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Dazi

di - 22 Aprile 2025
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D A Z I

Col termine dazio si intende una tassa imposta da un paese ai residenti che acquistano un bene estero; generalmente viene calcolato come percentuale del prezzo pagato all’esportatore estero.

La teoria economica non ha molto da dire sui dazi americani di cui si discute in questi giorni, giacché ha messo in luce come gli effetti dei dazi possano essere molto differenti a seconda di come vengono strutturati e applicati, del contesto economico in cui ha luogo la loro introduzione, di quali sono le precise finalità cui sono diretti. In particolare, è ben differente che:

–  si propongano di ottenere determinati risultati economici a seguito delle loro caratteristiche, oppure siano semplicemente usati quale arma di minaccia per ottenere determinati risultati in campi completamente diversi (ad esempio spingere paesi alleati a sobbarcarsi maggiori spese per la difesa militare, o indurli a rinunciare ad iniziative di tassazione dei giganti del web americani operanti in tali paesi);

– diano o meno origine a contro-dazi e altre ritorsioni da parte dei paesi colpiti;

– siano previsti per un periodo di tempo limitato oppure indefinitamente;

– riguardino prodotti per i quali il paese che li impone ha buone possibilità di sostituire l’importazione colpita da dazio con produzione interna oppure prodotti che il paese non è in grado di produrre a costi sostenibili;

– vengano applicati al complesso dei prodotti di determinati settori oppure escludano i prodotti intermedi e specifiche componenti di prodotti finali prodotti nel paese che li impone;

– riguardino prodotti per i quali gli esportatori esteri colpiti dal dazio non siano in condizione di abbassare il prezzo di vendita pre-dazio in modo da non modificare il prezzo di acquisto per il consumatore del paese che impone il dazio, oppure possano accollarsi essi stessi il dazio riducendo corrispondentemente il prezzo pre-dazio attraverso una riduzione del profitto della vendita;

– siano diretti a colpire singoli paesi e a essere eventualmente discussi o modificati in base a accordi bilaterali, oppure si rivolgano al complesso del resto del mondo o a specifiche grandi aree geografiche di paesi esteri e siano eventuale oggetto di negoziati multilaterali.

CARATTERISTICHE GENERALI DEI DAZI

FINALITA’ DEI DAZI

La tipica finalità è quella di sostituire la produzione nazionale all’importazione dall’estero per favorire specifiche produzioni ritenute di particolare importanza o di carattere strategico (ad esempio la produzione di armi) oppure per sostenere i livelli di attività produttiva in generale. Nei paesi in via di sviluppo (come è avvenuto in passato per i paesi attualmente sviluppati) i dazi sono uno strumento generalmente usato per favorire l’”industria nascente”, che nelle prime fasi di industrializzazione non sarebbe in condizione di reggere la concorrenza dei prodotti dei paesi più avanzati. In paesi particolarmente arretrati, che non dispongono di moderni sistemi fiscali, i dazi possono invece avere la mera finalità di raccogliere tasse dai cittadini, essendo più semplici da introdurre e controllare di strumenti alternativi. Come già indicato, I dazi possono essere anche minacciati o applicati temporaneamente quale semplice arma di pressione in altre contrattazioni internazionali. Naturalmente i dazi, come altri ostacoli alla concorrenza internazionale, possono essere introdotti – e soprattutto, quando previsti per un periodo limitato, essere poi mantenuti indefinitamente –  non per rispondere a interessi generali di un paese, ma per tutelare dalla concorrenza estera, accrescendone i profitti, specifici gruppi di produttori nazionali in grado di esercitare pressioni e attività di lobbying sulle autorità del paese.

EFFETTI DEI DAZI

1) Sulla domanda e sull’attività interna del paese che li impone.

Finalità tipica del dazio è quella di ridurre l’importazione di un bene estero attraverso un aumento del suo prezzo di vendita nel paese che lo impone, i cui produttori dello stesso bene si troveranno favoriti nella concorrenza col bene importato. Gli esistenti produttori interni del bene potranno aumentare le quantità vendute e nuovi produttori potranno presentarsi sul mercato interno; ne dovrebbe conseguire un incremento del livello d’attività e dell’occupazione del paese. In ogni caso questo vale se il dazio non suscita rappresaglie da parte dei paesi colpiti: se questi dovessero rispondere con contro-dazi sui beni che importano dal paese che ha imposto il dazio, quest’ultimo paese vedrebbe a sua volta penalizzate le proprie esportazioni verso i paesi inizialmente colpiti.

