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Costituzione, tributi e mercato

di - 23 Luglio 2012
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L’art. 53 Cost., in particolare, con la sua previsione che la percossione tributaria deve informarsi a criteri di progressività, pur nel rispetto della capacità contributiva dei percossi, si lega strettamente all’art. 41. Progressività delle imposte, infatti, significa, puramente e semplicemente, non solo facoltà, ma obbligo di politiche redistributive[14]. In cos’altro si risolve, infatti, la progressività se non nella ridefinizione del diagramma delle utilità marginali di chi subisce il prelievo (sempre più intenso quanto più ci si avvicina, appunto, al “margine” della sua ricchezza) e di chi acquisisce, invece, le utilitates dispensate grazie a quel prelievo? E’ evidente che la redistribuzione può essere operata incidendo sul versante dell’ammontare dei redditi percepiti (e cioè sull’aumento dei salari), ma il principio di progressività agisce soprattutto sul diverso terreno della quantità e qualità dei servizi goduti dai destinatari delle prestazioni dello Stato sociale ed erogati grazie all’impiego delle somme ottenute con il prelievo (anche se è ben possibile che una parte delle risorse acquisite in ragione dell’applicazione di imposte progressive sia destinata ad alimentare la spesa pubblica di parte corrente destinata al trattamento economico dei pubblici dipendenti).
Al di là d’ogni valutazione sulla sua opportunità, dunque, la prospettiva dello Stato minimo non può essere ospitata entro le coordinate della Costituzione. Anche se mancasse il riconoscimento dei diritti sociali, anche se la nostra fosse – come formalmente parrebbe essere quella tedesca – una Verfassung ohne soziale Grundrechte[15], il principio di progressività basterebbe, da solo, ad espellerla dal novero delle alternative praticabili. Del resto, non è certo un caso che i sostenitori dello Stato minimo si schierino fermamente contro la progressività e a favore della mera proporzionalità: solo pochi giorni fa – ne dà conto la stampa quotidiana – in occasione del lancio del “Manifesto liberale di Milano” è stata sostenuta la tesi dell’aliquota unica, da far scattare al superamento di un minimo da lasciare – invece – esente[16].
Sotto l’alternativa progressività/proporzionalità giace una diversa e non meno alternativa articolazione di interessi sociali: è stato osservato, di recente, che “chi non ha bisogno di servizi pubblici o ne ha un bisogno limitato non cerca le stesse cose di chi dipende esclusivamente dal settore pubblico”[17], e questo spiega bene la divaricazione delle posizioni. Purtuttavia, non si può fare a meno di guardare un po’ più a fondo nella posizione dei sostenitori di una proporzionalità fiscale connessa ad un modello “minimo” di Stato. I sostenitori dello Stato minimo, infatti, non sollecitano semplicemente un ripiegamento dello Stato al mero ruolo di Nachtwächter, ma si aspettano dall’intervento statale molto di più della semplice garanzia della pubblica sicurezza. Al di là della già ricordata, estenuata retorica della mano invisibile, anche coloro che la negano teoreticamente quasi sempre presuppongono praticamente la costruzione sociale (intendo: politica) del mercato, sicché dalla mano pubblica si attendono quadri regolatorî, infrastrutture, addirittura interventi di sostegno nei casi di emergenza. Il dissenso riguarda, semmai, la composizione della spesa pubblica e la sua destinazione a finalità redistributive, assai più che la non credibile difesa del mercato dall’intervento statale e della sottrazione della mano invisibile alla stretta con la mano pubblica. E questa è la migliore dimostrazione che la progressività destina per sua logica interna il prelievo fiscale alla redistribuzione: non è certo casuale, ribadisco, che chi avversa le politiche redistributive sul piano dell’entrata avversi, su quello dell’entrata, la progressività.

