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Riflessioni a margine del libro «Il giudice e l’economia» di G. Montedoro*

di - 23 Novembre 2015
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Conseguentemente, si spiega come la tesi fondante della costruzione ipotizzata da Montedoro sia incardinata sulla predisposizione di un indissolubile legame tra i termini di ‘democrazia’ e ‘rappresentanza’; legame che si individua soprattutto nei contesti liberali occidentali (finendo con l’essere in un certo senso sinonimi). È per tal via, infatti, che diviene possibile dare pienezza esplicativa al processo di trasformazione (attraverso l’attività dei rappresentanti) della volontà popolare in «atti di governo», come il nostro A. tiene a precisare. Ed è su tale base concettuale che Giancarlo addiviene alla conclusione secondo cui l’apparato di vertice dell’ordinamento europeo appare ancora lontano dalla configurabilità di un modello dotato di sufficiente capacità di coesione, tale cioè da far ritenere preservati e difesi gli ideali di una politica viva che garantisca diritti e libertà.
Vengono, quindi, in considerazione «l’amministrazione e la politica», che Montedoro in uno scritto successivo alla pubblicazione del volume ‘Il giudice e l’economia’ definisce «la cittadinanza nelle sue varie forme»; i legami tra le medesime sono ritenuti meritevoli di protezione, anche da improprie supplenze della magistratura e dall’abuso del processo intentato da poteri privati. Ancora una volta, l’attenzione viene incentrata sulla necessità di una politica preordinata a «migliorare la fattura delle leggi e cercare di guardare alla giustizia, anche a quella amministrativa, come uno strumento sempre necessario per la difesa giuridica dei governati»; ciò senza escludere l’esigenza di  potenziare la funzione giustiziale dell’amministrazione e la pregiudizialità amministrativa «per dare certezza del diritto all’amministrazione». Si è, dunque, in presenza, di una tesi che – nel fornire la giustificazione teorica delle moderne tecniche di Alternative dispute resolutions, adottate in ambito bancario finanziario (si pensi all’«Arbitro Bancario Finanziario», istituito presso la Banca d’Italia, ed alla «Camera di conciliazione», operante presso la Consob) – valorizza la funzione consultiva dell’Amministrazione (esercitabile soprattutto in ambito economico) ed induce ad un ripensamento complessivo del ‘diritto di difesa’, sì dà conformarlo maggiormente alle realtà di altri paesi europei.
È evidente come, in tale contesto, la politica identifichi un prius rispetto all’ economia. Si comprende la ragione per cui le determinanti di quest’ultima – pur rappresentando un cardine essenziale dei disegni preordinati allo sviluppo dei paesi che si muovono in una logica di continua autoriforma ed intendono aprirsi ad innovative forme di ammodernamento culturale – di certo devono avere la loro naturale collocazione nei ‘centri decisionali’ della politica. È presso tali ‘centri’ che devono essere assunte le scelte concernenti la progettualità economica da parte di coloro i quali operano in virtù delle funzioni di rappresentanza ad essi riconosciute nei sistemi democratici; è questa l’unica modalità possibile per ricondurre al consenso dei cittadini (coinvolgendoli nelle opzioni preferenziali adottate) soluzioni spesso gravide di conseguenze onerose a loro carico. Da qui l’esigenza di  addivenire ad una «formula ordinatoria» del sistema produttivo in grado di coordinare le direttive della politica con il tecnicismo dell’attività amministrativa, quale si individua nella formazione di regole caratterizzate da peculiare flessibilità ed elasticità, in linea con un’ottimale gestione e sviluppo dell’economia. Questa tesi, condivisa da ampia parte della dottrina, trova significativa conferma nel libro che qui presentiamo, laddove si sottolineano le conseguenze critiche dei «cambiamenti della costituzione materiale imposti dalla nuda logica economica…  (che) … precede la politica, oscurando così l’azione del soggetto moderno, chiamato usualmente a progettare, mediante la politica, il suo destino, al di fuori di ogni condizionamento derivante dalla sfera del sacro» (p. 23).
Da ultimo, ritengo che vadano segnalate le considerazioni che il nostro A. svolge sul «diritto dell’emergenza strumento invocato dai governi per affrontare la crisi  ….  regno dell’atipicità, dell’interesse pubblico evidenziato in chiave decisionistica, sganciato dalla normatività». Esse, a mio avviso, riflettono un senso di sfiducia verso l’effettività del «potere costituente che si sta dispiegando nel tempo presente… (considerate le sue) … modalità ed i livelli di svolgimento, fra formale ed informale, fra sovranazionale e nazionale». È questa una nota conclusiva che, per quanto enunciata solo sommessamente, mi sembra si annidi nel sottofondo del pensiero di Giancarlo Montedoro, specie quando si sofferma ad evidenziare le difficoltà del «comune procedere dei paesi UE verso forme di progressiva limitazione di sovranità», in un contesto contraddistinto «dall’eco di mai sopite tendenze euroscettiche e dall’insorgere d’istanze volte a recuperare le identità nazionali».

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