La tutela della proprietà privata contro i comportamenti illegittimi dell’amministrazione in Francia: alcune novità in materia di voie de fait
Rispetto alla teoria dell’emprise, quella dell’expropriation indirecte si pone in relazione di continuità logica: essa si realizza quando, a seguito di una modificazione irreversibile del bene immobile privato per la costruzione di un’opera pubblica, la proprietà ne è trasferita all’amministrazione; ciò in ossequio al principio dell’intangibilità dell’opera pubblica[32]. Il regime è quello dell’emprise: soltanto le questioni risarcitorie spettano al giudice ordinario. Analogamente a quella di emprise, la definizione è dubbia rispetto ai comportamenti occupativi messi in atto in assenza ab origine di qualsiasi titolo valido, ovvero in carenza di potere in astratto. In ogni caso, rispetto all’intera fattispecie dell’expropriation indirecte, la ridefinizione dell’operatività della voie de fait come operante solo in caso di estinzione del diritto di proprietà non sposta – né potrebbe spostare – i confini dei due istituti. Sebbene nel definire emprise ed espropriation esso non sia preso in considerazione, il criterio discretivo deve (o dovrebbe) essere riscontrato nell’esistenza o meno di un potere astrattamente riconducibile all’amministrazione. La giurisprudenza del giugno 2013, allora, fallisce il suo presunto intento di delimitazione e ridefinizione dei rispettivi ambiti della voie de fait e degli altri rimedi apparentemente concorrenti, che sono in realtà strettamente alternativi.
Peraltro, il fatto di richiedere la soppressione del diritto di proprietà da parte di un atto materiale dell’amministrazione (quale è la voie de fait)equivale a sottintendere che tale atto possa avere effetto traslativo del diritto, possibilità come noto negata dalla giurisprudenza CEDU[33] ed alla base delle stesse modifiche legislative del ’95 al Code de l’expropriation, già richiamate, in materia di annullamento della dichiarazione di pubblica utilità.
4. Riflessioni a margine.
Molte le riflessioni che sorgono ad una lettura, seppur così rapida, del panorama giurisprudenziale in materia. Ci si limiterà qui a richiamarne alcune, senza possibilità di approfondimento.
Innanzitutto, appare chiaro come la distinzione tra i diversi istituti sia sfocata a causa della mancata individuazione di un criterio univoco. Nella teoria della voie de fait, che sembrava poter essere individuata attraverso l’unico e chiaro carattere della riconducibilità o meno dell’attività ad un potere, viene di recente messa in rilievo la gravità dell’offesa. D’altra parte, rispettivamente l’oggetto della tutela (soltanto i beni immobili) o, di nuovo, la gravità dell’offesa (trasferimento della proprietà) sono invece richiamati per definire emprise irrégulière ed expropriation indirecte, nozioni in cui confluiscono sia ipotesi di carenza di potere che di cattivo esercizio dello stesso[34].
Ora, gli strumenti a disposizione del giudice amministrativo e di quello ordinario sono ormai analoghi, soprattutto, per quel che qui interessa, rispetto al potere di ingiungere all’amministrazione il rilascio del bene e finanche la demolizione dell’opera pubblica illegittima[35]. Questa considerazione ha portato a ipotizzare l’attuale inutilità della voie de fait, nata in un contesto storico in cui soltanto il giudice ordinario aveva gli strumenti per assicurare una corretta tutela dei diritti e delle libertà fondamentali[36]. Al tempo stesso, tuttavia, non può ritenersi che per ciò solo la tutela al diritto di proprietà sia omogenea in tutti i casi qui analizzati.
A prescindere dallo sdoppiamento di tutela che si verifica nelle fattispecie di emprise irrégulière e di expropriation indirecte, in cui al giudice amministrativo competono tutti i rimedi ripristinatori ed a quello ordinario il rimedio risarcitorio[37], la differenza di regime tra queste ipotesi e la voie de fait deve riscontrarsi nella considerazione accordata all’interesse generale soddisfatto dall’opera pubblica illegittima, che viene in rilievo in modo molto diverso per i due giudici. Il giudice amministrativo decide circa l’opportunità o meno di ordinare la demolizione bilanciando il sacrificio dell’interesse privato con il detrimento che dalla demolizione conseguirebbe all’interesse generale[38]; si tratta quindi di una decisione caso per caso, nell’ambito della quale il diritto di proprietà del privato può legittimamente soccombere. In materia di voie de fait, invece, una simile considerazione dell’interesse pubblico non potrà mai venire in rilievo, posto che l’opera non è collegata all’esercizio di un potere e tale interesse, di conseguenza, non potrà mai dirsi da essa realizzato, né quindi leso dall’eventuale distruzione, che sarà quindi sempre possibile su ordine, in questo caso, del giudice ordinario[39]. La proprietà è quindi tutelata con modalità diverse: in modo assoluto dal giudice ordinario, in modo relativo e condizionato alla compatibilità con l’interesse generale dal giudice amministrativo.
