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Medioevo del diritto

di - 22 Dicembre 2021
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All’inizio dello scorso mese di novembre la casa editrice Adelphi ha pubblicato la ristampa del Medioevo del diritto di Francesco Calasso, opera apparsa nel 1954 per i tipi di Giuffrè la quale ha formato varie generazioni di studenti di giurisprudenza ed è stata, e continua ad essere, punto di riferimento insostituibile per gli storici del diritto di età medievale.

Il Medioevo del diritto costituisce l’espressione più matura del pensiero di Calasso e della sua interpretazione originale del mondo giuridico medievale. Nei primi decenni del secolo scorso la prevalente lettura del diritto di età medievale sottolineava la molteplicità delle fonti, delle norme, la loro frequente contrapposizione, il loro disordine, e la ricerca si attardava ancora nella discussione sulla prevalenza della tradizione romana o di quella germanica su quelle fonti e su quelle norme e si esprimeva in note filologiche o in indagini su singoli istituti, nella convinzione che questi avessero conosciuto nei secoli mutamenti non già nella sostanza, ma soltanto nella disciplina. E i manuali destinati agli studenti risentivano di questa impostazione, limitandosi ad un elenco nozionistico di testi o di istituti. Calasso modificò radicalmente questa impostazione. Formato al neoidealismo crociano, Calasso leggeva l’ordinamento giuridico come prodotto della storia e quindi lo interpretava in diretto ed immediato rapporto con la realtà concreta della società nella sua evoluzione, una realtà illuminata e sostanziata dallo spirito, il quale non poteva non essere unitario e unificante. L’ordinamento giuridico, allora, veniva presentato quale espressione alta dello spirito di ogni epoca, nella sua natura unitaria che lo storico doveva individuare e ricostruire, cercando di individuarne la sostanza. In particolare in merito all’ordinamento giuridico medievale alla visione tradizionale Calasso, sin dai suoi lavori degli anni ’30, sostituì una lettura unitaria e sistemica. A suo parere la molteplicità di norme e di fonti del periodo era tenuta insieme dall’elemento unificante costituito dal Sacro Romano Impero, diretto erede di quello dell’antichità, il quale da quest’ultimo si distingueva perché al carattere temporale aggiungeva quello spirituale e religioso. La dottrina giuridica medievale aveva teorizzato come diritto proprio dell’Impero medievale, vigente in tutte le regioni di questo, il diritto romano giustinianeo, ne aveva elaborato una lettura originale che lo adeguava alle necessità della società contemporanea, e lo aveva affiancato all’altro diritto universale, quello canonico. Si trattava, perciò di due diritti entrambi universali, corrispondenti alla natura bifronte dell’Impero medievale tendenzialmente universale, due diritti che, pur avendo ciascuno il proprio specifico ambito di applicazione, erano tra loro inscindibilmente legati così come lo erano i due profili dell’Impero. Diritto romano e diritto canonico, allora, nell’interpretazione creativa della dottrina medievale, costituivano l’utrumque ius, il diritto comune a tutti i popoli dell’Impero. Diritto comune, non già diritto unico, dato che non era il solo vigente nelle terre dell’Impero. Queste infatti erano segnate, come si diceva, dalla molteplicità degli ordinamenti e delle realtà locali: e il diritto comune entrava necessariamente in relazione con tali diritti particolari, definiti come iura propria. Secondo Calasso il rapporto tra diritto comune e diritti particolari era disciplinato da una ordinata gerarchia di fonti, secondo la quale dal diritto dell’ordinamento più piccolo si saliva gradualmente fino a quello dell’Impero. Il diritto medievale, dunque, poteva essere qualificato come sistema, un sistema per più aspetti diverso da quello ricostruito dalla dottrina per i vari momenti del diritto vigente, dato che si trattava sostanzialmente di un sistema di fonti. Era comunque un sistema che consentiva una lettura unitaria e razionale della molteplicità e guidava lo storico alla corretta interpretazione dei diritti e degli ordinamenti medievali.

Non solo. La lettura del diritto come prodotto della storia sollecitava Calasso a contestare la tesi, che aveva trovato in Savigny la sua più autorevole espressione, secondo la quale il diritto medievale altro non era che una mera riedizione ammodernata del diritto romano: la scienza giuridica avrebbe dunque proseguito senza innovazioni sostanziali l’interpretazione dei grandi maestri del periodo romano. Calasso, al contrario, individuava una chiara distinzione tra i due periodi. La rinascita degli studi giuridici, che aveva dato inizio alla grande dottrina di diritto comune, era avvenuta nel secolo XII nel quadro della rigenerazione dello spirito umano legata al rinnovamento della vita economica e della nuova temperie culturale che vedeva come forze protagoniste la Chiesa e l’Impero. Il diritto risorto a nuova vita all’interno di questa ripresa spirituale, aveva acquisito allora caratteri originali che lo distinguevano nettamente dall’esperienza antica di Roma, caratteri originali costituiti essenzialmente dal fatto che le norme erano intese come plasmate dall’aequitas, vera forza creativa, orientata verso l’ideale di una giustizia fondata su valori superiori di moralità, giustizia, razionalità. L’aequitas costituiva, dunque, lo spirito del diritto comune, illuminava le norme giuridiche, imponeva all’interprete di superare una loro visione meramente positivistica per impegnarsi nell’individuazione dei principi etici superiori cui il diritto doveva rispondere. Idee, queste, che Calasso espresse in maniera compiuta nella prolusione pronunciata in occasione dell’inizio del suo insegnamento nella facoltà giuridica di Roma nel 1946, prolusione della quale si avvalse anche per esaltare l’indispensabile conformità degli ordinamenti giuridici ai principi e ai valori eterni di giustizia, equità, razionalità, unico baluardo contro il ripetersi delle esperienze totalitarie vissute dall’Europa negli anni immediatamente precedenti.

Questi contributi di grande originalità e profondità trovarono compiuta espressione nel Medioevo del diritto, che, arricchito da altre importanti interpretazioni (tra le quali mi limito a ricordare la ricostruzione della dottrina che aveva teorizzato per prima, nel regno di Sicilia, la piena potestà dei sovrani particolari), era diretto alla formazione culturale e civile degli studenti. E questi ultimi, finalmente liberati dal mero nozionismo degli altri manuali, venivano introdotti nel cuore profondo dell’ordinamento giuridico, sollecitati alla sua conoscenza, affascinati dalla scrittura straordinariamente efficace e piena di pathos usata da Calasso, la quale li conduceva  alla conoscenza di un mondo ricco di contenuti elevati ed esemplari.


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