4.- Cittadinanza e tributi.
Una massa di interrogativi, a questo punto, si affollerebbe una volta che queste conclusioni dovessero essere condivise: esiste un limite “in alto” al prelievo fiscale[18]? Che rapporto intercorre fra progressività e capacità contributiva? La capacità contributiva deve essere intesa in senso “assoluto” ovvero (ciò che sembra più coerente con la finalizzazione redistributiva della progressività)[19] “relativo”? Deve essere progressivo il singolo tributo o è sufficiente che la progressività caratterizzi il sistema tributario nel suo complesso (come ha sostenuto la Corte costituzionale, affermando che “ai sensi dell’art. 53, secondo comma, Cost., «i criteri di progressività» debbono informare il «sistema tributario» nel suo complesso e non i singoli tributi”)[20]? E l’elenco potrebbe continuare. Personalmente, tenuto conto della finalità di queste riflessioni, mi limito a qualche considerazione conclusiva sul rapporto fra dottrina della cittadinanza e dottrina dell’imposizione fiscale.
E’ stato scritto che “il concorso alle pubbliche spese non è che un aspetto dell’appartenenza alla comunità”[21]. E’ vero. La stessa Costituzione suggerisce questa conclusione anche in ragione del proprio tenore letterale: il cittadino che “concorre” a determinare (attraverso i partiti) la politica nazionale ai sensi dell’art. 49 è lo stesso che “concorre” alle spese pubbliche in ragione della sua capacità contributiva ai sensi dell’art. 53. Il cittadino politicamente attivo, dunque, è anche il cittadino “solidale” e “fraterno”.
Questa affermazione presuppone il rigetto della diffusa opinione che il vincolo di cittadinanza, che il legame che unisce i polítai sia dato essenzialmente dai diritti. Non è così. I diritti, negli ordinamenti democratici, sono elementi essenziali e costitutivi del patto fondativo della comunità politica, ma, a causa dell’elemento individualistico del quale fatalmente non possono – in maggiore o minore misura – non essere composti, sono in grado di condurre anche alla disgregazione, non al rinsaldamento del vincolo comunitario (l’esempio più eclatante è quello dell’obiezione di coscienza, ma il discorso riguarda tutti i diritti costituzionali)[22]. Come era ben chiaro alla concezione romana della cittadinanza, ingiustamente dimenticata a vantaggio di una dottrina diffusa soprattutto dalla sociologia anglosassone (mi riferisco soprattutto al successo avuto da Marshall), più dei diritti sono i doveri che cementano il vincolo sociale, definendone le ragioni e i confini.
Non vi è, in questa constatazione, alcun cedimento alle contemporanee suggestioni comunitariste, né l’aspirazione a far sì che la Gemeinschaft si sovrapponga o sostituisca alla Gesellschaft. Se, però, di una “comunità politica” stiamo parlando, possiamo farlo solo a condizione che di autentica pólis si tratti e che i suoi componenti siano, appunto, polítai. E senza una dottrina e una pratica coerenti dei doveri il vincolo di cittadinanza non può essere scoperto né realizzato.

*E’ qui riprodotto il testo della relazione presentata al Seminario su “L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità contributiva. Le basi teoriche”, tenuto presso la LUISS in data 11 giugno 2012. Alcune delle prime pagine, in realtà, sono riprese dalla relazione all’annuale Convegno AIC, che nel 2011 si è tenuto (il 28 e 29 ottobre) a Torino, perché ho ritenuto che le questioni allora affrontate fossero preliminari a quelle qui trattate. La relazione torinese è ora pubblicata con il titolo Unità nazionale e struttura economica. La prospettiva della Costituzione repubblicana, in Diritto e società, n. 4/2011, 636 sgg.

Note

14.  Analogamente, C. Buzzacchi, La solidarietà tributaria. Funzione fiscale e principi costituzionali, Milano, Giuffrè, 2011, 11; P. Caretti, I diritti fondamentali. Libertà e diritti sociali, 3^ ed., Torino, Giappichelli, 2011, 578; F. Sorrentino, Eguaglianza, Torino, Giappichelli, 2011, 10 (ponendo specificamente in luce il collegamento fra eguaglianza sostanziale, progressività delle imposte, redistribuzione); N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, cit., 88 sg. La redistribuzione del reddito, peraltro, è comunque implicata da qualunque sistema fiscale e da qualunque sistema della sicurezza sociale (M. Persiani, Diritto della previdenza sociale, 18^ ed., Padova, Cedam, 2011, 54; analogamente, M. Cinelli, Diritto della previdenza sociale, 9^ ed., Torino, Giappichelli, 2010, 14 sg.). Questa redistribuzione, pertanto, potrebbe essere anche solo orizzontale (tra componenti diverse – cioè – del medesimo ceto o della medesima fascia sociale). Il principio di progressività comporta, invece, che la redistribuzione debba essere (anche o soprattutto) verticale.
In generale, sulla “stretta correlazione che l’art. 53 Cost. ha istituito tra dovere contributivo e spesa pubblica e sociale”, F. Gallo, Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione, 2^ ed., Bologna, Il Mulino, 2011, 25 (ma v. anche ivi, 61, sulla funzionalizzazione dell’imposizione fiscale al fine di “realizzare il riparto dei carichi pubblici secondo il principio di uguaglianza sostanziale, perseguire nella giustizia politiche sociali redistributive, allocative e stabilizzatrici e promuovere la crescita culturale e lo sviluppo economico nella stabilità”, e 108 sgg. sull’inaccettabilità delle dottrine dell’imposizione fondate sul sinallagma onere-beneficio).

