L’economia dello spazio: una introduzione

Il testo che segue è complementare al contributo Economia dello spazio sostenibile e cambiamento climatico (Link). Entrambi riproducono le lezioni tenute ad aprile da Pierluigi Ciocca e Ignazio Musu nel ciclo rivolto agli studenti delle Scuole Secondarie di secondo grado sui temi dello spazio. Il ciclo è stato promosso dalla Fondazione Leonardo con l’Accademia dei Lincei e l’Istituto Nazionale di astrofisica. ApertaContrada rinnova il suo grazie alla prof.ssa Grazia Sanna per l’aggiornamento sui profili giuridici dello spazio.

Dall’Inghilterra settecentesca della prima Rivoluzione Industriale alla odierna Cina di Xi Jinping l’economia di mercato capitalistica si è progressivamente estesa nel pianeta. Momenti importanti della sua diffusione sono stati il commercio fra le nazioni, il colonialismo, le migrazioni della forza-lavoro salariata, i movimenti dei capitali, le unioni doganali e monetarie. Il termine oggi invalso di “globalizzazione”, nonostante la sua vaghezza a-scientifica, trasmette l’idea che il capitalismo in poco più di due secoli abbia fatto suo l’intero globo terrestre.
Le attività economiche, pubbliche e private, si sono anche rivolte dal Pianeta allo spazio extraterrestre. Questo è definibile a partire dalla linea immaginaria (Linea di Kàrmàn) posta a circa 100 chilometri sul livello medio dei mari. Essa segna il limite dell’atmosfera della Terra, a quell’altezza estremamente rarefatta.
Perché l’interesse per lo spazio?
Le risposte immediate sono ovvie. Gli Stati perseguono il prestigio, la potenza, la tutela del benessere dei loro cittadini, cercano risorse divenute scarse sulla Terra. I capitalisti inseguono nuove fonti di profitto. Ma al di là di queste risposte di prima approssimazione occorre chiedersi quanti e quali mezzi vengono impegnati, a quali modalità gli Stati e i privati affidano il raggiungimento dei loro obiettivi, quali ricadute si sono avute e si prevedono per l’umanità.

Un po’ di storia
La lungimiranza dei grandi scienziati russi (Tsiolkovski, Korolev), americani (Goddard), tedeschi (Oberth) nei primi decenni del Novecento stentò a trovare udienza, e finanziamenti, presso i governi. Una eccezione fu Hitler, che volle i missili V2 per bombardare Londra. Nel dopoguerra le cose cambiarono, sulle orme dei missili della Germania sconfitta. La tecnologia aerospaziale raggiunse clamorosi traguardi nella seconda metà del Novecento.
In piena guerra fredda l’Unione Sovietica lanciò il satellite Sputnik I nell’ottobre del 1957. Gli Stati Uniti risposero con la creazione della NASA (la National Aeronautics and Space Agency) e il satellite Explorer I nel 1958. Il 12 aprile 1961 il pilota sovietico Yuri Gagarin stupì il mondo compiendo il primo volo orbitale nello spazio a bordo della capsula Vostok I.
Seguirono i lanci, da parte dell’una e dell’altra grande potenza, dei satelliti spia a uso militare, quelli meteorologici, quelli per le comunicazioni. Sonde spaziali mirarono a Marte e a Venere. Nel 1963 il presidente americano Kennedy rinnovò ai russi la proposta, rifiutata, di puntare insieme alla Luna. Alla fine gli Stati Uniti prevalsero, quando Neil Armstrong, il 20 luglio del 1969, arrivò sulla Luna con l’Apollo 11, pilotando manualmente e rischiando di non ripartire per il poco carburante rimasto.
Negli anni Settanta si affermano le stazioni spaziali, a cominciare dalla Saljut russa nel 1971 e dallo Skylab americano nel 1973. L’Europa entra in giuoco, dietro impulso francese, con l’ESA (la European Space Agency) nel 1975.
Negli anni Ottanta, lo Space Shuttle System consolida la supremazia americana. Dal 1981 al 2011 si devono a questo sistema Nasa 135 lanci di navette in orbita, con due fallimenti e 14 morti. Il costo era proibitivo, tra 500 milioni e 1,5 miliardi di dollari. Oltre agli strumenti di volo e di analisi scientifica le navette potevano ospitare a lungo fino a otto persone in un ambiente di una settantina di metri quadri. Potevano a loro volta mettere in orbita satelliti e lanciare sonde. Potevano riparare satelliti e gestire stazioni spaziali. Intervennero sul telescopio spaziale Hubble, in orbita dal 1990 e tuttora operante, nel prossimo futuro a integrazione dell’ancor più potente telescopio Webb a raggi infrarossi, lanciato nel dicembre del 2021.
Le attività spaziali si sono a lungo identificate con il settore pubblico, per ragioni di ricerca, di prestigio, militari. In un clima da guerre anche stellari fra USA e URSS, gli Stati Uniti, prima della guerra tra la Russia e l’Ucraina spendevano circa 800 miliardi di dollari per la difesa di cui 25 in commesse spaziali e il bilancio della NASA sfiora altri 25 miliardi. Solo le agenzie statali sono in grado di avviare e promuovere le attività di esplorazione e scientifiche, far avanzare le tecnologie di base, costruire le infrastrutture spaziali. Ma già nei primi anni Sessanta le potenzialità nelle comunicazioni – telefoniche, telegrafiche, di facsimili, televisive – offerte dai satelliti indussero le imprese private americane, sotto l’egida della NASA, a entrare in un nuovo mercato redditizio.
Da allora si è affermata la tendenza, che è in atto, a una crescente partecipazione degli investitori privati.
Agli inizi di questo secolo su scala mondiale gli investitori in start-up spaziali erano una decina; sulla scia di grandi imprese sono saliti a 53 nel 2010-2014, a 212 nel 2015-2019. Un solo privato – Elon Musk, forte di un patrimonio prossimo ai 300 miliardi di dollari – ha oggi in orbita centinaia di satelliti operativi.  Stanno nascendo fondi di investimento specializzati nel settore.
L’attività industriale privata dello spazio ha riguardato sia l’offerta di servizi (trasmissioni, telecomunicazioni, osservazione della Terra, etc.), sia infrastrutture fisiche (produzione di satelliti e razzi, strumenti di lancio, stazioni a terra e relative attrezzature).  Hanno influito le attese di ricavo, unite alle riduzioni di costo sollecitate dalla concorrenza attraverso economie di scala, lanci meno onerosi, satelliti e persino razzi riutilizzabili, satelliti più piccoli, nuovi carburanti.

