Mercati, democrazia e potere costituente: categorie giuridiche e necessità storica del cambiamento
Occorre più che mai che l’economia (come scienza e come prassi) faccia i conti fino in fondo con il progetto umano consegnato nel dopoguerra alle costituzioni di seconda generazione, che hanno permesso la costruzione dello Stato sociale, aiutando le generazioni presenti e future a immaginare un mondo possibile di diritti sociali temperati ma non negati e di maggiori rischi accettati perché accettabili, perché inevitabile condizione dell’allargamento del benessere a nuove nazioni.
Nello stesso tempo occorrerebbe che i popoli, le nazioni, in Europa ed altrove, interiorizzassero i cambiamenti in atto, sin negli stili di vita, senza drammatizzare situazioni già complesse e dolorose, ma con ferma fiducia nella possibilità di guidare gli indispensabili processi di transizione costituzionale secondo la propria tradizione nazionale fino alla sintesi sovranazionale, non subendo tali cambiamenti come se fossero imposti dalla cieca necessità o da oscure forze denominate “mercati”[7].
Ciò, in ambito europeo, comporta un atteggiamento solidale dei popoli o delle nazioni più forti capaci di riscuotere più di altri la fiducia dei mercati per la loro avvedutezza economico-organizzativa ed i loro livelli di civiltà e produttività.
Il soggetto moderno è a rischio, la stessa possibilità della politica in futuro è a rischio (e non solo in Europa).
Il percorso che conduce alla renovatio democratica ed a nuove condizioni di stabilità è alla nostra portata, è su un sentiero stretto e difficile, ma c’è.
Il Governo, eccezionale in molti sensi, ora al servizio del Paese lo sta percorrendo, ma è essenziale che i partiti (che ai sensi dell’art. 49 Cost. sono il moderno principe) sappiano con autorevolezza continuare il lavoro ora impostato, nel dopo elezioni , nella seconda metà del 2013.
Autoriformandosi, cambiando la legge elettorale, aprendosi alla società civile, abbracciando una cultura meritocratica, ammodernando la macchina pubblica, riformando l’agere amministrativo, recuperando una visione dell’interesse generale.
Il discorso sulle riforme costituzionali, allora, nel giusto clima, ben potrà essere ripreso nella consapevolezza che tali riforme non possono che essere ampiamente condivise per essere efficaci e di lunga durata.
La tecnocrazia ed il populismo non sono soluzioni, ma frutti della difficoltà delle politiche democratiche nell’epoca della crisi economico-finanziaria globale.
La democrazia è a rischio nell’epoca del suo massimo successo, per l’insostenibilità dei modelli economici che ha sposato (Stato sociale a sovranità limitata perché fortemente indebitato).
La correzione di tali modelli è la premessa per la rinascita: i soggetti del cambiamento tuttavia non sono i mercati (che non hanno soggettività) – come talvolta appare – ma i partiti che hanno la titolarità costituzionale ed il dovere di articolare le forme della rappresentanza politica.
Solo il senso di responsabilità collettiva e l’amore per la politica moderna consentono di affrontare i cambiamenti in modo da dare al futuro un volto umano.
Hoc opus, hic labor est [8].
Riferimenti bibliografici
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Munari F. roberti g. m., La disciplina della concorrenza Torino, 2000.
Virgilio, Eneide, VI, 129.
Note
7. La fermezza nel perseguimento dell’interesse nazionale può consentire di raggiungere inaspettati successi: si pensi allo scudo antispread ( successo italiano non scontato utile alle politiche di sempre più stretta integrazione europea).↑
8. Cfr., Virgilio, Eneide, VI, 129.↑
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