Il giudice ordinario è stato ritenuto in dottrina il meglio qualificato per proteggere i diritti grazie ad una connaturata indifferenza nei confronti dell’interesse pubblico, e si è auspicato il mantenimento della voie de fait per scongiurare possibili recrudescenze di comportamenti arbitrari dei pubblici poteri nei confronti delle libertà personali, come quelli che hanno storicamente determinato l’affermazione della teoria[40]. Questa la spiegazione della dottrina francese, che tuttavia manca ancora una volta il punto centrale: disquisire sulla maggiore inclinazione dell’uno o dell’altro giudice, o sull’attualità o meno della voie de fait rispetto agli attuali poteri del giudice amministrativo, non ha senso, posto che si tratta di ipotesi in cui la giurisdizione amministrativa non può in nessun caso riconoscersi. Il riparto prefigurato dalla voie de fait nella giurisprudenza del Conseil d’Etat degli anni ’50 è, invece, perfettamente coerente e sempre attuale. Esso si basa sulla considerazione che, nel caso di esistenza del potere, la situazione giuridica soggettiva è tutelata soltanto in modo relativo e condizionato, soltanto, cioè, se la sua soddisfazione coincide con la realizzazione dello specifico interesse pubblico. Nel caso di carenza di potere, invece, semplicemente non viene in rilievo alcun interesse pubblico (o interesse generale, secondo la terminologia del Conseil d’Etat e della nostra stessa Costituzione) a fronte del quale il legislatore possa legittimare il sacrificio della situazione giuridica soggettiva privata. La lesione di quest’ultima, pertanto, sarà sempre patologica, e la sua tutela sempre assoluta.
L’assenza nel dibattito francese di agganci ad un fondamento giuridico rigoroso, cui più spesso sono sovrapposte argomentazioni di ordine storico o ideologico[41] che ne distorcono la portata, ha inevitabilmente conseguenze deteriori sulla tutela della proprietà. Si è visto infatti come ipotesi di difetto assoluto di attribuzione, in cui quindi sussiste in capo al privato un diritto, siano sottoposte alla tutela condizionata tipica dell’interesse legittimo, perché erroneamente ricondotte ad una categoria teorica a sua volta erroneamente delimitata, a causa della concorrenza di criteri talvolta privi di reale portata discretiva. Se è innegabile che la scelta della giurisdizione in determinate materie incida su equilibri economici importanti, e risponda quindi anche a logiche non esclusivamente giuridiche, è necessario che le regole del riparto siano comunque rispettate, proprio per evitare il prodursi di simili squilibri, e prima ancora, quindi, sarebbe importante che esse fossero poste in modo chiaro.
Note
32. In base al principio di intangibilità dell’opera pubblica, non ne poteva in nessun caso essere ordinata la distruzione né dal giudice ordinario né da quello amministrativo. CE, 7 luglio 1853, Robin de Grimaudière, S. 1854, 2, p. 213, concordemente individuata in dottrina come affermatrice del principio e ampiamente confermata in seguito. In dottrina, si veda C. Boutayeb, L’irrésistible mutation d’un principe: l’intangibilité de l’ouvrage public, in Rev. Dr. Pub., n. 5/1999, p. 1449 ss., spec. p. 1454 ss. La teoria è del tutto analoga a quella nostrana dell’occupazione appropriativa, nella prima “versione” prettamente giurisprudenziale (a partire da SSUU n. 1464/1983) che applicava l’accessione invertita per realizzare il trasferimento di proprietà. ↑
33. Ci si riferisce alle pronunce che hanno portato alle note evoluzioni normative di cui all’art. 43, e poi 42 bis, del TU espropriazioni: Corte EDU, Sentenze Scordino c. Italia, 15 luglio 2004 e 29 luglio 2004. ↑
34. Era quanto avveniva nel nostro ordinamento con l’impropria distinzione, ormai superata, tra occupazione appropriativa (presenza della dichiarazione di pubblica utilità valida, ma mancato perfezionamento della procedura espropriativa) e occupazione usurpativa spuria (annullamento della dichiarazione di pubblica utilità o sua intervenuta inefficacia per decorrenza dei termini), quest’ultima ricondotta ad un’ipotesi di carenza insieme all’occupazione usurpativa pura (in cui la dichiarazione di pubblica utilità manchi ab origine). Cfr. Cons. St., Sez. V, 2 novembre 2011, n. 5844. ↑
35. Grazie al superamento del principio di intangibilità della stessa, operato a partire dai primi anni ’90 dalla mutata giurisprudenza del Conseil d’Etat, che ha cominciato a riconoscersi la possibilità di sindacare per eccesso di potere la legittimità di un rifiuto da parte della PA di distruggere un’opera pubblica, CE, Section, 19 aprile 1991, Epoux Denard, Epoux Martin, Rec. CE 1991, p. 184, seguito dalla giurisprudenza civile, Cass. Ass. Plen., 6 gennaio 1994, Consorts Baudon de Mony c/ EDF, in AJDA 1994, p. 329. ↑
36. Così il Professor B. Plessix, al convegno “La voie de fait, nouvelle formule?”, cit. ↑
37. La complessità del rimedio costituisce, a sua volta, un vulnus per il diritto di proprietà. Cfr. G. Pellissier, Des garanties efficaces au terme d’une procédure complexe : réflexions sur les modalités de réparation des dépossessions irrégulières de la propriété privée, in Revue juridique de l’Economie publique, n. 654, giugno 2008, p. 33. ↑
38. CE, Sect., 29 gennaio 2003, n. 245239, Syndicat départmental de l’éléctricité et du gaz des Alpes-Maritimeset Cne Clans¸ RFD Adm 2003, p. 477. ↑
39. Trib. Confl., 5 giugno 2002, Exp Binet c/EDF France, Rec CE 2002, p. 544. ↑
40. Così il Professor B. Plessix, al convegno “La voie de fait, nouvelle formule?”, cit. Nello stesso senso, G. Pellissier, op. cit., p. 32, e C. Boutayeb, op. cit., pp. 1475-1476. ↑
41. Si pensi al principio per cui il giudice ordinario sarebbe il giudice dei diritti, rispetto al quale lo stesso Conseil Constitutionnel ha rimesso in causa la portata, negando che esso imponga necessariamente la devoluzione al giudice ordinario delle relative questioni risarcitorie: Cons. Const., n. 85-198 DC, 13 dicembre 1985, Amendement Tour Eiffel, in Rec. Cons. Const., 1985, p. 78. ↑