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Intorno al processo amministrativo telematico1

di - 26 Maggio 2016
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A sua volta, un’azione amministrativa senza una legge sarebbe – come spesso è stata nella storia – un puro strumento di potere, inconcepibile in un sistema giuridico di diritto pubblico. Il terzo punto di riferimento è poi il cittadino. Senza esseri umani, aventi il diritto di ricorrere al giudice contro la pubblica amministrazione, invocando la legge; senza altri essere umani, lesi dalle iniziative giudiziarie dei primi, e quindi legittimati ad opporsi loro; mai ci sarebbe spazio per problemi di giustizia nei rapporti tra Stato e cittadini nel senso moderno del termine.
Tutto ciò, che per comodità potremmo chiamare corpus della giustizia amministrativa, non è un “blocco” informe che raccoglie alcune decine di migliaia di ricorsi all’anno. Fatta forse eccezione per qualche minimo TAR in cui c’è un’unica sezione, tutti gli altri TAR ed il Consiglio di Stato sono articolati in sezioni e sottosezioni, alle quali i ricorsi dei cittadini e delle imprese vengono affidati ratione materiae. Una promiscuità di materie si trova quasi soltanto per i ricorsi rivolti contro gli enti locali. In altri termini: nei fatti esiste una continuità, per materie, tra ricorrente e sezione del giudice amministrativi.
Per quanto qui rileva, questo ha un significato fortissimo. Nei fatti, tra ricorrenti e giudici amministrativi c’è una continuità. Essa è affidata alla materia di cui si tratta. Chiunque  sia il ricorrente, nella materia A giudice sarà la sez. XX; e la sez. XX non riceverà in carico materie diverse da A. Come è accaduto qualche volta, l’abbandono di questo criterio è stato molto mal visto.

5. Si è osservato qui sopra come la digitalizzazione sia il “linguaggio” con il quale vengono identificate tutte le componenti del ricorso, dai fatti da cui nasce ai motivi su cui si fonda. Nel linguaggio fondato sulle parole esse spesso hanno più di un significato, ciascuno dei quali quasi sempre ben definito con riferimento al contesto in cui si colloca, ma solo ad esso. Si pensi alla parola “casa”. Può essere un edificio o parte di un edificio, nel quale prevalentemente si vive. Ma può avere un valore simbolico: sentirsi a casa, fuggire da casa, stare come a casa, ad es.. “Alloggio” può esserne l’equivalente, in chiave più burocratica (ad es. alloggio di servizio).
Il linguaggio numerico è infinitamente più preciso. Per “casa” come edificio si usa una stringa; un’altra per il significato di parte di edificio; altre ancora per i valori simbolici della parola. In altri termini, ogni parola, ogni significato, come qualsiasi fenomeno fisico, può avere una stringa digitale, che definisce univocamente quel fenomeno, e nessun altro.
La componente cruciale delle riflessioni che si vanno svolgendo è che questo valore racchiuso in una stringa numerica può essere impiegato in mille modi. Per quanto qui rileva, merita considerare la possibilità di usarla come raffronto, come parametro di riferimento rispetto ad altri fenomeni simili. Si pensi a “casa”, nel senso di alloggio. Se c’è una lottizzazione di 99 alloggi, fatta di 3 blocchi di alloggi uguali, tre stringhe sono sufficienti per definire le componenti di ciascun blocco. Con la stessa logica, la stringa relativa ad un fenomeno può essere utilizzata per confronti ed in generale per qualsiasi genere di valutazioni quantitative: maggiore, minore, uguale, non “migliore” o “peggiore”, né “bello” o “brutto”, “buono” o “cattivo”.

