Intorno alla legittimazione dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato a chiamare in giudizio pubbliche amministrazioni

(A proposito dell’art. 21 bis l. 10 ottobre 1990, n. 287, introdotto dall’art. 35, l. 5 dicembre 2011, n. 201)

1. Quasi un anno fa, nella cornice dei mille interventi volti a migliorare la situazione economica (ed istituzionale) del nostro Paese, si decise di ampliare i poteri dell’Autorità antitrust. Le è stato attribuito così di un potere mai visto prima, almeno per quanto consta a chi scrive. Con l’art. 35, co. 1, del d.l. 5 dicembre 2011, n. 211 il legislatore ha aggiunto un art. 21 bis alla l. 10 ottobre 1990, n. 287. Con tale intervento non si è limitato ad ampliare la competenza dell’AGCM consentendole ad es. di fare osservazioni a provvedimenti in corso di formazione, e/o addirittura di sospenderne l’efficacia per un certo periodo di tempo – ciò che potrebbe avere un senso. Il legislatore si è spinto molto oltre, attribuendo all’Autorità la possibilità di contestare provvedimenti adottati da qualunque pubblica amministrazione, che all’Autorità stessa appaiano contrari a norme dettate a garanzia della concorrenza, impugnandoli di fronte al TAR.

2. Questa norma non ha uguali nello scenario europeo. Si può fare un riferimento in qualche modo indiretto alla Commissione europea. Essa concorre a creare il diritto della concorrenza ed a reprimerne le violazioni. Lo fa dettando prescrizioni, di cui è giudice la Corte di giustizia, che può anche confermare le sanzioni richieste dalla Commissione. Certo può anche impugnare provvedimenti di organi dell’Unione. Ma la Commissione è tutt’altra cosa rispetto all’AGCM. Essa è un organo di governo dell’Unione Europea, quindi sotto molti profili sovraordinata rispetto agli Stati membri. È superfluo dire che questi poteri traggono origine dai Trattati e non certo dalla legislazione ordinaria dell’UE. In altri termini, può esercitare poteri di questa portata perché è un organo di governo dell’Unione e un’autorità indipendente.
La nostra Autorità non è organo di governo di alcunché. È un’autorità indipendente, certo, nel senso che non prende ordini da nessuno, ma altrettanto certamente non è sovrana o simil-sovrana come la Commissione. Non è un caso che essa si comporti come la Commissione, ma solo nei confronti degli operatori economici.

3. Nascono di qui gli sforzi incredibili fatti per dare una giustificazione al diritto di azione attribuito all’Autorità. Non a caso esso è stato chiamato “legittimazione”, quasi per chiarire con questo termine tanto generale quanto vago un fenomeno intrinsecamente inspiegabile – ma in realtà con il solo risultato di rivestirlo con panni noti. E parimenti non è un caso che si sia parlato di “titolarità di un interesse sostanziale protetto da parte dell’ Autorità”, o di conferimento ad essa di un ruolo di tutore – ex lege – degli interessi diffusi in materia di concorrenza. Si è chiaramente tentato di adattare categorie privatistiche per spiegare un fenomeno viceversa puramente pubblicistico, come l’esercizio di un’azione da parte di un’Autorità indipendente – per principio e per nome “garante”, non parte.
A sostegno di questi due ordini di tentativi volti a spiegare – vale a dire, razionalizzare – il fenomeno si sono dette molte cose in dottrina. Una è che la concorrenza è un bene della vita: ma è affermazione che non si può condividere. La concorrenza non è un bene; è un valore comune, divenuto regola e quindi diritto, non certo un bene equiparabile ad un’automobile, un appartamento o anche ad un qualsivoglia diritto immateriale, come ad es. una carica o un diritto d’autore. L’AGCM è garante del rispetto di queste regole nei modi che nell’ordinamento via via si affermano (si pensi agli impegni ed alle misure di clemenza emersi negli ultimi anni!). In uno scritto tanto attento quanto acuto si è stati costretti a dire che “la concorrenza è un bene della vita giuridicamente rilevante, ma normalmente adespota, che il legislatore soggettivizza in capo all’AGCM” (GIOVAGNOLI). Viene proprio da dire che questo equivale ad affermare che il legislatore è onnipotente perché potrebbe creare un diritto dal nulla! Gli interessi hanno una loro struttura che è compito dell’economista in primis, e poi del giurista riconoscere e definire.
Quanto poi al tentativo di giustificare questa legittimazione ex lege dell’AGCM ricorrendo agli interessi diffusi, si è dovuto sostenere che, con questo strumento, il legislatore avrebbe dato un soggetto di riferimento ad un fenomeno – la tutela della concorrenza e quindi l’interesse di ciascuno a vivere in un regime economico e giuridico improntato ad essa – che per sua natura sarebbe ricaduto nella classe degli interessi diffusi. Sembra in verità difficile pensare che il legislatore possa aver designato un ente pubblico “rappresentante” o addirittura titolare di interessi di questo genere. Gli interessi c.d. diffusi hanno una loro materialità, che semplicemente non riesce a radicarsi in capo a Tizio o a Sempronio: di qui il fenomeno delle associazioni portatrici di tali interessi, che possono agire in giudizio a loro tutela. Si pensi al paesaggio, alla natura, agli edifici di rilevante valore storico o artistico. Ognuno di noi ha “interesse” ad essi ed alla loro tutela; ma come nessuno può vantare un proprio diritto su una villa altrui, così non lo ha nei confronti di un ghiacciaio. Quando si parla di queste cose, non si deve mai dimenticare la storia di Italia Nostra o del WWF. Erano e sono associazioni di persone innamorate della natura e della cultura, che hanno combattuto durissime battaglie per tutelare certi valori, appunto come enti costituiti da una pluralità di cittadini che affermavano il loro interesse alla tutela ed all’azione in giudizio, al tempo stesso individuale e collettivo. Si sono conquistate sul campo il diritto di agire in giudizio a tutela di “interessi diffusi”. Tanto è vero questo che quando, nel 1986, venne riconosciuta la legittimazione ad agire delle associazioni ambientaliste, il legislatore non designò qualche ministero o qualche altro ente quale titolare dei vari interessi diffusi che vivono nella società. Al contrario, riconobbe in pieno alle associazioni di cittadini il diritto di far valere anche in giudizio la loro funzione istituzionale di tutela di valori immateriali, quali la bellezza, l’integrità di un paesaggio etc. Merita ricordare che esse ebbero un grandissimo successo, mentre fu un fallimento la riserva allo Stato dell’azione per il risarcimento del danno ambientale.

