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La gestione dei servizi pubblici locali a rilevanza economica e la concorrenza: una storia infinita

di - 26 Settembre 2012
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La Corte costituzionale, infatti, con sentenza del 20 luglio 2012, n. 199 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disciplina sui servizi pubblici locali contenuta nell’art. 4 d.l. n. 138/2011 per violazione del divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare desumibile dall’art. 75 Cost.
Per quanto lineare la pronuncia della Corte si presta a qualche critica. In particolare quest’ultima appare eccessiva nella sua portata demolitoria, colpendo norme che erano estranee alla ratio del quesito referendario, ravvisabile nell’intento di escludere l’applicazione delle norme contenute nell’art. 23-bis, che limitavano, rispetto al diritto comunitario, le ipotesi di affidamento diretto e, in particolare la gestione in house. Analogamente è apparso ingiustificato rispetto alle norme introdotte successivamente e che, dunque, non integrano il divieto di ripristino della normativa abrogata in via referendaria.
Dopo la pronuncia della Corte costituzionale ritornano attuali le preoccupazioni espresse da alcuni commentatori alla vigilia della consultazione referendaria. In considerazione delle difficoltà finanziarie degli enti pubblici, l’unico modo per sperare in una espansione – quantitativa e qualitativa – dei servizi pubblici locali sarebbe stato il perseguimento delle politiche di liberalizzazione e l’apertura del mercato ai privati in nome dell’efficienza anche al fine di avviare una nuova stagione di investimenti sulle infrastrutture anche attraverso il contributo dei capitali privati[12].
Ci si deve pertanto chiedere, a questo punto, se e in che modo ci potrebbe essere spazio per un nuovo intervento del legislatore che tenga conto di siffatte preoccupazioni.
L’unica certezza è l’applicazione della disciplina pro concorrenziale “minima” derivante dal diritto comunitario e, dunque, innanzitutto l’affidamento tramite gara a terzi. In alternativa sarà possibile l’affidamento diretto a società mista con socio privato scelto tramite gara a “doppio oggetto”. L’in house, pur rimanendo ipotesi eccezionale di affidamento del servizio, sarà consentito senza i vincoli del recente passato ma solo al verificarsi delle condizioni previste dall’ordinamento comunitario: totale partecipazione pubblica, “controllo analogo” e attività “prevalente” a favore dell’ente pubblico controllante.
Su tutto il resto regna l’incertezza. Si potrebbe provare anzitutto a ritenere già mutato il quadro “politico” e di “fatto” rispetto all’entrata in vigore dell’art. 4 del d.l. n. 138/2011 e, dunque, considerare già maturi i tempi per una riproposizione della normativa abrogata in via referendaria. Anche perché – alla luce degli stretti vincoli di bilancio imposti a livello comunitario – la riduzione del debito richiede ancor più politiche di liberalizzazione (per promuovere la crescita) e di privatizzazione (per ottenere anche nel breve periodo le risorse necessarie ad abbatterlo).
Se si ritenesse impraticabile un nuovo intervento da parte del legislatore che riproponga nuovamente nella sua interezza, anche se magari con qualche variazione, l’art. 4 del d.l. n. 138/2011, si dovrebbe comunque verificare se e quali parti della precedente disciplina possano essere comunque riproposte, senza incorrere nuovamente nell’incostituzionalità.
A tal riguardo il principio che dovrebbe guidare il legislatore nell’ambito di un nuovo intervento legislativo, pur con qualche rischio, dovrebbe essere quello di riproporre le norme dell’art. 4 del d.l. n. 138/2011 estranee alla ratio del quesito referendario (priorità della concorrenza “nel mercato”, disciplina della gara per l’affidamento a terzi o per la scelta del socio privato, predefinizione degli obblighi di servizio pubblico e relativi costi, ecc.).
Analogamente potrebbero essere riproposte le norme non precedentemente riscontrabili nell’art. 23-bis (come per esempio quelle contenute nella legge di stabilità 2012 sul miglioramento della qualità dei servizi). Per tali norme, infatti, non si pone un problema di violazione dell’art. 75 Cost., poiché non esistevano nel quadro normativo caducato per effetto del referendum.

Scarica il saggio completo (PDF)

Note

12.  Cfr. F. Bassanini, Introduzione, in I servizi pubblici locali tra riforma e referendum, op. cit., p. 15-16. Cfr. C. De Vincenti, Governo pubblico e mercato nei servizi pubblici locali, op. cit., p. 27.

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