Le banche centrali dopo la crisi
1. La ragion d’essere, la specificità, della banca centrale risiede nella discrezionalità del suo operare, fondata sull’autonomia tanto dal mondo degli affari quanto dalla politica. Alla discrezionalità amministrativa (ponderazione dei fini) si collega la valutazione tecnica nella scelta e nel dosaggio degli strumenti. Una banca centrale che si limiti a operare secondo regole non vale la spesa.
È, questa, la linea teorica T-B-K-M (Thornton-Bagehot-Keynes-Minsky), non da tutti condivisa. Da Ricardo a Friedman non pochi economisti hanno nutrito fede nelle regole, sfiducia nelle banche centrali. Thornton e Ricardo, agli inizi dell’Ottocento, erano su questo punto divisi, pur essendo amici, colleghi in Borsa e in Parlamento.
La discrezionalità va invece ribadita, valorizzata, sancita nella legge, compresa e accettata dalla società civile. Al tempo stesso va evitato che essa scada nell’arbitrio. E’ sindacabile – ex post, non ex ante – in primo luogo dal Parlamento, a monte di fattispecie quali l’abuso d’ufficio, l’omessa vigilanza, la manipolazione del mercato. Lo consente l’analisi economica, che offre criteri qualitativi ed empirici ai fini della valutazione ex-post delle decisioni che la banca centrale ha preso.
2. Dai primi istituti di emissione di fine Seicento agli anni Settanta del Novecento le tendenze istituzionali, operative, culturali del central banking si erano orientate alla discrezionalità d’azione delle banche centrali. Fra alterne vicende e con varianti tra paesi, la linea T-B-K-M di fatto prevaleva rispetto alla linea Ricardo-Friedman, che restava alternativa.
L’inflazione degli anni Settanta, il successivo affermarsi dell’analisi economica e giuridica neoclassica come ortodossia dominante, la “nuova” teoria quantitativa della moneta, le aspettative “razionali”, il paradigma dei mercati finanziari “perfetti” se caratterizzati da correttezza di comportamenti e pienezza d’informazione: questi orientamenti dopo gli anni Settanta si sono uniti agli interessi del mondo della finanza, che non ama gli interventi e i controlli discrezionali delle banche centrali, nel sospingere il pendolo nella direzione opposta.
La discrezionalità delle banche centrali è stata limitata da regole:
– in politica monetaria: parametri quantitativi, “inflation targeting”, “Taylor rule”, tutti ispirati all’idea secondo cui al di là del corto periodo la moneta influisce sui prezzi, non sull’attività economica;
– in vigilanza: separazione della supervisione bancaria dalla politica monetaria, Basilea “2”, modelli di rischio interni alle banche, mercati capaci di badare a se stessi se liberati dall’invadenza delle banche centrali;
– in finanza pubblica: lo Stato piazzerà sempre i suoi titoli, non sarà razionato nel mercato obbligazionario se il suo bilancio approssima il pareggio, quindi la banca centrale non dovrà finanziarlo.
Veniva creato un Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) tutto dedito ai prezzi stabili, privo del potere-dovere di vigilanza, con la proibizione assoluta di finanziare i Tesori in via diretta.
3. La crisi del 2008 – dissesti finanziari, recessione – sconvolgeva gli assetti che si erano venuti affermando negli ultimi trent’anni. Di fronte ai fatti duri della crisi il pendolo oscillava di nuovo verso T-B-K-M, verso un accresciuto ruolo le banche centrali.
a) In politica monetaria è saltata ogni regola quantitativa. Le principali banche centrali – Fed, SEBC, Banca d’Inghilterra, Banca del Giappone (in minor misura) – di fronte al crollo della finanza e ai disoccupati hanno moltiplicato i loro bilanci. Nell’espandere con inusitata larghezza i finanziamenti la BCE ha tuttavia dovuto operare ai limiti dello spirito e forse della lettera dei suoi statuti e della sua precedente filosofia.
Le quattro banche centrali hanno inondato il mondo “di moneta ad alto potenziale”, dimostrandosi poi molto caute nel riassorbirla. Secondo i critici si tratterebbe di potenziale inflazionistico, perché moltiplicativo prima o poi dei depositi bancari, mezzi di pagamento spendibili.
b) In vigilanza è crollato lo schema – principalmente anglosassone – fondato su Basilea, regole limitate a correttezza/trasparenza, mercati “perfetti”. Si è restituita la vigilanza alla Bank of England. Si è potenziata quella della Fed. In Europa si attribuisce alla BCE la vigilanza, mentre dalla sua fondazione questo compito le era stato ostinatamente negato.
L’errore degli errori l’ha commesso la Fed, decidendo nel settembre del 2008 di non salvare Lehman Brothers, come ai sensi della Section 13(3) della già citata sua legge avrebbe forse potuto. Al dissesto Lehman seguì, per contagio ed effetto domino, una catena di fallimenti. Salvare Lehman sarebbe costato dai 12 ai 60 miliardi di dollari. Dopo Lehman, il Parlamento degli Stati Uniti dovette metterne 700 a disposizione del Tesoro per sostenere la finanza e l’economia.
In Italia, grazie anche alla vigilanza della Banca d’Italia, non si è registrata nessuna crisi di banche. Nel 2008-2013 il Pil è crollato del 9 per cento, ma per motivi “reali”: l’improduttività delle imprese, l’impotenza dei governi.
c) Nella copertura dei disavanzi e dei debiti pubblici – esplosi comprensibilmente nella recessione – l’Europa ha rischiato di implodere, di disunirsi. La BCE ha dovuto finanziarli, sebbene per vie indirette, quasi di soppiatto, perché limitata dall’ordinamento.
La Repubblica italiana ha piazzato nel mercato tutti i titoli di nuova emissione. Ciò è avvenuto anche alla fine del 2011 e nella primavera del 2012, quando il Governo Monti dichiarava, pubblicamente e a più riprese, di temere “una crisi di tipo greco”. Paradossalmente lo dichiarava – facendo collassare le aspettative di imprese e consumatori – mentre avviava con la tassazione il riequilibrio strutturale del bilancio. Se il mercato avesse azzerato il credito all’Italia, come sarebbero stati pagati gli stipendi pubblici?
4. Storia, teoria, prassi si uniscono alle drammatiche esperienze recenti nell’offrire dovizia di argomenti per sostenere che autonomia e discrezionalità della banca centrale possono opportunamente volgersi, in politica monetaria, a considerare, oltre alla stabilità dei prezzi, altri obiettivi con questa connessi; nella cura del sistema finanziario, a evitarne l’illiquidità e a contrastarne il crollo anche sostenendo, entro limiti, l’operatore insolvente; nel finanziamento dello Stato, ad assicurare la continuità dei pagamenti pubblici allorché lo Stato è solvibile, ma il mercato del danaro gli nega i fondi.
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