Presentazione del documento “L’Italia e l’Unione Europea in un mondo in pericolo: le ragioni di una scelta” con la partecipazione del Prof. Romano Prodi.
Il 21 settembre 2017 il Prof. Romano Prodi ha discusso nella sede di ApertaContrada il documento “L’Italia e l’Unione Europea in un mondo in pericolo: le ragioni di una scelta” predisposto da ApertaContrada e dal Circolo di Studi Diplomatici.
Il Prof. Filippo Satta, direttore responsabile di ApertaContrada, e l’amb. Gianfranco Verderame, Presidente del Circolo di Studi, hanno presentato il documento congiunto, che costituisce una testimonianza di fedeltà ai valori fondanti dell’Unione Europea, nella convinzione che essa sia essenziale per i paesi dell’Europa. Questa testimonianza è apparsa indispensabile in un momento in cui per la prima volta l’Unione viene contestata dall’interno, anche alla luce della Brexit e delle vicende che interessano l’Europa centro-orientale.
Il Prof. Prodi, nel concordare con i contenuti dello scritto e con la sua tempestività, ed in particolare con le manifestate esigenze di maggiore integrazione e democratizzazione dell’Unione e di promozione di un migliore equilibrio tra i paesi che ne fanno parte, ha invitato a volgere lo sguardo alle prossime sfide che l’Unione europea dovrà affrontare.
L’intervento integrale del Prof. Prodi può essere ascoltato in questa stessa pagina. Quella che segue è una sintesi redazionale dei temi principali evocati dal Presidente Prodi ed approfonditi nel corso del dibattito, raggruppati in tre aree: una prima attiene alla costruzione delle politiche europee, con particolare riferimento al ruolo della Francia e dell’Italia. Una seconda attinente alla politica estera dell’Unione, con riguardo anche ai rapporti con gli Stati Uniti e il Regno Unito. Una terza relativa alla politica interna dell’Unione, sia rispetto alle politiche monetarie, istituzionali e sociali, che ai possibili moti centrifughi.
Il ruolo della Francia nello sviluppo politico dell’Unione
Un primo tema affrontato nel corso del dibattito ha riguardato la centralità del ruolo della Francia per lo sviluppo politico dell’Unione. Dopo la vittoria elettorale di Macron e l’ottimo discorso di Junker sullo stato dell’Unione dinanzi al Parlamento Europeo, con le elezioni tedesche la linea non dovrebbe subire grandi cambiamenti anche se la signora Merkel dovesse essere costretta a negoziare accordi di governo con partner diversi dagli attuali e che esprimono posizioni sempre più rigide specie in relazione alla gestione dell’Unione Economica e Monetaria.
Sarà importante capire le intenzioni della Francia, in quanto se la piattaforma elettorale e le enunciazioni di Macron appaiono tendere convintamente allo sviluppo di una forte identità europea autonoma anche rispetto alle ambiguità dell’attuale amministrazione americana, l’azione concreta è apparsa invece più concentrata su aspetti prevalentemente nazionali (si pensi all’atteggiamento nei confronti delle vicende dei cantieri navali, delle regole professionali, dell’immigrazione).
Una diversa costruzione e nuove politiche dell’Unione Europea sarebbero possibili se la Francia equilibrasse la forza della Germania con il coinvolgimento di Italia e Spagna, anche se il modello prevalente al quale essa si ispira appare ancora quello del dialogo privilegiato con Berlino. In questo quadro, anche i poteri collegati al seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e la disponibilità dell’arsenale nucleare sono strumenti che la Francia dovrebbe condividere nell’ambito dell’Unione.
È comunque un fatto difficilmente eludibile che la realizzazione di riforme istituzionali verso una maggiore integrazione dipenda soprattutto dalla Francia e dalla Germania. La Francia si trova tuttavia in una condizione di debolezza rispetto alla Germania: bassa produttività, produzione industriale inferiore nel fatturato anche a quella dell’Italia (e caratterizzata da non buone relazioni industriali e forte assenteismo), bilancia commerciale in sofferenza. Di contro, può vantare la presenza di proprie potenti multinazionali (nel sistema distributivo, finanziario, dell’alta moda, delle automobili, dell’aerospazio) e il suo ruolo strategico in Africa. Dovrebbe tuttavia coltivare una rete di rapporti più ampia per rafforzare la propria posizione rispetto alla più forte Germania.
