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Riforme amministrative in cambio di flessibilità sul Patto di Stabilità in Europa?

di e - 5 Settembre 2014
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I primi due obiettivi sono chiari e speriamo conseguibili con gli strumenti messi in campo che sono quelli realisticamente attivabili. Il terzo obiettivo è più difficile perché è più vago se non si riflette sul tema dell’anima da restituire all’amministrazione pubblica.
Tale anima si è persa da tempo: essa risiedeva nel provvedimento amministrativo autoritativo che ormai attualmente riguarda solo una minima parte delle attività amministrative; difficilmente la si potrà ritrovare negli strumenti di diritto privato quali da qualche anno innestati nell’amministrazione “negoziata” (spesso fonte di ritardi e di corruzione).
Forse occorrerà chiedersi che cosa riservare alla decisione autoritativa (interessi pubblici eminenti o indisponibili quali la tutela del paesaggio, dell’ambiente – salvi i casi di interventi di minima entità – e l’area del “comune” o dei c.d. beni comuni) e cosa alla negoziazione (la restante parte del governo dell’economia).
Le misure economiche progettate – oggetto del decreto competitività – sono parziali ma condivisibili: agevolazioni alle imprese per l’acquisto di macchinari; riduzioni della bolletta elettrica per le imprese; misure di settore a favore dell’agricoltura e dell’ambiente.
Anche qui, sullo sfondo, ci sono le riforme che tardano a venire: a parte la riforma del mercato del lavoro, oggetto di un disegno di legge delega già pendente in Parlamento, occorrerà metter mano alla riforma del welfare (anche per realizzare la spending review più incisiva) e ciò significa pensioni e sanità.
La spinta riformista del governo Renzi si è per il momento concentrata sull’apparato pubblico statale, procedendo a colpi di decreti senza considerare ponderatamente tutti gli aspetti implicati dalle scelte urgenti, a partire dai costi e dalla funzionalità della macchina amministrativa. Ne consegue che il governo dispone adesso di uno strumento a – la pubblica amministrazione – che rischia di divenire più demotivato dall’incertezza normativa, ed in definitiva meno efficiente, se non più costoso.
La riforma amministrativa troverà un più compiuto assetto ed una organica sistemazione nei decreti legislativi attuativi della legge delega già presentata alle Camere dal Ministro Madia.
A partire dall’autunno il Governo si concentrerà sull’economia.
Ci ascolterà l’Europa?
A ben vedere le riforme avviate sul Senato e la legge elettorale non hanno destato grande interesse in Europa: il Financial Times le definisce riforme per la vetrina. Il Wall Street Journal neppure le menziona. Il giudizio della stampa e dell’opinione pubblica internazionale è probabilmente eccessivamente severo, ma il richiamo di Draghi ai paesi che non hanno la capacità di riformarsi, con l’invito a trasferire la loro sovranità a Bruxelles, è indicativo di un sentimento sempre più diffuso nei confronti del nostro paese, considerato l’anello debole dell’eurozona.
Riforme di questo tipo non sono quelle richieste dall’Europa in quanto non incidono sul tessuto produttivo del paese.
Va inoltre considerato che il blocco politico e sociale che si è formato dopo le recenti elezioni del Parlamento europeo, con una Grosse Koalition che abbraccia popolari, socialisti, liberali, non si discosta molto dalle politiche di austerità fin qui seguite.
Pensare che il miglior uso della flessibilità, contenuta nella normativa comunitaria esistente, possa condurre a dei cambiamenti radicali, è puramente illusorio.
Occorrono proposte per una nuova politica economica europea accompagnate da quei cambiamenti strutturali necessari in un paese come il nostro, come il mercato del lavoro e la politica industriale, ma che tardano a venire perché gli obbiettivi primari della politica sono concentrati altrove e riguardano adesso la nuova legge elettorale.
Per quanto sacrosanto sia il conseguimento di questi obiettivi, esso non introduce agli occhi dei nostri partners europei quei cambiamenti sostanziali, suscettibili di assicurare un sistema normativo più efficiente, un sistema fiscale più equo e con una ridotta pressione su lavoro e imprese, un mercato del lavoro più aperto, un’industria più competitiva, grazie alle liberalizzazioni auspicate. Il governo italiano non è stato finora in grado di declinare a Bruxelles cosa intenda per un migliore uso della flessibilità, dando l’impressione di ricercare soluzioni di comodo per rinviare nel tempo il rispetto degli impegni assunti.
E anche qui entra in gioco la qualità delle norme e la riflessione necessaria sulle modalità della loro adozione. Si pensi al fiscal compact e agli impegni di bilancio introdotti in costituzione, senza valutare la sostenibilità dei vincoli assunti nel presupposto di una crescita del PIL e del tasso di inflazione, che non solo tardano a venire, ma fanno registrare una allarmante diminuzione.
La flessibilità invocata dal Governo Renzi, per avere sostanzialmente una deroga alle regole di pareggio del bilancio per fare le riforme, comporta la messa a punto di strumenti per agire concretamente e tradurre in azioni concrete le numerose norme che già esistono in materia di competitività e semplificazione dei processi legislativi e burocratici. Non solo, ma occorre uno Stato forte, uno Stato innovatore come sostiene nel suo libro “Lo stato innovatore” la ricercatrice italiana Marianna Mazzuccato, docente di economia dell’innovazione nell’Università del Sussex.
Di qui nasce la necessità di abbattere tutti i luoghi comuni che si sono andati formando contro lo Stato e il suo apparato e porre fine a un processo di sistematica mortificazione della pubblica amministrazione. Occorre invece valorizzare, ove vi siano, le capacità imprenditoriali del settore pubblico e crearle ove siano mancanti. Occorre altresì, rinnovando, coinvolgere nei processi decisionali gli organismi ancora capaci di esprimere la solida tradizione e cultura amministrativa dello Stato con il compito di perseguire obiettivi di semplificazione legislativa della normativa esistente che faccia immediatamente ripartire il sistema con agilità e speditezza nel perseguimento di obbiettivi concreti, che non restino confinati nel limbo di inutili processi legislativi, privilegiando l’attuazione delle leggi alla perenne ma sterile innovazione normativa.

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