2) Sull’inflazione.

I dazi (salvo il caso poco frequente in cui vengano interamente assorbiti attraverso una riduzione del prezzo pre-dazio da parte dell’esportatore estero) determinano un aumento del prezzo di vendita al consumatore nel paese che li impone. Se infatti prima del dazio vi erano importazioni di un bene, significa che i produttori esteri erano in grado di vendere nel paese a un prezzo inferiore a quello dei produttori interni. Se il paese che impone il dazio non soffre di inflazione, la crescita del prezzo dei beni colpiti dal dazio è probabile non crei particolari problemi; se però il paese si trova già in situazione di significativa inflazione o attesa di imminente inflazione – ad esempio perché si trova vicino alla piena occupazione – la crescita del prezzo dei beni colpiti dal dazio può creare nelle autorità monetarie aspettative di un aumento dell’inflazione tale da indurle a contrastare tale rischio attraverso un aumento dei tassi d’interesse, con effetti negativi sui livelli d’attività.

3) Sul grado di concorrenza nel mercato interno e sull’efficienza della produzione.

I dazi, elevando il prezzo di vendita al consumatore nel paese che li impone o – nel caso in cui gli esportatori esteri si accollino in tutto o in parte l’onere del dazio abbassando il loro prezzo pre-dazio nel paese dei consumatori – riducendo il profitto degli esportatori esteri, favoriscono artificialmente i produttori nazionali, falsando il meccanismo della concorrenza e permettendo a produttori nazionali scarsamente efficienti a livello internazionale di produrre e vendere sul mercato interno i propri prodotti. Tendono così a violare il principio stesso dei costi comparati, che è alla base della divisione internazionale del lavoro, secondo il quale ogni paese dovrebbe specializzarsi nella produzione ed esportazione dei prodotti per i quali è relativamente maggiore la propria efficienza rispetto a quella negli altri prodotti. Viene così rallentato il processo di spostamento della produzione nazionale dai beni che sono prodotti meno efficientemente verso quelli che il paese produce più efficientemente e si stimola la produzione dei beni che hanno scarse possibilità di trovare sbocchi nei mercati esteri.

4) Sulle ragioni di scambio.

Le ragioni di scambio sono definite come rapporto tra il prezzo medio a cui vengono venduti da un paese i prodotti esportati e il prezzo medio a cui vengono acquistati dal paese i beni importati. Nel caso in cui a fronte di un dazio gli esportatori esteri, per non perdere clienti nel paese che lo impone, riducano il prezzo di vendita pre-dazio per i prodotti esportati in quel paese, quest’ultimo si trova a beneficiare di un miglioramento delle proprie ragioni di scambio. Nel caso in cui il paese che impone il dazio è un paese grande – nel senso di rappresentare l’acquirente di una significativa quota della complessiva domanda mondiale di un prodotto (è questo il caso degli Stati Uniti) – un altro fattore può spingere ad un miglioramento delle ragioni di scambio: il fatto che il dazio, accrescendo di norma il prezzo per il consumatore del bene gravato da dazio, tende a ridurne la quantità domandata nel paese che lo impone. Questa riduzione della domanda, trattandosi appunto di un paese che assorbe una grossa quota del commercio mondiale del prodotto, tende a ridurne il prezzo sul mercato internazionale e quindi il prezzo pre-dazio delle importazioni che continuano a entrare nel paese.

5) Sulla bilancia dei pagamenti

In prima approssimazione i dazi causano la sostituzione dell’importazione del bene colpito da dazio con produzione interna; pertanto si dovrebbe registrare un miglioramento della bilancia commerciale con l’estero del paese e, in cambi flessibili, un apprezzamento del cambio.

