Santi Patroni, Credito D’imposta e Moneta di Conto
Fra le città medievali spicca per il numero dei santi protettori cittadini proprio Perugia. È noto come vi sono riconosciuti almeno tre patroni: san Lorenzo (a cui è dedicato il duomo), san Costanzo e sant’Ercolano. Quest’ultimo è un nome particolarmente fortunato per raggiungere la santità dal momento che si contano almeno quattro santi ed un beato con lo stesso nome. Il santo venerato a Perugia è probabile che sia il terzo con questo nome, che fu vescovo di Perugia nel VI secolo. Non mancano naturalmente i templi dedicati ai fondatori degli ordini mendicanti, san Francesco e san Domenico, nonché san Pietro, per non citare altri che i maggiori.
Vi sono anche i templi dedicati ai santi non santi, come è il caso di san Bevignate, il quale era ed è molto venerato a Perugia, ma che non fu mai canonizzato e di cui non si ha certezza neppure del tempo storico della sua esistenza. Ugolino Nicolini propende per i primi anni del secolo XIII[1], ma in realtà è certo soltanto che durante quel secolo (1256) furono avviati i lavori di costruzione di un tempio extra moenia, dedicato a san Bevignate per impulso della sovrintendenza dell’ordine Templare nella persona del cavaliere Bonvicino. Il probabile scopo sarebbe stato quello di realizzare una sede per l’Ordine dei Cavalieri Templari a Perugia, strategico punto di collegamento tra le varie commende templari del centro Italia.
Cresciuto nei secoli in potere e ricchezza, l’ordine si inimicò il re di Francia Filippo il Bello e andò incontro, attraverso un drammatico processo iniziato nel 1307, alla dissoluzione definitiva nel 1312, a seguito della bolla Vox in excelso di papa Clemente V (siamo già nella “cattività avignonese”) che sospese l’ordine in via amministrativa, anche non decidendo la sua definitiva soppressione. La chiesa di san Bevignate perciò perse gradualmente, unitamente ai suoi protettori e finanziatori templari, anche il sostegno economico necessario per la conduzione ordinaria per non dire dei miglioramenti dell’edificio che, infatti, rimase spoglio di significativi arredi monumentali.
Le umane vicende dell’ordine furono però irrilevanti per i perugini credenti in san Bevignate. La fortuna del presunto santo si accrebbe al punto che, dopo un inutile tentativo di canonizzazione ufficiale, san Bevignate fu riconosciuto santo a livello cittadino allorché a metà del XV secolo, fra il 1453 e il 1457, si succedono la sua “canonizzazione laica”[2] e la realizzazione della cappella in san Bevignate[3]. Ci soffermiamo sulla costruzione di questa cappella che è stata di recente oggetto di puntuale studio da parte di Mirko Santanicchia[4]. Il 20 marzo del 1455, dunque, nel fascicolo dei Consigli e Riformanze del comune di Perugia è registrata una puntuale richiesta del cappellano della chiesa di San Bevignate, Pietro Nicolai che, anche a nome dei confratelli, “supplica” i priori di concedere un contributo di almeno 25 fiorini per la costruzione di una specifica cappella, destinata ad accogliere in modo più degno le spoglie del santo, sia in funzione di tale nobile scopo sia perché la chiesa si presentava particolarmente spoglia di arredi, altari e monumenti.
La supplica è incorporata nella deliberazione consigliare, di cui costituisce la premessa, il fatto cioè che muove ed induce al deliberato. Vi si afferma dunque che considerato: “quod dicta ecclesia est magnae longitudinis et latitudinis et in ea magna est penuria capellarum” si ritiene utile costruire una cappella speciale in onore dei sancti Bevignatis et sancti Ieronimi affinché tali santi, unitamente a Gesù Cristo, siano sempre advocati et defensores delle autorità cittadine et totius populi Perusini.
La richiesta di sostegno monetario non si può certo definire perentoria perché è rimessa alla clemenza dei concedenti, riguardando 25 fiorini et plus vel minus come all’autorità cittadina videbitur et placebit.
La deliberazione collegiale degli otto priori presenti, dopo aver affermato che è consuetudine del Comune di offrire sostegno economico alle iniziative ad pias causas, si esprime all’unanimità in senso favorevole alla erogazione tramite votazione segreta per fabas albas et nigras.
Una votazione altrettanto favorevole è quella del collegio dei quaranta camerarii (dei responsabili cioè del tesoro cittadino e della erogazione delle spese) i quali, con votazione altrettanto segreta, con trentasei voti favorevoli su trentotto presenti, si esprimono per la concessione di quanto richiesto.
