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Machiavelli, “Il Principe”, l’economia

di - 5 Luglio 2013
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Intervista radiofonica a Pierluigi Ciocca (a cura di Giorgio Zanchini)
Radio Rai3, 18 maggio 2013

D. Machiavelli si è interessato di economia?
R. La risposta è sì se la domanda è “Machiavelli e l’economia?” È no all’altra domanda, “Machiavelli economista?” Machiavelli economista no, se si muove da una definizione di economista quale studioso che giunge a configurare teoremi, sistemi, metodi d’analisi. Secondo la definizione che Schumpeter diede, appunto in questa chiave, davvero non si può parlare di un Machiavelli economista. Nondimeno, nel Principe, e anche in altri scritti, i riferimenti alla dimensione economica del problema politico sono espliciti.

D. In effetti, credo sia una lettura possibile. Nel Principe ci sono molti passaggi specifici sull’economia.
R. Sì, ce ne sono di importanti, sulla connessione fra la dimensione politica e la dimensione economica del problema sociale. La controdomanda retorica è del tipo: come avrebbe potuto il primo grande scienziato laico della politica trascurare gli aspetti economici? A questi aspetti appunto Machiavelli fa frequente riferimento nel ricercare, nel vagheggiare, uno Stato imperniato su una moderna città commerciale “piena di abitatori”, come egli diceva: uno Stato forte significava territorialmente esteso, militarmente agguerrito, economicamente solido.

D. Qui arriviamo al rapporto tra Stato e Mercato.
R. Il legame che oggi definiamo Stato-Mercato nella storia alta dell’analisi economica è fissato in via definitiva come problema da approfondire da Adam Smith nell’ultimo libro della Ricchezza delle Nazioni. Machiavelli, quasi trecento anni prima, riflette sul tema delle connessioni fra il ruolo dello Stato, a cui egli attribuisce primazia, e il modus operandi dell’economia. È particolarmente interessante la valorizzazione che egli fa di un “Principe” che incarni l’idea di uno Stato forte, certamente autocratico, ma che non è un tiranno, ed è comunque rispettoso del funzionamento di un’economia in ultima analisi di mercato. Alcuni brani di Machiavelli sono chiarissimi nel senso della sinergia fra la dimensione statuale e la dimensione economica. Nel Cap. 26 del Principe, può leggersi: “Volendo riconoscere la virtù di uno spirito italiano, era necessario che la Italia si riducessi nel termine che essa è di presente […], sanza capo, sanza ordine, battuta, spogliata, lacera, corsa; ed avessi sopportato d’ogni sorte ruina […] Espetta qual possa essere quello che sani le sue ferite, e ponga fine ai sacchi di Lombardia, alle taglie del Reame (di Napoli) e di Toscana, e la guarisca di quelle sue piaghe già per lungo tempo infistolite”.
Quindi è strettissima la complementarità fra libertà dei cittadini, loro autodeterminazione nelle attività economiche, da un lato, e dall’altro lato … Cesare Borgia.
Da Adam Smith in poi le soluzioni prospettate sono state le più diverse, ma la questione resta ovviamente cruciale.

D. Machiavelli pensa che si debba lasciare ai cittadini la libertà di fare i loro affari.
R. Sì, naturalmente con la cautela di non cedere all’idea di un Machiavelli “mercatista”. Tale certamente egli non è. Afferma ripetutamente il primato dello Stato anche con riferimento alle questioni economiche. Il “Principe” dev’essere più ricco dei cittadini, alludendo alla questione delle pubbliche finanze. Quindi uno Stato-Principe ricco, che per Machiavelli significa quanto meno parco nelle spese, cercatore d’efficienza nella finanza pubblica, allo scopo di minimizzare il gravame fiscale sulla cittadinanza. Lo specifico classico in queste riflessioni semi-economiche di Machiavelli naturalmente sono le spese militari. Esse erano prevalenti nel relativamente piccolo bilancio pubblico degli stati italiani di allora. L’alternativa era fra una milizia mercenaria e una milizia di coscritti. Per Machiavelli è preferibile la seconda. I mercenari vivono di guerre e vorrebbero che esse non finissero mai. I coscritti combattono quando non lavorano: i contadini d’inverno, e la guerra o la vincono o la perdono rapidamente, anche perché d’estate devono raccogliere e seminare nei campi.

D. Il nemico per Machiavelli era la rendita. Perché?
R. Questo è un punto che deve davvero colpire. Nel linguaggio corrente degli economisti si dice lotta al monopolio, favor per la concorrenza. Machiavelli va oltre. Non teme tanto le collusioni cittadine. Teme il rafforzarsi, che allora già era in atto ed egli lo vedeva, della feudalità: la propensione degli ex mercanti, banchieri, manifatturieri fiorentini a investire sempre più, di nuovo, in terre, in “castella”. Machiavelli paventava le ripercussioni politiche di questa tendenza, il rischio che minasse la forza e il primato dello Stato.

D. Sono problemi che abbiamo tutt’oggi.
R. Sono problemi sempiterni. Forse meno stretta è la connessione con l’aspetto politico e del facimento dello Stato, che soprattutto interessava lui, ma il problema del monopolio è sempre con noi. Per certi aspetti ciò è particolarmente vero in Italia oggi, se per monopolio non si intende soltanto la forma di mercato contraria alla astratta, desiderabile, pura concorrenza di prezzo. Possono attenuarsi altre modalità di pressione sui produttori e sui loro profitti, che avrebbero invece la funzione positiva di sollecitarli a ricercare la produttività e l’innovazione. Ciò avviene se i sindacati sono conniventi, se il tasso di cambio della moneta è cedevole o lasco, rendendo facile l’esportare anche ai produttori di merci meno efficienti, se la spesa pubblica è larga e disponibile a sostegno dei profitti.

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