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Della concorrenza: Adam Smith e Alessandro Giuliani

di - 3 Agosto 2010
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La mia seconda considerazione muove dalla prima. Attiene alla promozione della concorrenza e al valore della concorrenza nell’ordinamento italiano, nell’esperienza giuridica italiana.
La legge antitrust del 1990 evidentemente ha fallito, se la concorrenza è diminuita, come indica la coesistenza di più profitti e minore produttività. La legge va meglio applicata. Soprattutto, va riscritta, rispettando lo spirito, ma superando la lettera, del Trattato europeo.
L’azione antitrust va svolta secondo priorità. Non deve rispondere, demagogicamente, alle pressioni casuali e settoriali di gruppi di consumatori interessati al prezzo dei beni più a valle nella domanda finale. Dovrebbe assicurare concorrenza, primariamente nei settori strategici dell’economia: i settori che producono inputs “base”, quelli che entrano direttamente o indirettamente nella produzione di tutte le merci[29].
Quanto alla riscrittura della legge, la promozione della concorrenza – non può tutelarsi ciò che non esiste ancora! – dovrebbe riferirsi al complesso delle forze che, al di là delle forme di mercato, determinano la pressione competitiva esercitata sui produttori.
Bisogna minare ogni forma di difesa delle posizioni precostituite: monopoli, abusi di posizione dominante e intese (le sole fattispecie attualmente previste dalla legge), certamente, ma anche sussidi, protezioni, collusioni fra capitale e lavoro, intrecci fra industria e finanza, comportamenti opportunistici.
L’impegno contro le vie facili al profitto – Pantaleoni e Schumpeter parlavano di minaccia concorrenziale per l’impresa – deve aver presenti financo le determinanti macroeconomiche degli utili aziendali. Spesa pubblica larga e incontrollata, tasso di cambio lasco e cedevole, salario ristagnante gonfiano il profitto e dissuadono l’impresa dal perseguirlo attraverso le vie maestre della efficienza e della innovazione.
In ultima analisi, va contrastata l’etica della irresponsabilità. Concorrenza è piena assunzione di responsabilità da parte dell’impresa. Il valore della concorrenza – la sua etica – coincide con produttori che facciano conto solo su se stessi, escludano di ricercare scorciatoie al profitto, non pensino di trasferire ad altri le proprie perdite.
In questo spirito, sarebbe a mio avviso opportuno scolpire tali concetti – che non sono prescritti dal Trattato europeo – nella Costituzione repubblicana. Il primo comma dell’art. 41 – del quale tanto spesso si discute a sproposito – potrebbe utilmente recitare: “L’iniziativa economica privata è libera. Chi la intraprende ne è esclusivo responsabile. Deve svolgersi in condizioni di concorrenza”. O qualcosa di simile …
Suscita in me pratici pensieri come questi il contributo analitico di Alessandro Giuliani, e segnatamente il suo ultimo libro. “Un affascinante saggio interdisciplinare (…) sulle connessioni tra diritto, etica ed economia”, nella valutazione, che faccio mia, di Curzio Giannini.
Lo schianto della finanza anglosassone nel 2008-2009 ha forse incrinato la fede spesso acritica e totalizzante nella teoria economica neoclassica – anti-smithiana, anti-classica, anti-keynesiana – sinora dominante[30].
La lettura di Giuliani e la rilettura di Smith alla luce di Giuliani possono essere davvero d’ausilio agli economisti, in modo speciale nell’attuale fase di ripensamento che la loro disciplina attraversa.

Note

29.  Sraffa, P., Produzione di merci a mezzo di merci, Einaudi, Torino, 1960, p. 10.

30.  Per un caso importante di “conversione” da parte di un cultore della law and economics, scuola di Chicago, si veda Posner, R.A., A Failure of Capitalism, Harvard University Press, Cambridge, 2009.

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