La formula concessoria risulta però particolarmente complessa perché in realtà si definisce in un credito d’imposta per dieci anni dalle imposte sul sussidio pubblico. Ne trascrivo il testo per il suo indubitabile interesse: “rector ipsius ecclesiae sit et esse intelligatur immunis et exempta a solutione subsidiorum Communis Perusii pro tempore decem annorum proxime futurorum in quantitate duorum florenorum cum dimidio pro quolibet anno ad rationem nonaginta solidorum pro quolibet floreno”. La deliberazione aggiunge inoltre che la cappella deve essere costruita entro un anno e che il rettore della chiesa debba impiegare nell’attività di costruzione un corrispondente importo di 25 fiorini de propriis facultatibus dictae ecclesiae.
La deliberazione presenta dunque una serie di provvedimenti e condizioni che meritano un minimo di commento:
1) Nella Perugia medievale le associazioni religiose corrispondevano un’imposta per le elergizioni che ricevevano sia di origine pubblica sia per quelle che provenivano da soggetti privati.
2) Era perfettamente noto il principio del finanziamento tramite il riconoscimento di un credito d’imposta, il che è sintomo di una struttura gestionale complessa da parte della pubblica Amministrazione.
3) Per puro caso tale credito d’imposta veniva diluito in 10 anni, in termini non dissimili dall’analoga formula attualmente in vigore in Italia, almeno nella sua forma ordinaria.
4) Nella operazione di finanziamento di cui ci stiamo occupando è notabile il fatto che il Comune richieda come il beneficiario dell’investimento contribuisca nella misura del 50%, cioè con un impegno economico che corrisponde alla metà del costo complessivo dell’investimento e cioè della costruzione della cappella. Anche in questo caso qualcosa di simile è ravvisabile negli attuali finanziamenti della Banca europea per gli investimenti (BEI) che sostiene a tassi agevolati gli investimenti produttivi delle imprese fino al 50% del valore dell’investimento.
5) ogni rata decennale è stata puntualmente definita specificando che l’importo di 2 fiorini e mezzo/anno doveva intendersi al computo di 90 soldi per fiorino. Il significato di questa indicazione può non essere diffusamente noto, ma si tratta di un riferimento alla moneta di conto con la quale si computava il valore della moneta piccola circolante nei confronti del fiorino. Dall’originario computo di 20 soldi per fiorino di 3,53 grammi aurei al tempo della sua coniazione fiorentina (1252), la moneta circolante, in una vasta area centro-settentrionale, era arrivata a valere 32 soldi. In un periodo di stagnazione, come è stato il Trecento, il fiorino senza apposita specificazione (aureus, boni ponderis, etc.) era divenuto moneta virtuale di conto per la moneta divisionale circolante proprio al computo di 32 soldi[5].
Il fiorino risulta citato per la prima volta a Perugia nel 1272 (vent’anni dopo la sua coniazione a Firenze) ed era valutato 312 denari, cioè 26 soldi[6].
Gradualmente si era realizzato il progressivo apprezzamento della effettiva moneta aurea che a Perugia, città sia pure da non paragonare alle grandi economie mercantili di Firenze, Venezia e della Lombardia, era stato particolarmente rapido. Per es. a Perugia già nel periodo tra il 1293 ed il 1303, il fiorino di conto aveva raggiunto il computo di 65 soldi[7], mentre nel 1351 il fiorino valeva a Perugia Lire 4, s. 2, d. 5, e cioè 82 soldi e 5 denari[8]. Questo dato collima in termini molto attendibili con una ulteriore e significativa indicazione che ci perviene dall’ambasceria di Bartolo da Sassoferrato a Gubbio, nel giugno 1353[9], ambasceria che rende al famoso giurista 160 lire al computo di «quattro lire e sei soldi», e cioè al computo di 86 soldi.
Risulta semmai sorprendente che circa un secolo dopo il fiorino sia valutato soltanto 90 soldi salvo che, nell’ambito della cosiddetta stagnazione trecentesca, non si sia determinata a Perugia una nuova e diversa valutazione di conto, riferita appunto a 90 soldi, e che tale valore avesse assunto una stabilità tale da costituire un reale sistema di conto. Naturalmente il rapporto di cui sopra era riferito alla moneta minuta circolante e non a quella argentea intermedia, che era pure circolante nelle forme degli anconetani e dei bolognini (questi ultimi del valore di 30 denari per ciascuna moneta). Nel 1417 Braccio da Montone stabilì i cambi fissi per le transazioni in moneta argentea che riguardavano il Comune. In quel tempo circolava appunto il bolognino come moneta grossa d’argento ed il signore condottiero stabilì che per le entrate il rapporto dovesse essere di 90 soldi per fiorino, mentre per le uscite il Comune potesse versare 80 soldi per fiorino di conto[10].
