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Machiavelli, “Il Principe”, l’economia

di - 5 Luglio 2013
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D. Credo sia molto utile capire in che contesto economico viveva, scriveva e parlava Machiavelli. Abbiamo un’idea dell’Italia cinquecentesca come uno dei momenti di massimo splendore, sicuramente culturale e artistico, ma persino economico, mentre il meglio, forse, era già alle spalle.
R. Machiavelli vede appunto quanto si configurerà nei tre secoli successivi, tra il ‘500 e lo scorcio del ‘700. Vede l’impedimento alla transizione della economia italiana verso il capitalismo moderno, dai suoi primi fuochi trecenteschi, in realtà già duecenteschi, e ovviamente quattrocenteschi, di progresso economico (nei servizi,  nei commerci, nella finanza, nelle attività manifatturiere).

D. Ma l’economia del Centro-Nord d’Italia di allora su cosa era basata?
R. Spesso lo dimentichiamo, ma era fondata pur sempre sull’agricoltura. Almeno due terzi delle persone erano contadini. Peraltro, nell’Italia del Centro-Nord e segnatamente in quelle che saranno poi signorie – Firenze, Milano, Venezia, Genova – prosperavano attività manifatturiere, anche con una componente di esportazione: tessili di qualità, prodotti di lusso, servizi finanziari e commerciali e di comunicazione, anch’essi esportati. È documentata la partenza rapida, in un certo senso precoce, degli italiani lungo la strada del capitalismo definibile mercantile, a cui purtroppo è seguito un ritardo notevole nell’affermarsi di quello che un mio maestro di Oxford, Sir John Hicks, chiamava “industrialismo”, ovvero del capitalismo post-Rivoluzione Industriale inglese.

D. Vorrei restare sul ‘400 perché mi pare che il ‘400 venga valutato dagli storici dell’economia come un periodo di straordinario benessere, che non avremmo più avuto, sino al ‘900, sino a Giolitti.
R. Disponiamo di dati nuovi sul prodotto interno lordo per l’Italia settentrionale di allora. Naturalmente sono dati costruiti su “basi di dati” molto meno ricche di quelle attuali. Va tuttavia anche detto che è meno difficile stimare il Pil di una economia antica di quanto non lo sia stimare il Pil del 2013. Erano economie più semplici: grano e ferro, le componenti fondamentali. Sulla base di queste stime, che sono recentissime, dovute a uno studioso collaboratore della “Rivista di Storia Economica”, il prof. Paolo Malanima, il quadro che emerge è quello di una Italia del Centro-Nord con livelli di reddito pro capite medi per persona nel ‘400 doppi rispetto alla media mondiale: ai prezzi e ai tassi di cambio di oggi, circa 2000 euro per persona all’anno (mentre il resto del mondo era su 1000 o meno di 1000). Si trattò di un primato economico indubbio, sia rispetto agli altri paesi europei, anch’essi relativamente sviluppati, sia a fortiori rispetto al resto del mondo. Machiavelli, però, secondo questi dati, si situa nella fase d’avvio di una tendenza opposta, alla diminuzione tendenziale del reddito pro capite italiano, tendenza che poi prevarrà per tre secoli.

D. Anticipiamo un argomento così importante, su cui bisogna soffermarsi. Perché inizia la decadenza italiana?
R. Sposo Machiavelli e la sua ipotesi, implicita ma anche in parte esplicita, del feudalesimo di ritorno. Illustri storici economici, come Carlo Cipolla e Ruggiero Romano, hanno parlato di rifeudalizzazione dell’economia italiana dopo i primi fuochi di capitalismo anticipato. Machiavelli antevide il rischio, certamente quello politico, ma anche quello economico, con questo connesso.

D. Reddito pro capite doppio della media mondiale, perché?
R. Il Principe pare sia stato compilato nel 1513. Secondo le stime nuove alle quali mi sono riferito, già nello scorcio del ‘400 la crescita economica italiana si era arrestata, sia pure su alti livelli di reddito pro capite. Principia con il tempo del Machiavelli maturo questo trend negativo: la decadenza economica, e non solo economica, della Penisola che troverà faticosa soluzione solo quattrocento anni dopo. Machiavelli coglie in primo luogo la crisi politica, collega la crisi politica, i rischi di rifeudalizzazione, al problema economico e quindi teme il declino.
La storiografia ha dato interpretazioni diverse della decadenza italiana.
Una interpretazione è demografica. La popolazione italiana risale nel ‘500-600. Nel ‘700 arriva di nuovo a lambire la soglia oltre la quale, per la povertà della terra della Penisola, alla popolazione era difficile alimentarsi.
La seconda spiegazione è strettamente economica. Si deve a Carlo Cipolla, ed è molto brillante. Mancò la risposta dei produttori italiani alla sfida che proveniva dalle nuove potenze politiche ed economiche esportatrici: Inghilterra, Francia, Olanda.
La terza spiegazione è di Ruggiero Romano e collega le già dette a considerazioni d’ordine in senso lato antropologico. Soprattutto, Romano insiste sulla rifeudalizzazione, il punto dal quale siamo partiti.
Può interessare che il legame tra politica ed economia sia stato di recente considerato anche dagli economisti più teorizzanti. Gli economisti sono tornati a capire che cultura, istituzioni, politica per vie diverse influiscono sulla performance di crescita dell’economia. A istituzioni deboli difficilmente corrisponde un’economia forte. Nel periodo successivo a Machiavelli, detto del colbertismo o del mercantilismo, prevalse addirittura l’idea secondo cui l’arricchimento di una nazione poteva avvenire solo a scapito dell’impoverimento di altre, in una sorta di giuoco economico-politico a somma nulla.

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