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Conti di Narrow banking

di - 4 Luglio 2016
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–        Perché tali riforme sono inattuabili (salvo non auspicabili, ulteriori disastri).
Tuttavia, riforme radicali come quelle appena menzionate, che rivoluzionerebbero le strutture bancarie esistenti, appaiono impraticabili. Tutte le moderne economie poggiano su un ruolo centrale del credito, mentre quelle riforme – al di fuori delle attività protette (cash mutual funds o narrow banking) – fanno leva o su condivisioni del rischio attraverso forme di equity (tale è la partecipazione a quote di fondi d’investimento) oppure su attività creditizie del tutto sregolate. Nelle legislazioni approvate o in discussione, perfino forme di separatezza tra attività bancaria commerciale e di investimento sono o assai imperfettamente attuate (Dodd-Frank Act americano), ovvero stentano a tradursi in norme positive (Vickers Report[9] inglese, Liikanen Report[10] europeo). Del resto, è stato osservato, con riferimento alla crisi americana, che i problemi che la hanno determinata hanno avuto le loro radici o in attività proprie del commercial banking (mutui immobiliari a soggetti privi di merito di credito), o in attività specifiche dell’investment banking (titoli esoterici di ardua valutazione): sicché, si afferma, anche col Glass-Steagall vigente la crisi sarebbe ugualmente insorta[11]. Si aggiungano ovvi motivi di lobbying da parte dell’industria bancaria, che con la narrow bank o la limited purpose bank vedrebbe essenzialmente annullato il proprio franchising.

–        Conti di narrow banking entro la struttura finanziaria esistente?
Questa breve rassegna di soluzioni impraticabili sarebbe del tutto accademica se non se ne traesse un suggerimento forse opportuno nelle attuali circostanze. I paragrafi che precedono sono stati necessari per tornare ai due aspetti citati nella premessa di questa nota: la necessità di preservare la fiducia nel sistema bancario, in costanza di bail-in, e la consapevolezza del cliente (investitore/depositante) che affida alla banca il proprio denaro.
A questo riguardo, occorre richiamare i tre principali strumenti finanziari disponibili a chi intende affidare il proprio denaro alla banca: azioni, obbligazioni, depositi. Un problema di consapevolezza del rischio da parte dell’investitore non dovrebbe porsi nel terzo. Seguendo una schematizzazione Keynesiana, nel deposito sono presenti i motivi di transazione (“whether long or short, some interval there generally is between an individual’s receipts and his expenditure”) e precauzionale (“store of value”), non il motivo speculativo[12]. Questa è la ragione monetaria del deposito. Il deposito, nella sua forma più liquida, è l’alternativa di cui il risparmiatore “Tobiniano” dispone rispetto alla detenzione del denaro sotto il materasso: detenzione di cui nessuno auspicherebbe la diffusione (ma tanto più concreta adesso, sia per i tassi d’interesse quasi azzerati sia per le preoccupazioni – gli allarmismi – per l’eventuale debolezza della banca coinvolta).
All’estremo opposto c’è il titolo azionario, “speculativo” per eccellenza. Tra le obbligazioni, è forse possibile dire che il motivo precauzionale prevale nelle “senior”, quello speculativo nelle “subordinate” (ciò spiega la graduatoria di aggredibilità in caso di insolvenza della banca, approvata dal legislatore).
Se questa prospettiva è accettabile, è arduo rispondere al quesito se l’investitore in titoli di debito impersoni un tipico caso di “azzardo morale” – la ricerca di un più elevato rendimento nell’aspettativa che egli sara’ bailed-out in caso di dissesto della banca – o se egli sia inconsapevolmente indotto a impieghi non corrispondenti ai suoi intenti meramente precauzionali.
Secondo stime della Banca d’Italia aggiornate al secondo trimestre 2015, su un totale di 921,1 mld di euro investiti dalle famiglie in depositi e obbligazioni bancarie, 494 sono costituiti da depositi sotto i 100.000 euro, e 0,1 da covered bonds (entrambi esenti da bail-in), 225 da depositi sopra i 100.000, 173 da obbligazioni senior, 29 da obbligazioni subordinate. Pur trattandosi di una cifra minoritaria rispetto ad altre forme d’investimento, questi 29 rappresentano poco meno della metà del totale delle subordinate emesse dalle banche (ci si chiede se tale quota sia simile ad altri paesi, dove forme di risparmio gestito sono più diffuse). Non essendo possibile, né auspicabile, una protezione totale delle obbligazioni senior e tanto meno delle subordinate, la consapevolezza del rischio ad esse connesso, per la quota acquistata dalle famiglie, non può essere raggiunta se non attraverso un’ampia e non facile educazione finanziaria, e un corretto rapporto tra banca e cliente. Non è tuttavia certo che “prospetti” chiari, esaurienti e correttamente spiegati possano porre rimedio a tale deficienza. La vendita al dettaglio di titoli azionari e obbligazioni subordinate alla clientela andrebbe circondata di particolari cautele, per motivi di rischio e/o complessità. C’è da chiedersi se la direttiva europea in argomento (MIFID) sia adeguata, o adeguatamente applicata. Un’alternativa più radicale consisterebbe nella proibizione di vendita al dettaglio di queste obbligazioni; ma essa andrebbe riconciliata con l’intento delle autorità di vigilanza di rafforzare il patrimonio della banca con strumenti – come le subordinate – che integrino il capitale azionario della banca stessa, in una fase in cui tale rafforzamento è particolarmente avvertito.
L’idea della narrow bank potrebbe essere considerata, non per una radicale riforma del sistema bancario, ma per introdurre un nuovo strumento entro la compagine prevista dalla normativa esistente. I conti di narrow bank si affiancherebbero agli altri strumenti offerti al cliente dalla banca: sarebbero caratterizzati da tutte le modalità di utilizzo dei depositi in c/c, mentre i conti di riserva della banca presso la banca centrale ne sarebbero la garanzia (il back up) . Essi sarebbero segregati dal resto del passivo, inclusi i depositi, per evitarne l’utilizzo da parte della banca per scopi meno sicuri, e piu’ profittevoli. In altre parole, i conti di narrow bank, al passivo della banca, avrebbero come contropartita all’attivo i conti intrattenuti dalla banca con la banca centrale. Essendo la remunerazione di quest’ultimi bassa, o nulla, o negativa (come attualmente nell’eurozona), i conti di narrow bank non renderebbero alcunché, rappresentando il trade-off tra un utilizzo uguale al deposito in c/c, e la sua sicurezza. La mancata corresponsione di interessi su tali conti, mentre la stessa assicurazione dei depositi sarebbe superflua, compenserebbero in parte per la banca l’onere di tenuta di tali conti, che risponde al solo scopo di pubblica utilità.

