Le sanzioni antitrust tra diritto amministrativo e diritto penale: la visione del penalista
Ciò per dire che i sistemi di prevenzione, in qualunque materia e settore dell’agire d’impresa si intenda “impiantarli” – dall’infortunistica ai reati societari, dalla tutela ambientale ai reati contro la pubblica amministrazione, dagli illeciti fiscali fino alla materia antitrust – hanno senso solo se sono “creduti”, considerati reale strumento di mitigazione del rischio, anche da parte di chi ha il compito di verificarne l’applicazione, sia esso la magistratura o una autorità indipendente.
Se così non è, il rapporto costi benefici di tali misure si rivela presto svantaggioso per i soggetti regolati i quali, pertanto, finiscono per assumere un atteggiamento di tipo burocratico, formalistico, privo di effettività; ciò porta le imprese, nel lungo periodo, ad abbandonare la positiva “tensione preventiva” per appropriarsi di un approccio che vede la sanzione come costo d’impresa.
Credo, quindi, nell’utilità di dare sempre più spazio a forme di autoregolamentazione aziendale, soprattutto se guidate da indicazioni provenienti dalle Autorità di vigilanza.
Ma non posso non sottolineare con decisione che, soprattutto in un momento in cui le imprese soffrono contrazioni di redditività, i modelli organizzativi – se seriamente adottati, se seriamente attuati – devono garantire un ragionevole grado di certezza su una efficacia esimente.
Questa è la prospettiva che, con coraggio, andrebbe percorsa.
Il contributo è una rielaborazione dell’intervento al Convegno “Le sanzioni antitrust tra diritto amministrativo e diritto penale” tenutosi a Roma, presso Palazzo Venezia, il 24 Ottobre 2013.