Ma i fatti documentati di San Bevignate non terminano a questo punto. L’11 agosto 1457, poco più di due anni dopo, si rinnova la supplica del canonico Pietro Nicolai, che denuncia l’impossibilità di completare il lavoro di costruzione della cappella: “quia supplicantium est tanta paupertas quod optatum edifitium non possunt ad finem perducere”[11]. La richiesta di questa seconda supplica è di 15 fiorini, sia pure con la consueta formula di sottomissione et plus et minus …ut videbitur et placebit. La concessione del finanziamento, limitato a 10 fiorini (al computo di trentasei bolognini per fiorino[12]), è deliberata senza le modalità in precedenza adottate e senza condizioni a carico del richiedente, con il voto unanime dei nove priori presenti e con il voto favorevole di 37 camerari sui 40 presenti.
È evidente come l’Amministrazione comunale, che continuava a svolgere un ruolo rilevante durante la signoria dei Baglioni, da un lato si era resa conto dell’estremo artificio finanziario che aveva imposto alla richiesta di due anni prima rendendo di fatto impossibile il completamento della cappella, dall’altro è evidente come si fosse trovata in ristrettezze finanziarie, ancora persistenti nel 1457, che la inducevano ad un finanziamento diretto sia pure in misura minore di quanto richiesto e presumibilmente necessario. È probabile che i grandi lavori di ampliamento del Palazzo dei Priori per ospitare il ‘Nobile Collegio del Cambio’, lavori iniziati nel 1452, unitamente all’avvio di altre grandi opere, avessero in gran parte limitato le risorse disponibili per gli investimenti di modesto interesse pubblico, quale poteva essere ritenuto quello di una cappella di una chiesa extra moenia.
Per completezza di informazione dei lettori preciso che la modesta cappella fu poi realizzata ma senza importanti lavorari murari. Si trattava di un piccolo altare poggiante su due gradini di marmo e sormontato da una agile cappellina cuspidata aderente alla parete della chiesa. Oggi non esiste più nulla, ma Santanicchia ci offre una ricostruzione digitale del piccolo monumento, che è stato possibile realizzare sulla base della descrizione effettuata dal vescovo Napoleone Comitoli, nel corso della sua visita pastorale del 1584[13].
Note
1. U. Nicolini, Le canonizzazioni facili del Comune di Perugia, in Templari e ospitalieri in Italia: la Chiesa di San Bevignate a Perugia, Milano 1987, pp. 39-45. ↑
2. La festività della ricorrenza fu deliberata dal Comume perugino per il 14 maggio, giorno presunto della sua morte, secondo il rituale delle canonizzazioni che prevede, appunto, nel giorno del decesso la festa come nascita a nuova e più beatifica vita. ↑
3. M. Santanicchia, San Bevignate di Perugia. Storia e iconografia. Lo Statuto degli Ortolani alla Biblioteca Vaticana e gli anni di Gian Galeazzo Visconti, in Studi storia dell’arte, 27 (2016). ↑
4. M. Santanicchia, Una nota per la cappella di San Bevignate nella omonima chiesa perugina, in Bollettino della Deputazione per la storia patria dell’Umbria, CXVII, tomo I, Perugia 2020, pp. 117-140. ↑
5. Fondamentale per il fiorino di conto lo studio di C. M. Cipolla, Studi di storia della moneta. I. I movimenti dei cambi in Italia dal secolo XIII al XV, in Università di Pavia. Studi nelle scienze giuridiche e sociali pubb. dall’Istituto di esercitazioni presso la Facoltà di Giurisprudenza, XXIX (1948), pp. 31-240. ↑
6. S. Zucchini, Università e dottori nell’economia del comune di Perugia, Perugia 2008, p. 16. ↑
7. A. Finetti, La zecca e le monete di Perugia nel Medioevo e nel Rinascimento, Perugia 1997, p. 56. ↑
9. Per una compiuta analisi della documentazione relativa alla celebre ambasceria bartoliana presso Carlo IV, si veda A. Bartoli Langeli-M.A. Panzanelli Fratoni, Il ritorno degli ambasciatori. I documenti concessi da Carlo IV imperatore al Comune e alla città di Perugia nel 1355, in Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria, CXI (2014), fasc. I-II, pp. 201-264. ↑
10. Zucchini, Università e dottori nell’economia del comune di Perugia, cit., p. 18 nt. 49. ↑
11. Santanicchia, Una nota per la cappella di San Bevignate cit., pp. 134-135. ↑
12. Al computo di 30 denari il bolognino sviluppava 1080 denari, e cioè 90 soldi, che è esattamente il computo del fiorino di conto di due anni prima, riferito soltanto ad una diversa moneta circolante. ↑
13. Santanicchia, Una nota per la cappella di San Bevignate cit., p. 139. ↑