Corte di Corte di Cassazione Penale, sez. III, sentenza del 4 ottobre 2010 n. 35540
La Corte richiama il principio riconosciuto da costante giurisprudenza secondo cui la disciplina introdotta dall’art.183 e dall’allegato D) del D.Lgs. 152/2006, in conformità ai principi comunitari in materia, fornisce una chiara distinzione tra il concetto di rifiuto e quelli di sottoprodotto e di materia prima secondaria, così che si versa in materia di rifiuti, e non di sottoprodotti, nella ipotesi di materiale che non risulti con certezza destinato all’impiego diretto da parte dell’impresa senza dover ricorrere ad ulteriori attività di trasformazione preliminare. La Corte ha ritenuto corretto l’operato del Giudice di merito che, nel caso specifico, ha accertato che si è in presenza di sfruttamento di materiale di fiume e formazione del limo che costituisce rifiuto. L’accumulo del limo realizzato dal ricorrente per circa 10 anni, senza un progetto di destinazione e senza il progressivo reimpiego contrasta con la lettera e le finalità della legge e comporta un deposito incontrollato non soggetto ad alcuna procedura di destinazione e di regolarizzazione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Sez. III Penale
Composta dagli ill.mi Sigg.:
Dott. Onorato Pierluigi Presidente
Dott. Teresi Alfredo Consigliere
Dott. Lombardi Alfredo Maria Consigliere
Dott. Marini Luigi Consigliere est.
Dott. Gazzara Santi Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– Sul ricorso proposto da: TONON GIOVANNI, nato a San Fior ixx.ad.xxxx
– Avverso la sentenza emessa in data 4 Giugno 2009 dal TRIBUNALE DI PORDENONE, che lo ha condannato alla pena di 6.000,00 euro di ammenda in relazione al reato previsto dall’art.256, comma terzo del d.lgs. n.152 del 2006. Reato ritenuto con permanenza fino alla decisione di primo grado.
– Sentita la relazione effettuata dal Consigliere LUIGI MARINI
– Udito il Pubblico Ministero nella persona del CONS. GIUSEPPE VOLPE, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RILEVA
Il Sig. Tonon, quale legale rappresentante della “General Beton Triveneto Spa”, è stato tratto a giudizio per rispondere del reato previsto dal terzo comma dell’art.256 d.lgs. n.152 del 2006 per avere realizzato e gestito una discarica abusiva di limo, rifiuto prodotto dall’attività di lavaggio di inerti, in particolare accumulando il limo per un periodo di circa dieci anni fino a raggiungere una quantità di circa 88.600 metri cubi di materiale, come accertato in occasione del sopralluogo del 16 maggio 2006.
La sentenza impugnata ha ritenuto accertato, in fatto, che la società amministrata dall’imputato avesse acquisito nel 1988 la cava Ceolini, situata in Roveredo in Piano (PN), e che, essendo scaduta la concessione per l’attività estrattiva, la società avesse proseguito nell’attività di lavaggio degli inerti provenienti da una cava adiacente gestita dalla società medesima; che a partire dall’anno 2000, cessata anche l’attività della seconda cava, la società avesse continuato a svolgere attività di lavaggio di inerti, e dunque a depositare in località Roveredo in Piano materiali conferiti da terzi e materiali provenienti da altri luoghi in cui la società stessa operava attività estrattive; che il limo cosi ottenuto venisse accumulato in località Roveredo e, dopo una fase iniziale in cui veniva ceduto a terzi, fosse conservato per essere in futuro destinato al recupero della cava in conformità alla richiesta autorizzazione; che nelle more della definizione di tale procedura la società avesse ottenuto un’autorizzazione edilizia “in precario” per il deposito dei limi rilasciata nel dicembre 2006 e prorogata nel dicembre 2006; che, come riferito dal professionista che aveva curato la presentazione del progetto, il recupero della cava, per come previsto anche alla luce delle modifiche del Piano Regolatore Generale approvato nel 2005, avrebbe richiesto circa 110.000 metri cubi di limo da mescolare a terra vegetale.
