Imposta come home page     Aggiungi ai preferiti

 

Note a margine del convegno del 10 marzo 2017

      Stampa Stampa      

8. Le banche
Nei cahiers de doléance del capitolo PF e intervento del capitale privato nelle infrastrutture non poteva mancare, purtroppo, una menzione al sistema bancario/finanziario.
Il nostro sistema è un paradosso vivente: è talmente antiquato che è stato solo marginalmente intaccato dalla catastrofe dei subprime del 2008. Nello stesso tempo la sua arretratezza non gli consente di stare al passo e sostenere adeguatamente nuovi strumenti di sviluppo, come, appunto, il Project Financing.
Perché? È semplice, perché è talmente attaccato alla formula delle garanzie reali (per fortuna, sotto certi aspetti) che non si è mai dato cura di sviluppare in 50 anni una reale capacità di entrare “nel merito del credito”. Non solo, ma negli ultimi 20 anni, con l’ansia di rincorrere il mercato retail, ha smantellato le ottime sezioni (o istituti autonomi) di credito fondiario, che pure esistevano e che avevano contribuito non poco a quella caratteristica che fa, della popolazione italiana, un caso unico forse al mondo e che, non lo dimentichiamo, le consente ancora forse per una generazione di tenere botta sulle crisi globali: la proprietà della casa di bel lunga superiore alla percentuale di affitti, compresa l’edilizia a scopo sociale.
Questi fondiari all’interno avevano allevato grandi professionalità nel settore ipotecario-urbanistico che poi le banche madri non si sono preoccupate di ricambiare e rinnovare, ed oggi non esistono più.
Nel dopoguerra c’è stato un solo istituto finanziario che, raccogliendo l’eredità delle grandi BIN nate con l’IRI, abbia sviluppato una vera specializzazione nell’affiancare l’imprenditoria e gli Enti Locali. Siccome funzionava troppo bene cominciò a suscitare invidie e gelosie e, come tutte le cose belle italiane (per restare in tema si pensi alla cannibalizzazione negli anni ’70 della Sogene, l’unica vera grande realtà italiana del settore immobiliare di respiro internazionale), tra la fine degli anni ’90 ed i primi anni del nuovo millennio si pensò bene di smantellarlo. Le sue risorse umane, che avevano vissuto una eccezionale stagione professionale, furono disperse, come in una diaspora, tra vari istituti, tipo SACE, CDP, altre banche, ecc. La sua meravigliosa sede langue in decadente rovina al centro di Roma da più di 6 anni, emblema della stupidità, se non della malafede.
Insomma, sta di fatto che oggi trovare non dico organizzazioni bancarie, ma anche solamente equipe al loro interno, che sappiano entrare nel merito del credito è veramente impossibile.
Ma che vuol dire, infine, il merito del credito? Vuol dire saper leggere un progetto, conoscere il mercato a cui è diretto, supportare il promotore nello sviluppo del business plan, in due parole: interpretare ed affiancare il mercato e l’imprenditoria. Senza un sistema bancario che sappia fare questo lavoro, come se non bastassero le altre componenti, non c’è niente da fare per lo sviluppo del Project.
Prendiamo ora ad esempio, dal punto di vista finanziario, alcuni aspetti critici che riguardano più da vicino la strumentazione procedimentale che dovrebbe consentire l’intervento del capitale privato per la realizzazione di infrastrutture. E qui ce ne è per tutti, dall’imprenditore alla PA, passando per le banche.
Innanzitutto l’iter. Per esperienza diretta, le tematiche legate al reperimento delle coperture finanziarie sono, nella mente dell’imprenditore che vuole cimentarsi in un Project (ovviamente un tipico costruttore nazionale) un aspetto marginale, da affrontare per ultimo e legato il più delle volte alle conoscenze personali, rispetto alle vere problematiche iniziali, che sono l’individuazione dell’area, i contatti con l’amministrazione, lo sviluppo del progetto, l’aggiudicazione della concessione, ecc.
