Imposta come home page     Aggiungi ai preferiti

 

Gli impegni sui diamanti dividono i giudici europei

di - 20 Ottobre 2010
      Stampa Stampa      

La ratio stessa della norma induce perciò la Corte a ritenere che, nel contesto dell’art. 9, il principio di proporzionalità assume un significato ed una portata diversi rispetto a quel che avviene nel contesto dell’art. 7.
In quest’ultimo caso, la portata del principio è quella specificata dallo stesso art. 7, n. 1 , per il quale la Commissione può imporre alle imprese interessate “l’adozione di tutti i rimedi strutturali e/o comportamentali purché siano proporzionati all’infrazione commessa e necessari a farla cessare effettivamente”.
Nel contesto dell’art. 9, in mancanza di una espressa previsione in tal senso, i rimedi che potrebbero essere eventualmente imposti ex art. 7 del regolamento 1/2003 non “servono necessariamente da riferimento ai fini della valutazione della portata degli impegni”, né  è corretto considerare “automaticamente sproporzionato tutto quanto vada oltre tale misura”. La Commissione deve limitarsi a controllare il contenuto degli impegni alla luce dei problemi che essa ha identificato nella sua valutazione preliminare (punto 41).
La Corte individua nel carattere della volontarietà degli impegni il dato che consente di superare i limiti derivanti dal principio di proporzionalità. Si legge nella sentenza: “le imprese che propongono impegni in base all’art. 9 del regolamento 1/2003 accettano coscientemente che le loro concessioni possano eccedere quanto potrebbe imporre loro la Commissione stessa in una decisione che adotterebbe conformemente all’art. 7 di tale regolamento, a seguito di una inchiesta approfondita”. L’accettazione consapevole di una possibile sproporzione sarebbe compensata, nell’ottica delle imprese, dal vantaggio di evitare “la constatazione di una violazione del diritto alla concorrenza e l’eventuale irrogazione di una ammenda”[5]
In conclusione, secondo la Corte, l’equiparazione operata dal Tribunale tra le decisioni adottate ex art. 9, del regolamento 1/2003 e quelle di infrazione adottate ex art. 7 è errata[6]. Le seconde sono sottoposte al test di proporzionalità. Le prime ad un sindacato molto più ristretto: il giudice può solo verificare se “la valutazione effettuata dalla Commissione sia manifestamente errata”[7]I
I limiti del sindacato sarebbero stati oltrepassati dal Tribunale, laddove questo “ha espresso una sua valutazione divergente avente ad oggetto l’ idoneità degli impegni congiunti ad eliminare i problemi di concorrenza identificati dalla Commissione per giungere alla conclusione che nel caso di specie esistevano soluzioni alternative meno onerose per le imprese del totale divieto di effettuare operazioni commerciali”[8].
La sentenza di primo grado è stata così annullata, con il conseguente rigetto del ricorso proposto da Alrosa avverso la decisione della Commissione.
Il dissenso tra i giudici europei di primo e di secondo grado verte dunque su di un aspetto cruciale per l’inquadramento dell’istituto e che può essere sintetizzato in questi termini: le misure concordate tra l’autorità pubblica di tutela della concorrenza e le imprese indagate sono pur sempre soggette ai vincoli dell’adeguatezza, della necessità e della non eccessiva onerosità ed al relativo sindacato giurisdizionale, oppure l’osservanza delle regole riconducibili al principio di proporzionalità è resa superflua dal consenso, manifestato dall’impresa indagata?
Per il Tribunale, i criteri dell’adeguatezza, della necessità e della non eccessiva onerosità (riassumibili poi nel principio di proporzionalità) assolvono una esigenza di garanzia di una sfera di interessi che travalica i confini del rapporto particolare tra l’amministrazione e i diretti destinatari dell’atto. A tali criteri, in quanto appunto forma di garanzia di una sfera di interessi più ampia e coincidente al limite con l’interesse generale, sono sottoposte anche le decisioni patteggiate di accettazione di impegni, le quali rappresentano pur sempre atti di esercizio del potere attribuito alla Commissione dagli artt. 81 e 82.
Per la Corte di giustizia, il consenso prestato dall’impresa indagata, con la proposta e l’accettazione degli impegni, limita la portata del test di proporzionalità ed il sindacato giurisdizionale all’ipotesi dell’errore manifesto. La prospettiva, nella quale si pone la Corte di giustizia è quella favorevole ad assegnare ai principi di legalità, proporzionalità e giustiziabilità, ovvero al regime amministrativo, una funzione di garanzia del singolo, rispetto all’esercizio di un potere amministrativo unilaterale ed imperativo.
In ballo è, in definitiva, la individuazione dei limiti dell’attività amministrativa, intesa come ambito di attività sottoposta ai principi propri del regime amministrativo: se questi coincidono con l’area della azione autoritaria ed unilaterale dell’amministrazione o della attività di questa finalizzata  a quei compiti, di interesse generale, che le sono assegnati dalle legge.
La tesi della Corte di giustizia ha suscitato pochi consensi. Si è osservato che non tiene conto “dei reali rapporti di forza tra Autorità di concorrenza ed imprese che sono fortemente sbilanciati a favore delle prime, soprattutto nell’ambito di un procedimento di infrazione in corso[9].
L’obiettivo di evitare l’applicazione della sanzione e la pubblicità negativa derivante da una decisione di condanna possono spingere l’impresa indagata a proporre essa stessa e ad accettare impegni eccedenti rispetto a quanto idoneo e necessario a ricostituire l’equilibrio concorrenziale del mercato. Il pericolo di degenerazione del sistema è duplice.

Note

5.  Id., punto 42.

6.  Id., punto 50.

7.  Id., punto 42.

8.  Id., punto 66.

9.  Così M. SIRAGUSA, Le decisioni con impegni, in Studi per il ventennale dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.

Pagine: 1 2 3


RICERCA

RICERCA AVANZATA


ApertaContrada.it Via Arenula, 29 – 00186 Roma – Tel: + 39 06 6990561 - Fax: +39 06 699191011 – Direttore Responsabile Filippo Satta - informativa privacy