15.  Per riprendere il titolo del noto saggio di J. Isensee, Verfassung ohne soziale Grundrechte. Ein Wesenszug des Grundgesetzes, in Der Staat, 19 (1980).

16.  V. Il Corriere della Sera del 10 giugno 2012, che riferisce dell’iniziativa del giorno precedente.
Che il minimo vitale debba andare esente da tassazione è, comunque, pacifico. Secondo la Corte costituzionale (sent. n. 97 del 1968), in particolare, si deve escludere che “l’obbligo tributario possa sorgere ove tale capacità manchi del tutto” e da ciò deriva che la capacità contributiva “non coincide affatto con la percezione di un qualsiasi reddito e che vi è soggezione all’imposizione solo quando sussista una disponibilità di mezzi economici che consenta di farvi fronte”. Con la conseguenza che l’esenzione dei titolari di un reddito minimo, “oltre che legittima, […] è addirittura doverosa, perché il legislatore, se può discrezionalmente stabilire, in riferimento a complesse valutazioni economiche e sociali, quale sia la misura minima al di sopra della quale sorge la capacità contributiva, non può non esentare dall’imposizione quei soggetti che percepiscano redditi tanto modesti da essere appena sufficienti a soddisfare i bisogni elementari della vita: se così non disponesse, la legge finirebbe con l’imporre un obbligo di imposta anche là dove una capacità contributiva è inesistente” (tanto, anche in “attuazione del fondamentale principio di eguaglianza sostanziale, al quale lo Stato deve ispirarsi anche nell’uso dello strumento fiscale”.
Anche se così non fosse, comunque, l’esenzione deriverebbe dall’assenza di una ragionevole finalizzazione della tassazione: anche in astratto se vi fosse capacità contributiva, infatti, in concreto non sarebbe ragionevole tassare chi si trova al minimo, per poi doverlo sostenere con interventi di welfare. Questa prospettiva è stata assunta dal Bundesverfassungsgericht, che, affermando il principio dell’esenzione del c.d. Existenzminimum familiare, ha rilevato che “auch in diesem Fall müßte der Staat, wenn er dem Steuerpflichtigen die Mittel für die Unterstützung der unterhaltsbedürftigen Familienmitglieder entzöge, diese in entsprechender Höhe aufgrund seiner verfassungsrechtlichen Verpflichtung aus dem Sozialstaatsgebot selbst unterstützen. Überläßt er dagegen in verfassungsmäßiger Weise die Unterstützung dem Bürger, wäre es inkonsequent, diesem die dafür benötigten Mittel im Wege der Besteuerung ganz oder teilweise mit der Folge zu entziehen, daß der Staat die Unterstützung des Bedürftigen selbst übernehmen müßte” (BVerfGE, 29 maggio 1990, 82/60).

17.  F. Gallo, Giustizia distributiva e principio di progressività, 3 del paper.

18.  Sulla questione v., da ultimo, l’amplissima indagine di G. Bergonzini, I limiti costituzionali quantitativi dell’imposizione fiscale (2 voll.), Napoli, Jovene, 2011.

19.  In questo senso, A. Fedele, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, Torino, Giappichelli, 2005, spec. 20 sgg.; F. Gallo, Le ragioni del fisco. Etica e giustizia nella tassazione, 2^ ed., Bologna, Il Mulino, 2011, spec. 79 sgg.

20.  Così, fra le più recenti, la sent. n. 102 del 2008, ma la giurisprudenza è costante.

21.  A. Fedele, Appunti, cit., 22.

22.  Sui rischi connessi ad una tutela indiscriminata dell’obiezione di coscienza, v., da ultimo, F. Grandi, Doveri costituzionali e obiezione di coscienza, tesi dottorale presso il Dottorato di diritto pubblico dell’Università degli Studi di Roma, La Sapienza, passim.

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