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Partecipazione e ambiente: la convenzione di Aarhus

di - 11 Giugno 2010
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2. In questo scenario occorre prestare attenzione alla Convenzione di Aarhus che introduce in via generale, per tutti i procedimenti ambientali, un nuovo modello di governance, fondato sull’informazione e sulla partecipazione non intesi in senso tradizionale ma arricchiti di contenuti e significati più ampi.
Sono noti i tre pilastri della Convenzione: l’accesso all’informazione ambientale, la partecipazione ai procedimenti e l’accesso alla giustizia. Sembrerebbe trattarsi di istituti tradizionali, già metabolizzati nel nostro ordinamento. Ma non è così.
Se, ad esempio, si considera l’accesso all’informazione ambientale, per quanto già configurato nel nostro ordinamento con particolare ampiezza dall’art. 14 l. n. 349/86, emerge immediatamente la portata innovativa della Convenzione: l’accesso non è più solo un dovere che pone l’amministrazione nella posizione passiva di essere tenuta a mettere a disposizione documenti e informazioni su istanza di parte ma le impone di farsi parte attiva e predisporre un’attività informativa rivolta al pubblico.
Venendo poi alla partecipazione, innovativo ne è innanzitutto l’ambito oggettivo: la partecipazione non è disposta solo nei confronti di procedimenti rivolti all’adozione di provvedimenti puntuali ma, a differenza di quanto previsto dall’art.13 l. n. 241/90, è prevista anche nella predisposizione di piani e programmi e in relazione a strumenti normativi.
Innovativo è inoltre lo stesso contenuto della partecipazione, che non si esaurisce nell’aprire le porte del procedimento consentendo la partecipazione degli interessati, ma comprende doveri in capo all’amministrazione di “promuovere” la partecipazione stessa mediante la pubblicizzazione dell’avvio dei vari procedimenti ambientali. Ed è evidente che tali doveri non si esauriscano nella nostra comunicazione d’avvio del procedimento ma abbiano una consistenza diversa e più ampia. Innanzitutto la Convenzione modifica il senso e l’importanza della stessa comunicazione di avvio del procedimento escludendo che essa possa essere ridotta al ruolo di adempimento meramente formale anche ai fini della validità del provvedimento amministrativo ex art. 21 octies l. n. 241/90. Inoltre il dovere di pubblicizzazione dell’avvio dei procedimenti ambientali travalica il singolo procedimento per anticiparsi al momento della definizione della strategia, degli obiettivi in cui lo specifico procedimento si inserisce. Questo perché, nell’ottica della Convenzione, la partecipazione deve collocarsi in un momento in cui tutte le opzioni sono ancora possibili.
Radicale è poi l’incidenza della Convenzione in relazione ai procedimenti normativi; per i quali, siano essi di livello legislativo o regolamentare, nel nostro ordinamento non è attualmente previsto alcun dovere di pubblicità né di consentire la partecipazione.
Così anche radicale dovrebbe essere l’incidenza in materia di pianificazione, le cui fasi partecipative oggi si svolgono, di norma, una volta che i piani sono stati adottati, nell’interregno tra adozione del piano e sua approvazione: la partecipazione avviene dunque in un momento in cui le scelte, a livello di equilibri di fondo, sono state già assunte e hanno già dato luogo alla definizione dell’assetto del territorio, difficilmente scalfibile dalle osservazioni al piano, che, come dimostra la prassi dei procedimenti urbanistici, solo di rado trovano accoglimento.
Già da questi rapidi cenni emerge come i cambiamenti che reca con sè la Convenzione non si esauriscono nel rafforzamento di questa o quella pretesa partecipativa, ma toccano al fondo il modello di dialogo cittadini-decisore pubblico traducendolo in uno strumento di governance.

3. Di tali radicali mutamenti occorre verificare l’effettività. Sul piano formale è noto che la Convenzione è stata sottoscritta e ratificata nel nostro ordinamento con l. n. 108/2001 ed è entrata in vigore nell’ottobre del medesimo anno con il raggiungimento del numero minimo di ratifiche. La Convenzione è dunque in vigore in tutte le sue parti e, come tale, può essere invocata quale parametro di legittimità di atti amministrativi, singolari e generali e di atti normativi di rango primario e secondario. Tale dimensione, di giustiziabilità del modello, riveste un ruolo centrale. Non è infatti un caso se il c.d. terzo pilastro della Convenzione sia costituito proprio dall’accesso alla giustizia.
È tuttavia evidente che per la piena applicazione della nuova disciplina sia necessario un certo periodo di metabolizzazione: ma, anche considerati i fisiologici tempi di penetrazione e di adattamento degli ordinamenti, il quadro dell’effettività della Convenzione a quasi un decennio dalla sua entrata in vigore sembra ancora piuttosto deludente.
Senz’altro l’effettività della Convenzione è “stimolata” dalle direttive europee che ne hanno fatto applicazione.
Ricordiamo che a livello europeo la disciplina dell’accesso posta dalla Convenzione è stata recepita in maniera integrale con la direttiva n. 2003/4/CE che ha modificato la preesistente direttiva 90/313/CE.
Anche la disciplina sulla partecipazione ai procedimenti amministrativi ha ricevuto un importante, anche se non pieno, accoglimento a livello europeo. Il riferimento è alla disciplina in materia di valutazione di impatto ambientale (dir. 85/337/CEE come modificata dalle dir. 97/11/CEE e 2003/35/CE), di valutazione ambientale di piani e programmi ambientali non sottoposti a valutazione ambientale strategica (dir. 2003/35/CE) e di autorizzazione integrata ambientale (dir. 2008/1/CE).
Ma, venendo al nostro ordinamento, dobbiamo constatare che anche negli ambiti coperti da norme comunitarie sono previste ampie deroghe.
Così un’importante e discussa deroga è prevista per le molte opere che ricadono nell’ambito della c.d. legge obiettivo (d.lgs. n. 190/2002, ma oggi v. art. 182 ss. d.lgs. n. 163/2006) in cui le fasi di partecipazione risultano fortemente compresse.
La Convenzione risulta inoltre inapplicata per tutti i procedimenti estranei all’ambito di applicazione della VIA a cui pur dovrebbe applicarsi. La Convenzione prevede infatti una clausola di chiusura: essa vale “nei confronti di tutte le attività che incidono in modo rilevante sull’ambiente”. Si tratta di un profilo della Convenzione di Aarhus ad oggi trascurato pur non riguardando solo i procedimenti relativi ad attività di minimo impatto sull’ambiente.
Sembrerebbero infatti restarne fuori anche i procedimenti propedeutici a scelte pianificatorie o programmatiche relative all’ambiente: per quanto infatti la direttiva comunitaria (dir. 2003/35/CE) preveda delle misure consonanti se non addirittura più rigorose di quelle previste dalla Convenzione, per l’informazione dell’avvio dei processi di pianificazione la medesima direttiva esclude testualmente dal suo ambito i procedimenti sottoposti a VAS, cioè i procedimenti pianificatori di maggior impatto ambientale che stando all’attuale disciplina si aprono alle procedure partecipative quando i piani sono sostanzialmente già definiti.

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