Una sanità a rischio
Il Sistema Sanitario Nazionale, istituito nel 1978, è ispirato a tre principi: universalità; eguale qualità nell’offerta del servizio; equità, secondo il bisogno di ciascun cittadino.
Nel 2018 la spesa pubblica per la sanità era pari al 6,5% del Pil (si arrivava all’8,8% con la spesa privata). La percentuale era del 7% nel 2010.
L’attuale (2018) è inferiore a quelle di Germania (9,5%), Francia (9,3%), UK (7,5%). Anche pro capite la spesa pubblica italiana per la sanità (2545 dollari) è inferiore a quelle tedesca (5046), francese (4141), inglese (3138).
L’Italia ha 4,0 medici per 1000 abitanti, più della media UE (3,6), ma meno infermieri (5,8 rispetto a 8,5). Soprattutto ha meno posti-letto (3,2 rispetto a 5,0 nella UE), in particolare nel rapporto tra posti-letto e terapia intensiva. Nel 2000 i posti letto erano in Italia 3,9 (5,7 nella UE).
Più in generale gli investimenti pubblici nella sanità italiana sono stati tagliati, a prezzi costanti, da 3,5 miliardi di euro nel 2010 a 1,4 miliardi nel 2017. Cumulativamente nel 2011-2017 (rispetto al 2010) si sono spesi 10 miliardi di meno. Ancor più grave è che nell’intero periodo 2000-2017, pro-capite, gli investimenti pubblici al Sud si siano ragguagliati solo a un terzo rispetto a Emilia e Toscana. Quelli in Calabria – i più bassi fra le regioni del Paese – sono stati addirittura pari solo al 9% rispetto alla provincia di Bolzano e al 14% rispetto alla provincia di Trento. Ma persino la ricca Lombardia ha investito pro capite solo la metà di Emilia e Toscana e il 10% meno della media nazionale (cfr. G. Viesti, Gli investimenti pubblici nella sanità italiana, in “eticaeconomia”, marzo 2020).
La sanità italiana è quindi destinata a scadere nelle graduatorie mondiali, dal nono posto su 195 paesi assegnatole dalla rivista Lancet nel 2017.
I principi ispiratori del Sistema non sono stati rispettati.