Il dilemma «in or out» dell’EU
Sommario: 1. Dal disorientamento identitario dell’EU …- 2. Segue:… ad un avvertito senso di comune appartenenza: Je suis Charlie.
1. Dal disorientamento identitario dell’EU…
Il processo involutivo dell’UE – che, nei tempi più recenti, ha messo in crisi una lunga storia di speranze e di aspettative per la realizzazione di una ‘casa comune’ – a ben considerare è indicativo di una situazione caratterizzata da separazioni culturali, nonché dal permanere di logiche domestiche legate al mancato conseguimento di adeguate forme di omogeneizzazione all’interno del contesto regionale europeo.
Appare sempre più diffuso il convincimento che l’intensificarsi delle relazioni economico finanziarie tra i paesi dell’Unione (sviluppatosi in oltre mezzo secolo di crescente interazione tra i medesimi) non è stato sufficiente a creare l’amalgama identitaria necessaria per addivenire ad una integrazione tra le popolazioni di quei paesi. Non si sono verificate le condizioni per l’affermazione di un senso di appartenenza ad un’unica realtà socio politica, idonea a connotare e legittimare la presenza di uno Stato/nazione. Il sogno di veder realizzati gli ‘Stati Uniti d’Europa’ è divenuto evanescente: esso sembra destinato a perdersi nelle nebbie di un oscura conservazione, incentrata sul ‘primato dell’interesse’ e lontana dai ‘valori’ che si pongono a fondamento delle civiltà progredite.
Il mercato e le sue regole di stretta riferibilità alla ‘convenienza economica’ – per quanto sia in grado di promuovere lo sviluppo e, dunque, di recare indubbi benefici alla comunità di riferimento – è ritenuto, nell’opinione dei più, inadeguato ai fini di un congruo perseguimento degli ambiziosi obiettivi ad esso, nel secolo scorso, demandati dai padri fondatori della Comunità europea. L’ideologia di questi ultimi – mirata al raggiungimento di un’«unificazione» costruita attraverso un processo di graduale armonizzazione – è considerata carente sul piano delle concretezze; in particolare, i suoi limiti vengono rilevati con riguardo alla sostanziale incapacità dell’impianto ordinatorio dell’UE di abbattere le ‘barriere’ della diversità e di superare i ‘contrasti’ rivenienti da secoli di dure guerre intestine, aprendo la strada alla condivisione, alla coesione ed alla solidarietà.
Sotto altro profilo, la logica concorrenziale, per quanto volta a parificare gli interessi in campo, ha consentito che permanessero talune disuguaglianze connesse a (rectius: rivenienti da) pregresse posizioni di subalternità economica; essa non si è risolta, dunque, nella ‘panacea’ (da molti auspicata) che avrebbe dovuto porre rimedio a vetusti mali, correggendo vituperevoli tendenze alla mala gestio ed alla corruzione che, purtroppo, affliggono alcuni paesi dell’Unione. Un futuro di precarietà, di probabile disgregazione si profila all’orizzonte! Diviene sempre più concreto il pericolo di un’inversione del percorso sin qui seguito; inversione nella quale – a fronte della inascoltata richiesta di un cambiamento (volto ad attenuare le linee di un’insopportabile austerity) delle politiche gestionali dell’UE – diviene ipotizzabile una più ampia affermazione degli orientamenti euroscettici e delle forze che si propongono l’obiettivo di attuare una soluzione nella continuità di un processo, per certi versi ora disapprovato e che, comunque, non si vuole o non si può sostenere ulteriormente.
Si è in presenza di una realtà fenomenica che trova il suo epicentro nella stagnazione post-crisi; da qui la presa d’atto che si è forse giunti al triste momento in cui il processo di europeizzazione rischia di implodere. Di fondo, serpeggia il dubbio di aver dato vita ad un ‘equivoco istituzionale’, rappresentato dalla riferibilità ad un progetto di unificazione fondato soltanto sulla moneta, ritenuto idoneo a durare nel tempo nonostante risulti disancorato da una contestuale unificazione politica. In altri termini, ci si rende conto di aver disconosciuto il ruolo determinante che solo un’aggregazione di tipo politico è in grado di svolgere nel ricondurre ad unità posizioni ed interessi tra loro tradizionalmente distanti.