–        Obiezioni
Anche un’applicazione molto limitata del narrow banking non può prescindere da diversi aspetti critici, riconducibili al fatto che non è possibile sapere a priori quale dimensione assumerebbero i conti di narrow banking rispetto ai depositi o altri strumenti, né come queste dimensioni si evolverebbero col variare delle prospettive di stabilità del sistema bancario o di singoli istituti di credito (presumibilmente muovendosi in senso inverso a tali prospettive) . Tra gli aspetti critici:
quante sono le riserve libere delle banche presso la banca centrale per accomodare la richiesta di conti di narrow banking, avendo presente che secondo i dati sopra citati l’importo dei depositi oltre 100.000 euro si aggira sui 225 miliardi? Se vi fosse uno sbilancio, i conti di narrow banking andrebbero coperti con attività diverse dai conti di riserva presso la banca centrale, che sarebbero a ridotto ma crescente livello di rischio, come titoli pubblici a brevissimo termine.[13] Secondo una proposta, questi conti, così ampliati, diverrebbero una sorta di “covered deposits”, coperti da una più ampia gamma di attività, la cui qualità andrebbe costantemente “monitorata” dall’autorità di vigilanza[14].
se i conti di narrow banking sono immobilizzati presso la banca centrale, di quanto l’attività di prestito della banca sarebbe suscettibile di ridursi (limitazione del “moltiplicatore”)?
di quanto spostamenti, soprattutto se repentini, da conti di narrow banking a conti di deposito, e viceversa, influirebbero sulla stabilità finanziaria?
Il modello di narrow banking fu stroncato con l’osservazione per cui “usarlo per affrontare i potenziali problemi della illiquidità bancaria è analogo a cercare di ridurre gli incidenti automobilistici limitando a zero la velocità delle automobili”[15]. Erano gli anni Novanta, in piena deregolazione bancaria e prima della crisi. Può trovare spazio una nuova riflessione.

Note

9.  Independent Commission on BankingFinal Report, Sept 2011.

10.  High-level Expert Group on Reforming the Structure of the European Union Banking Sector – Final Report, Oct 2012.

11.  Wallison P.J.: Did the “Repeal” of the Glass Steagall Have any Role in the Financial Crisis? Not Guilty. Not Even Close, in Tatom J. (ed): Financial Market Regulation. Legislation and Implications, Springer, 2011.

12.  Vds Keynes J.M.: A Treatise on Money, Macmillan, 1965 (pr. ed. 1930), vol 1, chap 3; The General Theory of Employment, Interest and Money, Harcourt, Brace and Co, s.d. (1936), p 170.

13.  L’argomento sarebbe di particolare rilievo nel nostro paese, dove c’è forte sproporzione tra depositi e riserve del sistema bancario presso la Banca d’Italia. Negli Stati Uniti, le sole riserve libere presso la Federal Reserve ammontavano a fine 2015 a $1977 mld., mentre i depositi totali in c/c delle famiglie (cioè non distinguendo tra depositi sopra o sotto il limite assicurato) erano pari a $1222 mld (il dato include anche il contante). Questa “capienza” delle riserve bancarie non sempre si verifica. In Italia la situazione sembra essere opposta: i soli depositi delle famiglie sopra il limite assicurato eccedono di gran lunga le riserve (obbligatorie e libere) presso la Banca d’Italia (225 mld –stima al giu.’15- contro circa 23 mld – a fine ‘15). Vds Federal Reserve Board: Flow of Funds; www.bancaditalia.it/Bilancio e Rapporto sulla stabilita’, cit

14.  Cfr la lettera al Financial Times del professore belga Eric De Keukeneer (FT, 26/4/2016)

15.  Wallace N.: Narrow Banking Meets the Diamond-Dybvig Model, in Federal Reserve Bank of Minneapolis Quarterly Review, winter 1996, p 3

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