Naturalmente questo è un errore, perché la Banca, per sviluppare l’istruttoria che porterà alla delibera del prestito, ha bisogno di tempo e ripercorre esattamente lo stesso iter che precedentemente il promotore aveva dovuto seguire per ottenere le autorizzazioni amministrative, e non sente ragioni.
Qualcuno potrebbe dire a questo punto: e l’asseverazione? Che è obbligatoria per legge sin dall’inizio per presentare un’istanza di Project?
Mai vista una prescrizione ed un documento più inutili ed inefficaci dell’asseverazione. La sua istituzione è servita solo per creare un sotto-mercato, tant’è che le associazioni di categoria degli operatori finanziari hanno tanto sbraitato finché in uno dei tanti decreti correttivi non si è consentito anche alle società finanziarie di rilasciare le asseverazioni, e non solo alle banche, come era all’inizio.
L’asseverazione non serve assolutamente a nulla, in quanto non solo non approfondisce con il dovuto impegno il solito “merito del credito”, ma soprattutto perché non è impegnativa per il successivo rilascio neanche di un euro a favore dell’iniziativa, tant’è che non c’è, per esempio, nessun obbligo di continuità tra chi rilascia l’asseverazione e chi poi istruirà la vera pratica di finanziamento.
La realtà è che, se non lo fa l’imprenditore “sua sponte”, dovrebbe obbligarlo la norma a prendere subito contatto con una istituzione finanziaria specializzata (a trovarne una, naturalmente) nella copertura di infrastrutture, ed avviare insieme, attraverso la sottoscrizione di un termsheet, il percorso di strutturazione dell’iniziativa.
Se la Ragioneria Generale dello Stato, che si preoccupa tanto di fare le pulci alla “bozza di contratto tipo” per le concessioni al punto da tenere in piedi da 4 anni (!) un “gruppo di lavoro interministeriale” (!) alla spasmodica ricerca dei rischi “ex post” da accollare al privato per tutelare la PA, si fosse preoccupata invece di rendere obbligatorio in sede contrattuale il perfezionamento “ex ante” di un rapporto “quasi” impegnativo tra privato e banca, forse la “spesa corrente” dello Stato avrebbe avuto una voce più leggera, se non in meno, da sostenere, e con più efficacia.
Il Business Plan, questo sconosciuto. Anche in questo caso ci si ricollega ad alcune cose dette in precedenza. Nel caso di un Project, il Business Plan non può essere altro che la previsione a lungo termine dei flussi di cassa derivanti sì dalla costruzione (in uscita), ma soprattutto della gestione (in entrata).
I “fattori critici di successo” nella “progettazione” del Business Plan” sono le assumption, ovvero i presupposti progettuali e di politica commerciale a medio-lungo termine che condizioneranno, senza appello, il futuro dell’operazione: se un progetto è sbagliato (cioè, sbagliato nei confronti della “domanda” che è in cerca dell’”offerta”, mica dal punto di vista estetico o di solidità strutturale), non ci sono santi, l’operazione è destinata a fallire, il territorio a tenersi l’ennesima cattedrale nel deserto, le banche ad avere un NPL in più e, last but not least, gli italiani a continuare a vivere i un paese con un deficit infrastrutturale incolmabile. Per chiudere il paragrafo del finanziamento, ma, in tutto ciò, la CDP, che fa?
Non dovrebbe essere lei che, detentrice di una liquidità immensa (anch’essa con qualche scricchiolio inquietante) da quando eroga prestiti agli enti locali goccia a goccia, a promuovere non a chiacchiere, ma con fatti concreti la partenza del PF? Eppure le professionalità, finché non andranno in pensione, e ci manca poco, che un’esperienza seria sul campo se la sono fatta, le avrebbe, ma non succede nulla, e non vorrei entrare nel merito della politica real estate della Cassa degli ultimi 10 anni, primo perché andrei fuori tema, secondo perché rischierei una denuncia.

Pagine: 1 2 3 4 5


RICERCA

RICERCA AVANZATA


ApertaContrada.it Via Arenula, 29 – 00186 Roma – Tel: + 39 06 6990561 - Fax: +39 06 699191011 – Direttore Responsabile Filippo Satta - informativa privacy