A fronte di questa ricostruzione dei fatti, il Tribunale ha ritenuto che:
a) il limo accumulato dalla società senza essere nella sostanza destinato ad usi commerciali (le modestissime vendite effettuate in un primo tempo risultano minime e non rilevanti ai fini penali) costituisca rifiuto;
b) che le condotte anteriori all’anno 2000, consistenti nel lavaggio del materiale estratto dalla cava confinante gestita dalla società amministrata dal Sig. Tonon, non integrino reato in quanto escluse dalla disciplina sui rifiuti a mente dell’art.185, lett.d) del d,lgs. n.152 del 2006 (rifiuti risultanti dallo sfruttamento delle cave) e dell’interpretazione che di questa norma ha dato la Corte di Cassazione;
c) che le condotte successive all’anno 2000 e consistenti nel trattamento di materiali non provenienti da cava, ma da scavi da alvei dei fiumi, ricadono nella disciplina in terra di rifiuti;
d) ad esse non può applicarsi, infatti, la disciplina in materia di terre e rocce da scavo (art.8, lett.f-bis del d.lgs. n.22 del 1997 e, quindi, art.186 del d.lgs. n.152 del 2006);
e) né può applicarsi la disciplina sui “sottoprodotti” (art.186, lett.n del d.lgs. n.152 del 2006) in quanto la futura utilizzazione dei limi risulta indeterminata e del tutto eventuale: la società ha continuato ad accumulare ogni anno migliaia di metri cubi di limo anche dopo che il piano particolareggiato del 1998 non ebbe seguito, così che il materiale a rimasto privo di qualsiasi concreta destinazione per almeno sette anni, e cioè fino al progetto del 2005, che deve considerarsi anch’esso di risultato incerto se è vero che ancora nell’anno 2009 non ha avuto alcuna definizione;
f) le autorizzazioni “in precario” rilasciate dal Comune nel 2005 e nel 2006 possono sanare la violazione edilizia, ma non regolarizzare la gestione dei rifiuti;
g) la gestione dei rifiuti come sopra ricostruita non comporta la formazione e gestione di una “discarica” ai sensi della lett.d) dell’art.256 del d.lgs. n.152 del 2006 in quanto, al di là del dato letterale dell’art.2 del d.lgs. n.36 del 2003, deve rilevarsi che la società non ha posto in essere nessuna di quelle condotte (predisposizione dell’area; organizzazione gestionale) richieste dalla giurisprudenza per qualificare il concetto di “discarica”;
h) si è in presenza, dunque, di una condotta di deposito continuato e incontrollato di rifiuti non pericolosi all’interno dell’area produttiva gestita dalla società, condotta riconducibile alla previsione del secondo comma dell’art.256 citato.
Avverso tale decisione il Sig. Tonon propone ricorso tramite il proprio Difensore.
Il ricorrente sottolinea in punto di fatto, quale premessa ai motivi di ricorso, che sia per la cava di Porcia sia per la cava di Roveredo i P.R.G. in corso di emanazione di entrambi i comuni interessati prevedono il recupero paesaggistico e funzionale delle aree e che in questa prospettiva il Comune di Roveredo aveva autorizzato lo stoccaggio del limo; sottolinea, inoltre, che le due amministrazioni comunali e l’amministrazione provinciale nel corso degli anni hanno prospettato soluzioni diverse per il recupero delle aree di cava, con la conseguenza che la società “General Beton” ha avviato tramite l’arc. Durante più di uno studio e più progetti, tutti richiedenti l’impiego di quantità di limo maggiori di quelle depositate in sito.
Rilevato che il Tribunale ha nella sostanza aderito alla ricostruzione dei fatti prospettata dall’arc. Durante e confortata dalla documentazione in atti, il ricorrente censura le conclusioni cui il Tribunale stesso è giunto.
In particolare, il ricorrente lamenta vizio di motivazione, per contraddittorietà, illogicità e travisamento dei fatti, ai sensi dell’art.606, lett.e) c.p.p.. Appare, infatti, contraddittorio e illogico affermare, da un lato, che la società ha “abbandonato” il limo (pag.3 della sentenza), cosi da escludersi la riconducibilità del materiale alla disciplina dei sottoprodotti, e poco dopo affermare che la società intendeva utilizzare il limo per le attività di recupero ambientale senza ricorrere ad alcuna trasformazione preliminare dei materiali stessi. Sussiste, poi, una ulteriore contraddizione: dopo avere affermato che a partire dal 1998, epoca dell’abbandono del progetto di recupero previsto dal P.R.G., il limo venne depositato e accumulato senza alcuna destinazione certa, secondo la stessa sentenza (pagg.1 e 2) risulta accertato che il materiale veniva conservato in vista dell’impiego nel riempimento della cava di Roveredo e nei lavori di terrazzamento.
Inoltre, il Tribunale incorre nel vizio di travisamento della prova allorché ritiene che la destinazione del limo al reimpiego fosse meramente eventuale e incerta; sia le dichiarazioni testimoniali sia la produzione documentale (si veda, tra l’altro, l’autorizzazione provvisoria rilasciata dal Comune) depongono, invece, in senso nettamente contrario.
Infine, deve osservarsi che la stessa Corte di cassazione (sentenza n.5315, udienza 11 ottobre 2006) ha affermato che il limo destinato al reimpiego nel recupero della cava stessa rappresenta “sottoprodotto”.