2. Segue:… ad un avvertito senso di comune appartenenza: Je suis Charlie.
Riscoprire i valori fondanti di un incontro tra paesi legati da una storia comune, da una fede religiosa riconducibile in via prevalente a radici giudaico-cristiane, da una condivisa aspirazione all’uguaglianza ed alla libertà (intesa nella sua valenza più ampia) è questo l’ineludibile presupposto di un impegno operativo che si prefigga di risolvere l’attuale situazione di difficoltà (dalla quale sono fortemente penalizzate le relazioni tra gli Stati dell’Unione). A ben considerare, non sembra esistano vie alternative per superare il contesto di profondo disagio nel quale oggi è costretta a vivere molta parte della popolazione del ‘vecchio continente’; ne consegue che solo ritrovando l’identità di una «cittadinanza europea» diviene possibile uscire dall’inerzia a fondamento della ‘crisi geopolitica’ da cui è scossa l’UE e, quindi, ipotizzare la fine delle gravi ‘turbolenze finanziarie’ che da molti anni recano a quest’ultima squilibrio e calamità.
Essere uniti nella diversità! Auspicare il conseguimento di uno status unitario che non conosca distinzioni nell’ambito dei popoli europei, sperare in un ‘nuovo umanesimo’ che non abbia pregiudizi e sia pronto ad abbandonare pregressi, consolidati confronti negativi tra i diversi paesi: è questo l’imperativo categorico che s’ impone per continuare a credere nel sogno europeo. Dovrà essere di guida in tale cammino la consapevolezza delle difficoltà connesse ad un procedere verso forme di reale convergenza; alle quali possa conseguire la realizzazione di un’osmosi effettiva all’interno di un’Europa i cui paesi membri siano finalmente disposti a dismettere abituali atteggiamenti critici, dettati essenzialmente dall’autoreferenzialità e/o dalla assunzione di un atteggiamento egemone.
Non v’è dubbio, peraltro, che in quest’ordine d’idee si delinea una prospettiva, un disegno che può apparire insidiato dal dubbio relativo alla sua fattibilità; una prospettiva che potrebbe, quindi, facilmente risolversi in un visionario wishful thinking, formulato da un nostalgico sognatore che non vuol rinunciare ad un progetto nel quale ha sempre creduto. È questo un dubbio che, tuttavia, viene sconfessato di fronte ad accadimenti che segnano la storia, scuotono le coscienze, avvicinano i popoli in un rinnovato senso di fratellanza, che li spinge a lenire il dolore attraverso la ricerca di strategie reattive comuni, di innovative risposte a difesa della propria libertà.
In particolare, ci si riferisce al triste evento del barbaro attacco terroristico che all’inizio del 2015 è stato portato alla capitale della Francia, ferendo non solo la città di Parigi, bensì l’intera Europa.
Al violento massacro che ha provocato rabbia e dolore in tutto il mondo occidentale ha fatto seguito una risposta da parte di tutti i cittadini della Francia e degli altri paesi UE che denota grande maturità. Le veglie che sono state fatte in numerose capitali europee (da Parigi a Berlino, da Roma a Londra), la scritta ‘Je suis Charlie’ apparsa su tanti muri e su migliaia di cartelli nelle piazze di moltissime città, la marcia (svoltasi a Parigi l’11 gennaio 2015) di una massiva rappresentanza dei Capi di Stato e di insigni esponenti della politica occidentale ci dicono che – come talora accade – in presenza di eventi traumatici si determinano condizioni che sollecitano unità, coesione e solidarietà. Il ‘sacrificio’ di chi è morto per difendere la propria libertà d’idee può assurgere così ad elemento catalizzatore nel dar vita ad un idem sentire in ambito UE; da esso può, quindi, venire la spinta ideologica a far ravvisare la necessità di riavviare e condurre a termine il processo di europeizzazione che, per motivazioni diverse, oggi sembra aver perso la carica propulsiva indispensabile per addivenire ad una sua conclusione in chiave politica[1].
Significativo, al riguardo, deve ritenersi il monito apparso su numerose testate della stampa specializzata; monito che, per la sicurezza dell’Europa, sottolinea l’esigenza di individuare una risposta razionale al fanatismo degli assassini incappucciati che hanno attaccato la redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo. Ciò, senza cadere nella ‘trappola’ di un fanatismo di segno opposto che si risolve in «spinte xenofobe», ma rispondendo «con gli Stati Uniti d’Europa e la forza politica del più grande mercato di consumo al mondo che decide finalmente di dire la sua non solo con la moneta unica»[2].
Note
1. Cfr. MAURO, Una nuova stagione, visionabile su www.repubblica.it_esteri_2015_01_12_news, ove si legge: «E l’Europa politica si è vista forse per una volta per le strade di Parigi in questa difesa della democrazia da parte di cittadini consapevoli di avere qualcosa per cui lottare e in cui credere perché è qualcosa che vale. Davvero, come ci ha detto in italiano il premier Valls in un boulevard intitolato a Voltaire, quello di ieri a Parigi può essere un giorno di svolta per l’Europa, l’inizio di una nuova stagione». ↑
2. Così NAPOLETANO R., L’anima e la ragione, visionabile su www.ilsole24ore.com_art_commenti-e-idee_2015-01-08. ↑