4. Concepire dunque l’AGCM, già investita di vastissimi poteri a garanzia della concorrenza, come un soggetto che, iure privatorum, tutela anche interessi diffusi, perseguendo le pubbliche amministrazioni che della concorrenza hanno violato le regole, sembra molto difficile. Come si spiega che, data l’esistenza di associazioni di imprenditori e di consumatori – istituzionalmente nate anche per perseguire in giudizio le violazioni della concorrenza – il legislatore abbia dato all’Autorità, che già la garantisce, anche il compito di proporre giudizi in giro per l’Italia? Quello che già fa non è sufficiente? Non è se mai troppo, visto che in capo all’AGCM già coesistono funzioni di tutela della concorrenza e di tutela dei consumatori che spesso si contraddicono?

5. Questi interrogativi impongono di affrontare brevemente due questioni, apparentemente di dettaglio, che ruotano intorno alla vicenda della nuova legittimazione ad agire dell’AGCM.
La prima, a prima vista più lieve, meno impegnativa, è quella della difesa in giudizio dell’Autorità che decide di impugnare un qualche provvedimento di struttura o effetti anticoncorrenziali. La legge dice che l’Autorità deve valersi dell’Avvocatura dello Stato. Questo è istituzionalmente correttissimo. Contro tutte le amministrazioni non statali lo Stato può agire e agisce valendosi della sua Avvocatura. La Corte costituzionale insegna. Ma se l’AGCM ritenesse di dover impugnare provvedimenti di un’amministrazione dello Stato, quale ad es. un suo bando di gara, nel quale profili di illegittimità concorrenziale ben possono darsi? L’Autorità non potrebbe certo valersi dell’Avvocatura dello Stato, che deve difendere l’amministrazione. Dovrebbe rivolgersi ad un avvocato del libero foro. Ma lo può fare di fronte ad una previsione di legge che le prescrive di valersi dell’Avvocatura dello Stato? Il dubbio è serio. Non si dimentichi che l’impossibilità di avere la difesa dell’Avvocatura non deriverebbe da un conflitto oggettivo di interessi (come è accaduto in alcuni rari casi), ma dalla decisione dell’Autorità di agire in giudizio contro lo Stato. Essa insomma provocherebbe il conflitto. Per poter agire in giudizio dovrebbe violare la legge. Ne discende forse che l’AGCM non può impugnare provvedimenti di amministrazioni dello Stato? È difficile trarre una conseguenza del genere da una norma su chi deve assistere l’AGCM in giudizio; ma il problema esiste; e dietro il problema del ricorso a professionisti esterni c’è quello della spesa e quindi della Corte dei conti.