Con memoria depositata in data 7 aprile 2010 il ricorrente ha confermato i motivi già presentati e si soffermato sulle conseguenze che deriverebbero da un ordine di rimozione del limo.
OSSERVA
La Corte ritiene che le difficoltà prospettate dal ricorrente con riferimento alle decisioni che l’ente pubblico competente è chiamato ad adottare sul versante urbanistico non possano avere rilievo decisivo al fine di valutare la qualificazione giuridica dei fatti che gli sono contestati. Tale considerazione comporta che non sussistono rapporti diretti tra la decisione odierna della Corte e la destinazione che il limo accumulato potrà conoscere in futuro, posto che tale destinazione dovrà essere in concreto valutata alla luce delle determinazioni dell’ente territoriale e delle scelte che esso compirà alla luce della situazione di fatto che si verrò a determinare.
Sgombrato così il campo da argomenti che vanno ricondotti alla sfera del “fatto” e non possono trovare ingresso in sede di giudizio di legittimità, la Corte rileva che correttamente il giudice di merito ha escluso che a partire dall’anno 2000 le condotte contestate al Sig. Tonon siano riconducibili alla gestione della cava, come invece avveniva in precedenza con conseguente applicazione della disposizione contenuta nella lett.d) dell’art.185, ed affermato che a partire da tale data si a in presenza di sfruttamento di materiale del fiume e di formazione di limo, che costituisce rifiuto (si veda, Terza Sezione Penale, sentenza n.10711 del 28 gennaio – 11 marzo 2009, Pecetti, 243108) ed a qualificabile come sottoprodotto soltanto in presenza di specifiche condizioni, nella specie non sussistenti.
Sul punto deve richiamarsi, poi, la costante giurisprudenza di questa Sezione (per tutte si rinvia alla sentenza n.. 37303 del 04/10/2006 – 10/11/2006, Nataloni (rv. 235076), secondo cui la disciplina introdotta dall’art.183 e dall’allegato D) del D.Lgs. 3 aprile 2006, n.152, in conformita’ ai principi comunitari in materia, fornisce una chiara distinzione tra il concetto di rifiuto e quelli di sottoprodotto e di materia prima secondaria, così che si versa in materia di rifiuti, e non di sottoprodotti, nella ipotesi di materiale che non risulti con certezza destinato all’impiego diretto da parte dell’impresa senza dover ricorrere ad ulteriori attività di trasformazione preliminare; nella motivazione della citata sentenza si evidenzia, tra l’altro, la rilevanza in materia della Direttiva 2006/12/CE del 5 aprile 2006, in G.U. 27 aprile 2006, L. 114, nonché di Corte di Giustizia delle Comunita’ Europee, sentenza 11 novembre 2004, causa C-457/02, Niselli.
Ora, al fine di applicare tale principio al caso in esame la Corte ritiene si debba guardare alla disposizione contenuta nel comma ottavo dell’art.186 del decreto legislativo citato. Si afferma in tale disposizione che qualora si intenda procedere al riutilizzo del materiale da scavo, destinandolo ad ulteriori attività senza procedere alla sua trasformazione, il privato dovrà inoltrare una specifica, all’autorità competente (si veda il comma settimo) e che, nell’ipotesi in cui non sia possibile procedere ad un immediato reimpiego dei materiali, “il riutilizzo dovrà avvenire entro sei mesi dall’avvenuto deposito, salvo proroga su istanza motivata dell’interessato”.
Ritiene la Corte che tale disposizione fornisca un rilevante principio interpretativo cui attenersi anche in questa sede. Ed infatti, se può convenirsi con il ricorrente che una volta accumulata una ingente quantità di limo si possa porre il problema di destinarla in conformità anche alle decisioni che l’ente territoriale deve assumere in materia di pianificazione urbanistica, non vie dubbio che a far data dall’anno 2000 lo stesso ricorrente ha proceduto, come accertato dalla sentenza di merito, ad accumulare il materiale senza procedere ad una sua destinazione a reimpiego immediato e, anzi, lo abbia sistematicamente conservato in loco ben oltre il termine di sei mesi cui si e fatto cenno.
L’accumulo del limo per anni, senza un progetto di destinazione e senza il progressivo reimpiego contrasta con la lettera e le finalità della legge e ha comportato un deposito incontrollato non soggetto ad alcuna procedura di destinazione e di regolarizzazione.
Sulla base di tali considerazioni la Corte ritiene di dover respingere il ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, ai sensi dell’art.616 c.p.p..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cosi deciso in Roma il 29 Aprile 2010
DEPOSITATA IN CANCELLERIA 4 Ott. 2010