico-operativo degli Enti Locali, se non accompagnato da una giusta riflessione sulle modalità di negoziazione con il privato, anche in ambiti più specifici (riconducibili al partenariato P.P., nel senso più ampio del termine), parzialmente trascurati dal Codice, ma che risultano di più agevole e diffuso impiego.
Ci si riferisce, ad esempio, alla sponsorizzazione, che meriterebbe una disciplina più articolata, tale da promuovere lo sviluppo di uno strumento dalle potenzialità enormi, specie in contesti di pregio architettonico, archeologico e storico, di spiccato richiamo turistico; o ancora si pensa alle ipotesi di affidamento a scomputo delle opere di urbanizzazione, che rappresentano peraltro una sezione importante delle opere pubbliche di un Ente locale e a cui sono dedicate solo poche righe nel Nuovo Codice, lasciando aperti temi e problematiche fondamentali, quali l’annessione al regime della qualificazione delle Stazioni Appaltanti anche del costruttore/esecutore dell’opera a scomputo, l’alternativa ostica dell’avvalimento delle Centrali Uniche di committenza, che al momento non contemplano se non ridottissime categorie di lavori pubblici, per lo più molto standardizzati e sottosoglia (vedasi il MEPA) e che comunque non necessariamente hanno tempi compatibili con l’attuazione di strumenti urbanistici; e non manca la necessità di normalizzare anche il tema dei controlli su esecuzioni di tale rilievo, ove una Stazione Appaltante Privata spende soldi pubblici e non, in forza di obblighi ex lege, per realizzare opere pubbliche, su terreni pubblici, che entrano a far parte del patrimonio della pubblica Amministrazione stessa: tutto ciò meriterebbe forse una legge dedicata, l’ambita riforma della L. n. 1150/1942 od altro ma certamente è una di quelle tematiche importanti che resta aperta e non trova risposta nel Codice, come emerso dalla seduta dell’Osservatorio del 10 marzo in questione.
In tale contesto sarebbe utile che fosse affrontato, magari in sede di sviluppo di linee guida meno articolate sulla trama e con un’ottica al risultato, il tema della maggior flessibilità nello svolgimento delle attività procedimentali prodromiche agli affidamenti in partenariato, mediante l’utilizzo di forme di consultazione degli operatori economici che sappiano contemperare il rispetto dell’evidenza pubblica con la dinamicità dell’attuale contesto: si pensi, a titolo esemplificativo, alla possibilità di utilizzare strumenti di consultazione (es. green e white papers utilizzati in ambito comunitario), anche nelle analisi di mercato, se del caso attraverso il supporto guidato di una PPP unit e l’utilizzo di advisors di parte pubblica che siano in grado di validare la bontà delle scelte.
Del resto uno sviluppo della cultura della negoziazione all’interno delle forme di partenariato costituisce una sfida importante, come già avvertito dalla più accorta dottrina, in grado di avviare una transizione dagli accordi sostitutivi di provvedimento, ex art. 11 L. 241/90, a tipologie di intesa sostitutive di procedimento: un approccio senza dubbio sfidante che non può non passare per la revisione delle forme di responsabilità e controllo della dirigenza in chiave maggiormente ancorata al risultato delle scelte secondo un paradigma di efficienza. Si tratta, anche nel contesto amministrativo, del passaggio ad una “società liquida” in grado di garantire quella circolarità dell’azione amministrativa in linea con i tempi e disancorata dalla concezione esclusivamente “paternalistica” del potere autoritativo.

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