6. La seconda questione è più di merito. È evidente che l’AGCM non è onnipotente e non ha risorse illimitate per agire in giudizio in tutti i casi in cui rileva o le viene fatta rilevare l’esistenza di un provvedimento amministrativo, lesivo della concorrenza. La limitatezza delle risorse pone il problema della scelta dell’atto da impugnare – e quindi dell’amministrazione contro cui agire. E pone soprattutto il problema dei criteri secondo i quali decidere di agire. Il problema è delicatissimo, perché l’AGCM non sfugge al principio di imparzialità che deve guidare l’azione di tutti gli organismi pubblici. Devono esistere – ma in concreto non esistono – regole di comportamento che evitino qualunque condizionamento, vuoi personale, vuoi ideologico nel senso più ampio del termine. Questo è un tema critico, perché la soccombenza dell’Autorità in un giudizio da essa promosso potrebbe essere fonte di sua responsabilità non solo e forse non tanto nei confronti dell’Amministrazione chiamata in giudizio, quanto di possibili controinteressati o interventori privati.

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7. La realtà sembra essere chiara. A monte degli interrogativi senza risposta che pongono singoli problemi relativi alla nuova legittimazione attribuita all’AGCM – quali interessi tutela? secondo quali criteri sceglie contro quale amministrazione agire? e, non ultimo, da chi farsi difendere se si tratta di impugnare provvedimenti dello Stato? – c’è un problema non ancora adeguatamente affrontato. Il problema è se il nostro assetto costituzionale lasci spazio per una “legittimazione” dell’AGCM come quella di cui si discute – ovvero, per questo tipo di funzione. In sintesi: la Costituzione consente che un’amministrazione pubblica, diversa dallo Stato e da tutti gli altri enti previsti nella Costituzione (regioni, province, comuni, città metropolitane), agisca in giudizio a tutela di interessi non suoi, ma di ordine assolutamente generale, quale, appunto, la concorrenza?
Il primo tema critico è proprio questo: l’art. 21 bis attribuisce ad un’Autorità amministrativa, sia pure indipendente, la possibilità di esperire un’azione giudiziaria a tutela di interessi pubblici generali, quale è la concorrenza. È chiaramente una legittimazione speciale. La Costituzione prevede infatti che il giudice, ordinario ed amministrativo, possa essere adito a tutela di diritti soggettivi e di interessi legittimi – dunque, di interessi strutturalmente propri di chi agisce, e fondamentalmente privati.
Le norme sono inequivoche: secondo l’art. 24 Cost.: “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti soggettivi ed interessi legittimi”. Ancora, gli artt. 103 e 113 Cost: il primo rimette alla giurisdizione del Consiglio di Stato e dei TAR la tutela degli interessi legittimi ed a certe condizioni dei diritti soggettivi; il secondo garantisce sempre la tutela dei diritti e degli interessi, di fronte al giudice ordinario o amministrativo.
In virtù di queste previsioni, è dunque chiaro che la tutela giurisdizionale di fronte al giudice amministrativo è univocamente riservata a chiunque sia portatore di un diritto o di un interesse nei confronti di un’Amministrazione.

Ciò risponde ad una ragione ben chiara: la giurisdizione amministrativa non mira a orientare tout court l’azione amministrativa verso la legalità, né ad attuare i principi generali di imparzialità e di buon andamento. Il suo compito è assicurare la protezione di diritti ed interessi, quando tali interessi abbiano raggiunto la soglia della tutelabilità e quando dunque abbiano quei connotati giuridici cui è ancorata la legittimazione.
Interessi di tal tipo non sono configurabili in capo all’AGCM. Essa non è un operatore del mercato, né parte del rapporto con l’Amministrazione il cui provvedimento ritiene di dover impugnare. Il suo ruolo è un altro: è un arbitro che disciplina e promuove la concorrenza fra gli operatori del mercato. In vista di questo fine, e non per perseguire qualche suo interesse, sindaca i comportamenti degli operatori su un piano di assoluta imparzialità, quasi giurisdizionale, ed irroga sanzioni per punire condotte anticoncorrenziali.
Discende inevitabilmente da ciò che in forza degli artt. 24, 103 e 113 Cost. nell’esercizio delle sue funzioni l’Autorità non può mai assumere la veste di parte attrice di fronte ad un giudice e nei confronti di chicchessia. L’interesse che fa valere non è infatti suo, ma della collettività, di tutti gli operatori. Trattasi di un interesse talmente forte da consentire l’esercizio di vastissimi poteri (basti pensare alle ispezioni!), ma altrettanto profondamente di ordine solo funzionale, al servizio della collettività. Non lato sensu proprietario, insomma. Questo tipo di interesse in nessun momento ed in nessun modo può essere a fondare l’esercizio di un’azione giudiziale.