Il ruolo dell’Italia nella costruzione di una politica europea
Nel quadro sopra delineato l’Italia dovrebbe assumere e svolgere un ruolo propositivo che le consenta, in linea con la sua tradizione, di restare nel gruppo dei paesi che possono e vogliono impegnarsi nel rafforzamento delle politiche interne ed esterne dell’Unione. Ma la voce dell’Italia nella costruzione di un nuovo equilibrio in Europa è oggi frenata dalle sue condizioni politiche e istituzionali. E l’instabilità ne mina il peso anche nella determinazione della politica estera europea. Eppure l’Italia è capace di esprimere una politica estera di grande equilibrio ed efficacia: il rapporto con gli USA è sempre stato buono, vi è sempre stato un sentimento di fiducia nei confronti dell’Europa, i rapporti con la Russia sono sempre stati stabili, al di là di chi governasse in Italia, le forze politiche, tranne quelle antisistema, sono unite intorno agli elementi di fondo della nostra politica estera. Ora non siamo però in grado di contribuire adeguatamente alla determinazione della politica estera europea perché a livello politico interno mancano continuità e unità. L’imprevedibilità di Trump (v. infra) inserisce inoltre un elemento di incertezza nel quadro consolidato dei rapporti prima tratteggiato, che ne potrebbe influenzare le evoluzioni.
La politica estera: il rapporto con gli Stati Uniti e il Regno Unito.
Nel rapporto con gli Stati Uniti la Cancelliera Merkel, come si è visto anche nella gestione della crisi ucraìna e delle sanzioni alla Russia si è presentata come interlocutore privilegiato, occupando un posto storicamente riservato al Regno Unito. Purtroppo la politica di Trump, all’inizio di forte critica e sospetto verso l’Europa poi, su suggerimento soprattutto dei consiglieri militari, apparentemente meno squilibrata, resta del tutto imprevedibile. Così come, del resto, è stata altalenante la posizione assunta nei confronti della Russia e della Cina, con il rischio di favorire una per noi problematica alleanza strategica ed economica tra le due potenze, pur con tutte le difficoltà che la sua realizzazione presenterebbe. L’Europa deve elaborare una propria politica, con l’assunzione dei relativi oneri militari, che contribuisca alla sicurezza collettiva senza affidarla quasi esclusivamente all’ alleato americano in una fase, come l’attuale, nella quale prevale l’incertezza sulla costanza del suo impegno.
Nella costruzione di una politica estera e di sicurezza, con l’uscita del Regno Unito l’Unione Europa non potrà più disporre di quelle forze armate che restano le più efficienti, anche se indebolite da progressive riduzioni di uomini e mezzi. Ma è anche vero che il Regno Unito ha nel corso di questi anni costantemente frenato i processi di integrazione anche in questo campo, operando per lo più in modo svincolato dall’Unione.
La politica estera dell’Unione Europea nel Medio Oriente e nel Mediterraneo
Rispetto agli scenari di politica estera, nel Medio Oriente risulterà centrale l’atteggiamento della Francia, guidata nel Nord Africa e nel sub Sahara da interessi molteplici non solo relativi al petrolio. In Siria i rapporti, prima ottimi ai tempi di Al-Asad senior, si sono deteriorati a seguito dell’uccisione di Hariri. Bisognerà capire come si consolideranno i nuovi atteggiamenti che sembrano emergere dopo gli ultimi sviluppi nel paese.
Manca una politica europea nel Mediterraneo mentre vi è una forte politica francese. Laddove i francesi puntano ad una ripartizione della Libia, nella direzione di un controllo sulla Cirenaica, l’Italia deve ricostruire il proprio rapporto con l’Egitto. Il nostro paese ha compiuto gravi errori politici in Egitto, India, Iran, spesso legati alle modalità di gestione di singoli casi. Più in generale, l’Europa dovrebbe cogliere il senso della storia nello sviluppo africano: ci sarebbe spazio per un grande accordo con la Cina, che ha bisogno dell’Africa e ivi incontra grandi difficoltà. Un progetto di sviluppo comune per cibo, materie prime, energia, infrastrutture, sviluppo industriale potrebbe essere proficuo per entrambe, aiuterebbe l’Europa sull’immigrazione e ne consentirebbe una utile presenza, in chiave non colonialista.
