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Intorno alla legittimazione dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato a chiamare in giudizio pubbliche amministrazioni

di - 26 Novembre 2012
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Ciò risponde ad una ragione ben chiara: la giurisdizione amministrativa non mira a orientare tout court l’azione amministrativa verso la legalità, né ad attuare i principi generali di imparzialità e di buon andamento. Il suo compito è assicurare la protezione di diritti ed interessi, quando tali interessi abbiano raggiunto la soglia della tutelabilità e quando dunque abbiano quei connotati giuridici cui è ancorata la legittimazione.
Interessi di tal tipo non sono configurabili in capo all’AGCM. Essa non è un operatore del mercato, né parte del rapporto con l’Amministrazione il cui provvedimento ritiene di dover impugnare. Il suo ruolo è un altro: è un arbitro che disciplina e promuove la concorrenza fra gli operatori del mercato. In vista di questo fine, e non per perseguire qualche suo interesse, sindaca i comportamenti degli operatori su un piano di assoluta imparzialità, quasi giurisdizionale, ed irroga sanzioni per punire condotte anticoncorrenziali.
Discende inevitabilmente da ciò che in forza degli artt. 24, 103 e 113 Cost. nell’esercizio delle sue funzioni l’Autorità non può mai assumere la veste di parte attrice di fronte ad un giudice e nei confronti di chicchessia. L’interesse che fa valere non è infatti suo, ma della collettività, di tutti gli operatori. Trattasi di un interesse talmente forte da consentire l’esercizio di vastissimi poteri (basti pensare alle ispezioni!), ma altrettanto profondamente di ordine solo funzionale, al servizio della collettività. Non lato sensu proprietario, insomma. Questo tipo di interesse in nessun momento ed in nessun modo può essere a fondare l’esercizio di un’azione giudiziale.

8. Il secondo tema critico attiene alla posizione costituzionale dell’AGCM nella cui cornice si colloca necessariamente l’art. 21 bis. È una posizione molto delicata. Come spesso si è osservato, essa, ente pubblico, certo non dipende dall’esecutivo, ma non c’è una norma della Costituzionale che ne giustifichi l’indipendenza. La sua indipendenza è in qualche modo conferita dalla legge ordinaria, che ne definisce compiti, funzioni, procedimenti, e ad essa stessa affidata. Deve garantire la concorrenza secondo certi principi economici (e non altri, perché a quelli l’ordinamento comunitario e di riflesso quello italiano si attengono), istruendo i procedimenti nel rispetto del contraddittorio ed infine decidendo. Doverosamente difende poi in giudizio il suo operato.
È un equilibrio difficile, perché affermare un modello di concorrenza diverso da quello tracciato dal legislatore non sarebbe sostenuto né dalla legge, né da una competenza generale, di rango costituzionale.
Il nuovo art. 21 bis incide negativamente in questo delicato equilibrio. Consente infatti all’Autorità di sua iniziativa di instaurare giudizi a tutela della concorrenza contro altre pubbliche amministrazioni – Governo compreso, quindi –, scavalcando il suo diritto-dovere di difendere in giudizio i suoi provvedimenti, già adottati. Il problema dei rapporti con il Governo è evidente: come può un’autorità statale, non prevista dalla Costituzione, agire in giudizio contro il Governo? Chi è il decisore finale dei suoi comportamenti? E l’art. 95 Cost.?
Questi sono problemi estremamente impegnativi; così impegnativi, da giustificare soluzioni contrapposte. Si potrebbe infatti sostenere che l’art. 95 Cost. preclude la possibilità che un’autorità, sia pure indipendente, agisca contro il Governo per tutelare gli interessi pubblici affidatile. Si potrebbe però anche ritenere il contrario, e cioè che il valore “concorrenza”, con il suo fortissimo fondamento comunitario, e con la riserva della sua tutela allo Stato, ex art. 117 Cost., consente all’Autorità deputata di difenderlo anche nei confronti di un’amministrazione dello Stato.
Questo appare confermato da un’ulteriore considerazione. Il vero obiettivo delle iniziative assunte ex art. 21 bis l. n. 287/1990 non sono atti amministrativi, regolamenti e provvedimenti, bensì la legge su cui gli stessi sono basati. In tale prospettiva, dunque, l’Autorità diventa public prosecutor nei confronti del legislatore, chiedendo al giudice di sancire – ove occorra previo rinvio pregiudiziale alla Corte UE o alla Corte Costituzionale – la “caducazione” della legge.
Non pare dubbio che nel far ciò l’Autorità non solo eserciti una legittimazione processuale straordinaria – che la pone in una posizione del tutto anomala all’interno del sistema – ma, per giunta, lo faccia essendo per definizione portatrice di un “punto di vista” e di valori fondamentali certo, ma comunque parziali: vale a dire, la promozione della concorrenza e del funzionamento del mercato. Essi sono suoi valori di riferimento, sovraordinati rispetto ad altri beni e valori. In questo quadro, diversamente dal potere di segnalazione di cui all’art. 21 l. n. 287/1990, l’iniziativa dell’Autorità ex art. 21 bis non contribuisce ad arricchire le sintesi operate dal legislatore nell’esercizio delle sue prerogative, bensì mira a disarticolarle, affermando la primazia assoluta del valore concorrenziale.

9. La conclusione? Che esistano dubbi di legittimità costituzionale in ordine all’assetto di iniziative giudiziarie che l’AGCM può intraprendere sembra indubbio. Come è stato riconosciuto da tutti coloro che si sono occupati di questo tema, la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi è stata trasformata in una sorta di giurisdizione di diritto oggettivo. Si è parlato di una nuova figura di pubblico ministero e di interessi – privati – diffusi, affidati ex lege all’Autorità. Sembrano violate precise norme della Costituzione.
Ma non è questo ciò che più turba. La vera preoccupazione è data dall’abuso del diritto in cui è incorso il legislatore. La Corte costituzionale ha dettato un magnifico insegnamento in tema di proporzionalità e di adeguatezza che le misure adottate dal legislatore devono avere rispetto allo scopo perseguito. Questo criterio di prudenza e profonda giuridicità sembra essere stato violato. Per potenziare in minima parte il ruolo dell’AGCM è stato necessario forzare norme costituzionali espresse e principi di diritto consolidati. In uno Stato che vuole fondarsi sul diritto, oltre che sulle leggi, questo non va bene.
La nuova legittimazione dell’AGCM trae insomma origine da un vizio di fondo. Non è stata pensata in termini costituzionalmente rigorosi. È giusto sperare che un nuovo intervento legislativo la cancelli o che la cancelli la Corte costituzionale.

* Questo tema è stato oggetto di un intervento tenutosi al TAR di Roma il 7 novembre 2012 in occasione della giornata di studio sulla giustizia amministrativa dedicata ad Eugenio Cannada-Bartoli sul tema “La legittimazione ad agire nel processo amministrativo”.

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