8. Il secondo tema critico attiene alla posizione costituzionale dell’AGCM nella cui cornice si colloca necessariamente l’art. 21 bis. È una posizione molto delicata. Come spesso si è osservato, essa, ente pubblico, certo non dipende dall’esecutivo, ma non c’è una norma della Costituzionale che ne giustifichi l’indipendenza. La sua indipendenza è in qualche modo conferita dalla legge ordinaria, che ne definisce compiti, funzioni, procedimenti, e ad essa stessa affidata. Deve garantire la concorrenza secondo certi principi economici (e non altri, perché a quelli l’ordinamento comunitario e di riflesso quello italiano si attengono), istruendo i procedimenti nel rispetto del contraddittorio ed infine decidendo. Doverosamente difende poi in giudizio il suo operato.
È un equilibrio difficile, perché affermare un modello di concorrenza diverso da quello tracciato dal legislatore non sarebbe sostenuto né dalla legge, né da una competenza generale, di rango costituzionale.
Il nuovo art. 21 bis incide negativamente in questo delicato equilibrio. Consente infatti all’Autorità di sua iniziativa di instaurare giudizi a tutela della concorrenza contro altre pubbliche amministrazioni – Governo compreso, quindi –, scavalcando il suo diritto-dovere di difendere in giudizio i suoi provvedimenti, già adottati. Il problema dei rapporti con il Governo è evidente: come può un’autorità statale, non prevista dalla Costituzione, agire in giudizio contro il Governo? Chi è il decisore finale dei suoi comportamenti? E l’art. 95 Cost.?
Questi sono problemi estremamente impegnativi; così impegnativi, da giustificare soluzioni contrapposte. Si potrebbe infatti sostenere che l’art. 95 Cost. preclude la possibilità che un’autorità, sia pure indipendente, agisca contro il Governo per tutelare gli interessi pubblici affidatile. Si potrebbe però anche ritenere il contrario, e cioè che il valore “concorrenza”, con il suo fortissimo fondamento comunitario, e con la riserva della sua tutela allo Stato, ex art. 117 Cost., consente all’Autorità deputata di difenderlo anche nei confronti di un’amministrazione dello Stato.
Questo appare confermato da un’ulteriore considerazione. Il vero obiettivo delle iniziative assunte ex art. 21 bis l. n. 287/1990 non sono atti amministrativi, regolamenti e provvedimenti, bensì la legge su cui gli stessi sono basati. In tale prospettiva, dunque, l’Autorità diventa public prosecutor nei confronti del legislatore, chiedendo al giudice di sancire – ove occorra previo rinvio pregiudiziale alla Corte UE o alla Corte Costituzionale – la “caducazione” della legge.
Non pare dubbio che nel far ciò l’Autorità non solo eserciti una legittimazione processuale straordinaria – che la pone in una posizione del tutto anomala all’interno del sistema – ma, per giunta, lo faccia essendo per definizione portatrice di un “punto di vista” e di valori fondamentali certo, ma comunque parziali: vale a dire, la promozione della concorrenza e del funzionamento del mercato. Essi sono suoi valori di riferimento, sovraordinati rispetto ad altri beni e valori. In questo quadro, diversamente dal potere di segnalazione di cui all’art. 21 l. n. 287/1990, l’iniziativa dell’Autorità ex art. 21 bis non contribuisce ad arricchire le sintesi operate dal legislatore nell’esercizio delle sue prerogative, bensì mira a disarticolarle, affermando la primazia assoluta del valore concorrenziale.

9. La conclusione? Che esistano dubbi di legittimità costituzionale in ordine all’assetto di iniziative giudiziarie che l’AGCM può intraprendere sembra indubbio. Come è stato riconosciuto da tutti coloro che si sono occupati di questo tema, la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi è stata trasformata in una sorta di giurisdizione di diritto oggettivo. Si è parlato di una nuova figura di pubblico ministero e di interessi – privati – diffusi, affidati ex lege all’Autorità. Sembrano violate precise norme della Costituzione.
Ma non è questo ciò che più turba. La vera preoccupazione è data dall’abuso del diritto in cui è incorso il legislatore. La Corte costituzionale ha dettato un magnifico insegnamento in tema di proporzionalità e di adeguatezza che le misure adottate dal legislatore devono avere rispetto allo scopo perseguito. Questo criterio di prudenza e profonda giuridicità sembra essere stato violato. Per potenziare in minima parte il ruolo dell’AGCM è stato necessario forzare norme costituzionali espresse e principi di diritto consolidati. In uno Stato che vuole fondarsi sul diritto, oltre che sulle leggi, questo non va bene.
La nuova legittimazione dell’AGCM trae insomma origine da un vizio di fondo. Non è stata pensata in termini costituzionalmente rigorosi. È giusto sperare che un nuovo intervento legislativo la cancelli o che la cancelli la Corte costituzionale.

* Questo tema è stato oggetto di un intervento tenutosi al TAR di Roma il 7 novembre 2012 in occasione della giornata di studio sulla giustizia amministrativa dedicata ad Eugenio Cannada-Bartoli sul tema “La legittimazione ad agire nel processo amministrativo”.