Naturalmente questo vale in assenza di ritorsioni da parte dei paesi colpiti dal dazio; inoltre, se il prodotto colpito da dazio è un importante componente di beni che il paese esporta, l’aumento del suo prezzo, causando una perdita di competitività, tenderà a ridurre le esportazioni di tali beni. Ma soprattutto il discorso vale se si considerano i rapporti economici tra paesi limitati agli scambi commerciali di beni e servizi; in realtà gli scambi finanziari, relativi ai movimenti di capitale, sono di molte volte superiori a quelli commerciali. Ciò fa sì che i tassi di cambio tra le valute dei diversi paesi – risultato della domanda e offerta di ciascuna valuta – che servono ad assicurare l’equilibrio tra l’insieme di beni e servizi e capitali che un paese cede all’estero e quello che riceve dall’estero, sono determinati assai più dall’andamento degli scambi di capitali che da quello di beni e servizi. Ciò complica enormemente le relazioni tra dazi, bilance commerciali e tassi di cambio. Ad esempio, anche se in un paese l’imposizione di un dazio portasse alla riduzione delle importazioni del bene colpito e a un miglioramento della bilancia commerciale (che dovrebbero favorire l’apprezzamento della valuta nazionale), l’introduzione del dazio potrebbe suscitare aspettative di generale peggioramento delle relazioni internazionali generando fughe di capitali dal paese e conseguente, ben più ampia, pressione al deprezzamento della valuta.

È importante tener conto del fatto che è probabile che tutti i sopraelencati effetti dei dazi siano di intensità ben diversa a seconda che si consideri il breve o il più lungo periodo: ad esempio, l’effetto positivo sui livelli di attività conseguente all’entrata di nuovi produttori nazionali nel mercato del bene protetto dal dazio potrà manifestarsi soltanto dopo un certo tempo, necessario perché tali produttori decidano e portino a compimento i relativi investimenti.

Va inoltre tenuto conto che, a fronte dell’imposizione di un dazio, molte delle decisioni degli operatori economici, interni ed esteri, su come reagire verranno prese solo quando essi avranno la certezza che il dazio sarà effettivamente applicato come annunciato e non modificato nel tempo. Decisioni come gli investimenti necessari per ampliare la capacità produttiva di un impianto, lo spostamento di una impresa da un paese ad un altro, la ristrutturazione delle catene globali del valore non sono reversibili come previsto dalla teoria economica, ma, una volta prese –data anche la forte entità dei costi iniziali – impegnano gli operatori per un lungo periodo di tempo. Le incertezze sulla natura, gli effetti e la permanenza dei dazi avranno quindi un effetto frenante sulle decisioni dei produttori, generando a cascata ancor più accentuate incertezze negli operatori finanziari, i cui mercati potranno essere investiti da forti turbolenze.

 

LA DISPUTA SUI DAZI DEGLI STATI UNITI

Nel caso della disputa sui dazi americani attualmente in corso, ai problemi e alle incertezze fin qui discussi circa gli effetti dei dazi altri due se ne aggiungono. Il primo è lo stretto collegamento che il Presidente Trump ha stabilito tra la questione meramente economica dell’imposizione di dazi e il più ampio disegno politico del ritorno al predominio imperiale degli Stati Uniti (disegno quest’ultimo che interessa direttamente l’Unione Europea in quanto prevede l’obbligo di un aumento delle spese per la difesa da parte degli alleati degli Stati Uniti, dovendo questi ultimi concentrarsi nello sforzo di contrastare l’ascesa della Cina). Il secondo riguarda il ruolo del tutto particolare che la moneta degli Stati Uniti ricopre nel sistema monetario internazionale e i problemi di bilancia dei pagamenti che tale ruolo determina per questo paese.

Sul merito dei recenti dazi disposti da Trump, una discussione seria è impossibile. Ci troviamo infatti di fronte non alla prima fase di un programma protezionistico razionalmente strutturato sulla cui base sia possibile avanzare qualche sensata previsione sulle sue conseguenze, ma alla iniziale esplosiva manifestazione di un confuso disegno di ristabilimento di una egemonia imperiale ormai reso inattuabile dagli sviluppi della storia: basti considerare che la quota statunitense del PIL mondiale è scesa dal 40 per cento negli anni ‘60 all’attuale 26 per cento e che a fronte della dinamica  delle principali economie emergenti è probabilmente destinata a ridursi ulteriormente in futuro.  Mentre sul piano militare, dopo le vittorie della seconda guerra mondiale, si è passati dai disastri del Vietnam e dell’Iran negli anni ’70 a quelli più recenti dell’Iraq e dell’Afghanistan.