6. Per il tema che qui si va discutendo, la possibilità di ricorrere a stringhe numeriche per identificare il fatto da parte – e, con il fatto, del diritto – ha un significato preciso.
Tutti sanno che l’opera del giudice è difficile. Nel contraddittorio tra le parti deve rendere una pronuncia in diritto. Questo diritto non può essere frutto del suo arbitrio o della sua fantasia. Pur senza essere vincolato ex lege ai precedenti, deve mantenere una continuità dell’ordinamento, certo seguendolo nelle sue trasformazioni, ma seguendo anche un filo conduttore, una linea di condotta senza rotture, senza strappi. In questo quadro, la conoscenza dei c.d. precedenti giurisprudenziali svolge un ruolo di grande rilievo. Essi esprimono l’evoluzione della giurisprudenza, ovvero, la trasformazione del senso del diritto e della società, guidata dalla magistratura.
Salvi rari casi, nella giurisprudenza si rinvengono sempre precedenti, cioè casi in cui altri giudici si sono pronunciati come loro colleghi devono fare, un po’ di tempo dopo, in altre situazioni, ma nello stesso ordinamento. Nei precedenti insomma si cerca sempre una regula iuris, non potendo il fatto essere altro che se stesso.
Il punto cruciale di questo percorso del giudice è molto preciso. Si cerca nella giurisprudenza il diritto di ieri al quale agganciarsi oggi. Sennonché ciò che il giudice di oggi trova nella giurisprudenza non è necessariamente una decisione su casi simili a quello su cui occorre pronunciarsi. Per essere simili dovrebbero avere a loro fondamento un fatto altrettanto simile. Come è ovvio, questo potrebbe essere fatto cercando, trovando e leggendo sentenze che abbiano, appunto, pronunciato su situazioni simili. Ma questo è quasi impossibile. Le sentenze sono innumerevoli, tante da rendere difficile, difficilissima qualsiasi ricerca che voglia avere conoscenza del fatto sul quale si è pronunciato. Tanto è vero questo che, per ovviare al peso di questi numeri di sentenze che occorre studiare, da lunghissimo tempo noi abbiamo il punto di riferimento della giurisprudenza dalle sentenze alle c.d. massime delle sentenze: massime che ignorano il fatto, per enunciare un principio   di diritto.
Questo ha un effetto preciso. Il diritto viene separato dal fatto; chiunque si sente in diritto di invocare la massima di una sentenza, a fondamento della sua pretesa.

7. Vi è dunque una precisa esigenza con cui una giustizia più efficiente – più “vera”, si potrebbe dire – deve misurarsi. È trovare il precedente, o i precedenti giurisprudenziali “veri”, cioè le sentenze pronunciate in una situazione di fatto, realmente analoga a quella per cui è causa.
Ebbene, le stringhe digitali sono oggi lo strumento ideale per questo tipo di indagini. Nel volgere di pochi secondi un computer di adeguata potenza può dotarsi di stringhe che rappresentino il fatto rilevante di una controversia, e confrontarle con quelle della giurisprudenza precedente. In un attimo si può sapere quale era la situazione di fatto di una sentenza, che appare rilevante per il giudizio in corso.
Questo processo di identificazione non è un fatto banale. Proprio in quanto linguaggio in formato numerico, esso può essere strumento di qualsiasi analisi da parte del giudice, che, ovviamente, si esaurisca in un riconoscimento o non riconoscimento. Può mirare a definire con precisione tutti gli elementi di cui il “fatto” si compone, e, quindi, a verificare la presenza di “stringhe” già note. Si può cercare la presenza di altre stringhe, che esprimono un significato, agevolmente ricostruibile. Può dunque darsi che, come accade nella vita reale, vi siano situazioni simili, il cui nocciolo comune può essere identificato grazie all’applicazione di qualche algoritmo.
Non vi è in ciò nulla di originale e men che mai di nuovo. Nuovo può essere ciò che si potrebbe fare grazie a questi strumenti digitali di identificazione parziale o totale. Ci si potrebbe trovare di fronte ad una successione di stringhe numeriche identiche, legate a stringhe diverse. Le stringhe identiche sono identiche, siano esse cinque, dieci o diecimila. Appare dunque evidente che se in n ricorsi la lettura del testo digitale trova k stringhe uguali, questo ha un significato preciso: i ricorsi che contengono k non possono che essere decisi uniformemente sul motivo, sulla questione k.

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