La razionalità limitata, l’uso di euristiche e gli errori nell’applicazione di leggi statistiche e probabilistiche: il caso dell’euristica della “rappresentatività”
Gli psicologi israeliani Daniel Kahneman e Amor Tversky misero in evidenza, fin dall’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, come gli individui, nell’elaborare le informazioni e nel prendere decisioni, facessero uso di “euristiche”, le quali sono rappresentate da meccanismi cognitivi semplificati che non esigono procedimenti mentali complessi e che permettono, in molti casi, di compiere scelte razionali.. Attraverso il ricorso ad esperimenti essi dimostrarono in modo empirico proprio come l’individuo fosse generalmente dotato soltanto di una bounded rationality (una razionalità “limitata”) e quindi non di razionalità perfetta. Sulla base di tali esperimenti si confermava che decisioni vengono quindi prese in condizioni di razionalità “limitata”. In particolare l’interesse dei due studiosi riguardò l’applicazione delle euristiche nella elaborazioni di decisioni che richiedevano l’applicazione dei principi statistici e delle regole del calcolo delle probabilità.
Essi notarono il fatto che, in forza dell’applicazione di queste euristiche, gli individui incorressero – in talune ipotesi – nei “bias”, cioè in deviazioni dalla razionalità non casuali ma “sistematiche”. In quanto sistematiche tali deviazioni risultavano essere anche prevedibili e, quindi, esse potevano condurre lo scienziato sociale ad anticipare i comportamenti non razionali degli esseri umani.
La scienza che i due studiosi fondarono e che prese il nome di “behavioral economics”(anche se essa seguiva il percorso già delineato dalla “psicologia cognitiva”) è stata utilizzata negli corso degli anni successivi alla pubblicazione dei loro lavori pioneristici per modificare il modello tradizionale dell’uomo che compie scelte e per tentare di sviluppare previsioni più precise dei comportamenti umani nelle situazioni di scelta. La capacità decisionale dell’uomo reale non venne più a coincidere con la perfetta razionalità di quell’homo oeconomicus che popolava i manuali di economia (Baffi 2015).
In questo contesto, le euristiche sono appunto tipicamente considerate delle regole semplici con cui possano essere prese decisioni.
Quando una decisione deve essere presa in contesti di incertezza, un decisore razionale deve fare affidamento sull’applicazione dei principi statistici e del regole del calcolo delle probabilità. Il problema che si pone in questi casi è quello di verificare il modo in cui tali principi e regole vengono applicati dagli individui, considerando il fatto che essi utilizzano le euristiche e che tale uso può portate ai bias.
I due studiosi delle behavioral economics hanno individuato tre euristiche principali (l’euristica della rappresentatività, l’euristica della disponibilità e l’euristica dell’ancoraggio) alle quali deve essere affiancata una quarta euristica (l’euristica degli affetti) elaborata da Slovic e dai suoi colleghi (Slovic & Lichtenstein 1968).
Un gran numero di bias che consegue ad un’errata applicazione dei principi statistici e delle regole del calcolo delle probabilità si ha in forza dell’uso di quella euristica che è stata definita come “euristica della rappresentatività”. L’esame di essa permette, in particolar modo, di evidenziare come gli individui incontrino limiti cognitivi nell’applicazione dei principi statistici e delle regole delle probabilità.
Tale euristica viene utilizzata dalle persone nel caso in cui in cui si deve collocare qualcuno, qualcosa o qualche evento in apposite categorie.
I giudizi che vengono fatti nel processo di categorizzazione delle persone, delle cose o degli eventi a volte possono non tener conto delle probabilità, e ciò in quanto l’euristica della rappresentatività conduce gli individui a categorizzate persone o cose o eventi in base alla loro “somiglianza” o al loro grado di “rappresentatività” di una certa categoria.
Kanheman e Tversky definiscono l’euristica della rappresentatività come “the degree to which [an event] (i) is similar in essential characteristics to its parent population, and (ii) reflects the salient features of the process by which it is generated” (Kahneman & Tversky 1972)
I giudizi vengono quindi fatti in base a quanto simile è un oggetto, un evento o una persona rispetto ad una categoria di riferimento. Nel compiere questa operazione gli individui commettono errori nell’applicazione dei principi statistici e delle regole del calcolo delle probabilità che sono sistematici.
Più precisamente, quando gli individui utilizzano, nella elaborazione dei propri giudizi e delle proprie decisioni, l’euristica della rappresentatività, essi possono incorrere in errori perché il fatto che qualcosa o qualcuno o qualche evento sia “rappresentativo” (cioè “simile”) rispetto ad un certo gruppo non significa necessariamente che sia “più probabile” che quell’individuo o quell’evento appartenga a quel gruppo.
Nell’applicare l’euristica della rappresentatività la persona individua, in primo luogo, una popolazione di riferimento ed un certo evento. La rappresentatività sta ad indicare il livello di somiglianza dei due concetti. Tanto più l’evento presenta le caratteristiche della popolazione di riferimento tanto più la rappresentatività è elevata (Tversky & Kahneman 1973).
In particolare, le persone sembrano in questi contesti riferirsi esplicitamente a delle situazioni similari È, allora, possibile incorrere in errore proprio considerando fenomeni falsamente similari da un punto di vista statistico.
Sono state identificate diverse situazioni in cui l’applicazione dell’euristica della rappresentatività conduce ad errori sistematici di giudizio e di scelta.
È questa, in primo luogo, la situazione in cui un determinato agente si trovi di fronte ad un determinato evento che possa ricondurre a livello mentale ad un altro fenomeno passato. In tale situazione i meccanismi cognitivi tendono ad ingannare l’agente economico proponendo una possibile causa comune dei due fenomeni diversi. L’individuo, cioè, in forza della similarità fra due eventi, è condotto a ravvisare un identico processo causale degli stessi. In questo caso, quindi, l’errore consiste nell’individuare cause comuni a gruppi di eventi che hanno invece origini in realtà diverse seppure tali eventi siano – appunto- “similari”. Per mezzo di tale euristica l’individuo può essere spinto a compiere errori poiché non è sempre corretto definire inferenze sulle relazioni di causa ed effetto in presenza della sola similarità. Grazie alla similarità l’individuo viene portato a ricostruire relazioni false di cause ed effetto.
Un secondo fenomeno riconducibile all’euristica della rappresentatività è quello rappresentato dalla “fallacia della congiunzione”. Essa rappresenta una errore logico e probabilistico e consiste nel ritenere come maggiormente probabile il verificarsi della congiunzione di due eventi rispetto alla probabilità del verificarsi di uno dei due costituenti.
L’esperimento più noto in cui si è evidenziato questo errore di ragionamento è stato ideato da Tversky e Kahneman (1983) ed è il famoso caso di Linda, proposto agli intervistati nella seguente formulazione: “Linda ha 31 anni, è single, intraprendente e molto intelligente. Si è laureata in Lettere. Come studentessa era molto interessata ai temi della discriminazione e della giustizia sociale, ed ha anche partecipato in una dimostrazione contro l’energia nucleare.”