Il progetto economico di Trump, da lui presentato con linguaggio volgarmente ingiurioso nei confronti del resto del mondo (unico importante paese risparmiato è la Russia)  e zeppo di imprecisioni e falsità, anticipa miracolosi scenari in cui, al tocco della sua bacchetta magica daziaria, imprese decotte riprendono la loro attività, enormi impianti si spostano improvvisamente da lontani continenti verso gli Stati Uniti, la bilancia commerciale americana torna in equilibrio come se non avesse quale inevitabile controparte un flusso di investimenti finanziari pubblici e privati dall’estero largamente collegato allo speciale ruolo del dollaro quale moneta internazionale (ruolo che egli intende naturalmente rafforzare). Ascoltando Trump, più che all’annuncio di un programma economico sembra di assistere al discorso di un venditore di tappeti o a quello di un predicatore fanatico che si ritiene investito da Dio del compito di salvare la parte statunitense dell’umanità.

Contribuisce a rendere difficile ogni previsione anche il fatto che l’introduzione di una così imponente mole di dazi da parte di un paese di rilevante importanza commerciale non ha precedenti nella storia dell’ultimo secolo, salvo il periodo degli anni ’30, quando portò all’acutizzarsi di conflitti commerciali che contribuirono allo scoppio della guerra mondiale (si noti peraltro che quei conflitti commerciali furono conseguenza della più rovinosa crisi economica dei tempi moderni, mentre l’attuale iniziativa di Trump si svolge in un periodo di notevole dinamismo dell’economia statunitense e rischia di essere essa, questa volta, a generare una crisi economica di vaste proporzioni). Non vi sono quindi esperienze negli ultimi decenni di paragonabili introduzioni di dazi da cui trarre insegnamenti. Il riferimento a recenti casi di dazi, come quelli applicati dagli Stati Uniti nel 2018-19 alla Cina – che sembrano aver prodotto solo limitate spinte inflazionistiche – non è di grande utilità: erano diretti a colpire uno specifico paese e non ebbero particolari conseguenze su altre economie, mentre nel caso attuale sono stati presi di mira quasi tutti i paesi del mondo con dazi di entità senza precedenti.

Quel che si può dire circa il futuro più vicino è che negli Stati Uniti ogni aumento dei prezzi che sarà prodotto dall’applicazione dei dazi andrà a sommarsi a un’inflazione che si sta muovendo intorno al 3 per cento l’anno ed è quindi tenuta sotto stretta osservazione da parte delle autorità monetarie, pronte a intervenire in caso di ulteriori significativi incrementi; mentre gli spazi per l’ampliamento dell’attività economica appaiono contenuti da una disoccupazione del 4,2 per cento, quindi non molto lontana da una sostanziale piena occupazione. Quanto al riequilibrio della bilancia commerciale, ben più dei dazi potranno pesare misure dirette a ridurre il valore del dollaro rispetto alle altre valute; ma queste misure appaiono richiedere un grosso sforzo cooperativo da parte degli altri principali paesi, mentre l’atteggiamento ricattatorio di Trump non sembra il più indicato a suscitarlo.

In prospettiva di medio periodo, forse il maggior pericolo è costituito dal fatto che il progetto di rinascita della potenza economica americana, mal definito e di incerta attuabilità, non è risultato molto convincente presso gli operatori economici interni e esteri. Come si è già accennato sopra, le decisioni di investimento, vincolando chi le effettua per un lungo periodo di tempo, vengono prese solo in risposta a mutamenti di condizioni materiali o di normative ritenuti permanenti. A fronte delle polemiche che all’interno e all’estero hanno suscitato – anche tra i suoi sostenitori – i dazi di Trump e del fatto che in ogni caso il Presidente non potrà imporre le proprie scelte al di là della scadenza quadriennale del suo mandato, c’è da attendersi che gli operatori aspetteranno innanzitutto di vedere quali saranno le reazioni e gli effetti della mossa di Trump e quindi se deciderà di continuare o meno a muoversi nella direzione intrapresa, e poi di avere indicazioni circa l’orientamento che in proposito (come su altri importanti punti, ad esempio la conversione energetica e il cambiamento climatico) ci si può attendere dai suoi successori. È infatti alta la probabilità che lo stesso Trump negli anni a seguire, ma soprattutto quanti governeranno l’America dopo di lui, si muovano in tutt’altra direzione. Questa incertezza comporta un probabile rinvio di scelte di investimento, con effetti negativi sui livelli di attività in America e all’estero.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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