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L’azione collettiva risarcitoria: spunti di riflessione.

di - 19 Dicembre 2008
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Al netto di queste importantissime incompatibilità “ambientali” (che andrebbero comunque, almeno in parte, rimosse; riflettiamo, ad esempio, sull’utilità pratica di un’azione collettiva  che – in assenza di danni punitivi – produca il risultato di ristorare un danno pro – capite di poche decine di euro), l’art. 140 – bis del codice del consumo presenta una serie di evidenti criticità tecniche (di tecnica giuridica) in grado di revocare fortemente in dubbio non soltanto il perseguimento degli obiettivi innanzi indicati ma la stessa possibilità di addivenire a sia pure minimali benefici a fronte di costi economici e sociali elevatissimi.

Mi limito, in questa sede, a segnalare le più gravi, non necessariamente in ordine di importanza:

a) L’ambito di applicazione della disciplina sembra riguardare la materia regolata dal codice del consumo. E tuttavia il riferimento ai “contratti stipulati ai sensi dell’art. 1342 del codice civile” dilata, per un verso, la portata della norma (essendo l’art. 1342 norma “a soggetto indifferente”) e, per altro verso, la restringe ai soli contratti stipulati in forma scritta. Interpretando la disposizione nel senso che la tutela valga, anche in questo caso, con riferimento ai soli contratti conclusi attraverso moduli o formulari purché sottoscritti da consumatori, si apre il delicato problema dell’estensione o no della disciplina a contratti conclusi da risparmiatori piuttosto che da consumatori (contratti bancari, assicurativi, del mercato mobiliare). La circostanza che tale categoria di soggetti assume qualificazione diversa a seconda che la si inquadri sul piano sociologico o giuridico (risultando, sotto quest’ultimo versante, il risparmiatore anche consumatore di prodotti o servizi bancari o finanziari) non elimina il problema di una maggiore chiarezza della norma quanto alla sua portata applicativa tanto sul piano soggettivo quanto su quello oggettivo, degli insiemi disciplinari di riferimento. Parte consistente della tutela del risparmiatore è infatti inserita non nel codice del consumo, quanto piuttosto nei testi unici di banca e finanza, nel codice delle assicurazioni oltre che, naturalmente, nel codice civile. Unitamente a queste problematiche, comunque inerenti al danno patrimoniale strettamente connesso a prestazioni rilevanti sotto lo stesso versante, mette conto almeno riflettere sull’estensione dell’azione a danni di tipo diverso, quali quello all’ambiente o alla salute, e ai conseguenti riflessi di tipo patrimoniale anche in chiave di deterrenza. Alle corte: occorre ripensare la sedes materiae della norma. In altra circostanza, prima della sua promulgazione, ho sostenuto l’opportunità di inserire la relativa disciplina nel codice di procedura civile, con un capo dedicato alle azioni collettive in aggiunta al capo dedicato alle azioni individuali (cfr. il dibattito “Voglia di azioni collettive”, in Questione giustizia, 2007, p. 771) per la tutela dei diritti. Ribadisco tale opinione.

b) Prescelta la strada (maggiormente vicina alle esperienze europee) della legittimazione da parte degli enti esponenziali piuttosto che quella delle azioni instaurate dal singolo nell’interesse anche di una pluralità di soggetti (la nota class action d’oltreoceano), i maggiori rilievi problematici hanno, a ragione, investito i criteri di accertamento della rappresentatività da parte di soggetti diversi dalle associazioni dei consumatori riconosciute dal codice del consumo. Le scelte del legislatore non brillano per chiarezza e lungimiranza. La decisione è infatti consistita nel rimettere al tribunale il vaglio dell’adeguata rappresentatività dell’ente (che si assume) esponenziale degli interessi in gioco. Essa evoca i criteri utilizzati dalle Corti americane per la certification delle azioni “di classe”. E tuttavia, diversamente da quelle, non si riferisce alla legittimazione di singoli danneggiati ma soltanto ad associazioni e comitati adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere.

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