La politica interna dell’UE: politica monetaria e riforme istituzionali
Nell’esame delle politiche interne dell’UE, è emerso anzitutto il tema della politica monetaria. Attualmente la Polonia è l’unico grande paese fuori dell’area dell’Euro, e la tenuta di consensi della posizione antieuropeista di Kaczyński è molto forte, anche perché corroborata dalla crescita economica della Polonia, peraltro frutto proprio delle politiche di sostegno europee. Non è imminente l’estensione dell’Euro ad altri paesi ma vi è la necessità di rafforzamento dell’Eurozona. Dalla gestione sia pure pasticciata del caso greco risulta comunque evidente che si vuole che la moneta unica resista: si sono trovati gli strumenti per mantenere la Grecia nell’area dell’Euro, il che prova che per la politica europea non c’è alternativa al mantenimento e al rafforzamento della moneta.
Volgendo invece lo sguardo alle riforme istituzionali, vi è un apparente crescente consenso verso l’istituzione della figura di un Ministro del Tesoro e delle Finanze europeo o più precisamente dell’Eurozona, mentre c’è discussione sulla sua configurazione: la Germania vorrebbe che effettuasse una severa vigilanza sulle finanze degli Stati, laddove Macron, Juncker e il governo italiano lo vedrebbero più quale responsabile politico di un bilancio comune e in funzione di un rafforzamento del ruolo della Commissione.
In merito al tema dell’Europa “a due velocità”, basta guardare alla Polonia e agli altri Stati dell’Europa Centro Orientale perché appaia evidente come in Europa vi sia un nucleo di Paesi che vuole andare verso una maggiore integrazione e un altro che rifiuta questa prospettiva.
Infine, di allargamento dell’Unione attualmente non si parla, ma prima o poi anche i paesi dell’ex Yugoslavia vi dovranno entrare se si consolida un processo di integrazione differenziata nel quale vi è spazio per loro nel cerchio più ampio, soprattutto per rafforzarne la stabilità. Invece, viste le recenti vicende, è da escludere un’entrata nell’Unione della Turchia in questa fase storica quale che sia la sua evoluzione interna.
La politica interna: le tendenze centrifughe
Se invece si guarda alle situazioni interne dei paesi europei e si prende come riferimento la vicenda catalana, emerge il paradosso di una pulsione indipendentista che si pretende non in contrasto con il valore dell’integrazione e che si richiede anzi all’Unione di difendere in nome di una superiore identità europea. Si vorrebbe così trasformare l’Unione in strumento di disintegrazione, contrapponendo l’appartenenza all’Europa all’integrità territoriale spagnola e presentando la secessione, sempre che ad essa sia favorevole la maggioranza dei cittadini catalani, cosa tutt’altro che evidente, come una lotta per l’indipendenza senza costi da affrontare, quasi che la continuazione dei vantaggi ricavati dai catalani dall’appartenenza all’Unione fosse scontata anche dopo l’eventuale indipendenza. Resta comunque il fatto che un approccio puramente repressivo non è appropriato. È in questo contesto da guardare con attenzione anche al referendum lombardo veneto che si corre il rischio di sottovalutare perché non vincolante e perché a differenza dell’istanza secessionista catalana, che si regge su una diversa lingua e su una diversa storia, ha solo ragioni economiche che vanno comunque contro i principi della solidarietà all’interno di una comunità, sia essa nazionale o europea.
La politica interna: le politiche sociali
Infine, laddove in un sistema economico nel quale i paesi forti crescono più dei piccoli, la politica di coesione europea serve a riequilibrare le posizioni. È in corso di elaborazione un progetto con le Casse Depositi e Prestiti europee sul welfare centrato su scuola, sanità e social housing, di dimensioni enormi (0,3-0.8 del PIL europeo): esso sarebbe importante, perché il welfare è il dono che l’Europa ha fatto al mondo, e perché la realizzazione di tale progetto cambierebbe la percezione dell’Europa, che nella percezione popolare appare attualmente governata solo da banchieri e finanzieri. Si tratta di orizzonti aperti.
Documento collegato: L’Italia e l’Unione Europea in un mondo in pericolo: le ragioni di una scelta