I paesi impegnati
L’industria spaziale è ad alta specializzazione e solo poche nazioni (Stati Uniti, Russia, paesi europei dell’ESA, Giappone, Cina, India) possiedono le tecnologie, le strutture, le risorse per impegnarvisi in piena autonomia. Altri paesi devono ricorrere a questi per integrare la propria capacità produttiva. Gli Stati sono quindi in concorrenza fra loro, ma anche indotti a forme di cooperazione. Il numero di quelli in qualche modo coinvolti è in aumento.
Attualmente più di 80 nazioni hanno in orbita almeno un satellite, rispetto alle 40 di venti anni prima. I satelliti operativi da quasi mille nel 2010 sono saliti a oltre 4mila; più della metà, in molti casi americani, hanno funzioni commerciali, mentre circa 300 hanno funzioni militari. Percorrono varie orbite, a distanze dalla Terra comprese fra i 160-2000 km (Low Earth Orbit) e i 35mila km e oltre (High Earth Orbit).
L’Italia è ben situata nell’economia spaziale. E’ il terzo paese (dopo Germania e Francia) che, con 2,3 miliardi di euri, maggiormente contribuisce all’ ESA. L’ASI (l’Agenzia Spaziale Italiana), posta sotto l’alta direzione del Presidente del Consiglio, è in stretto rapporto anche con la NASA. Il fatturato spaziale italiano, espresso da 64mila addetti, è di circa 13 miliardi di euri (3,5% del totale mondiale). Nel 2015-2019 le esportazioni italiane si sono ragguagliate al 7% del totale mondiale, ponendosi al quarto posto dopo gli Stati Uniti (27%), la Francia (19%) e la Germania (8%).
In percentuale del Pil la spesa pubblica italiana per lo spazio (0,07%) è la settima al mondo – in Europa seconda solo a quella francese – ed è seconda al mondo dopo quella francese per la quota di questa stessa spesa allocata alla ricerca. All’Italia fa capo il 4% dei brevetti mondiali afferenti allo spazio e in questo l’Italia è quinta al mondo (dopo Stati Uniti 30%, Francia 19%, Giappone 16%, Cina 6%). L’Italia può vantare un indice di specializzazione tecnologica nel settore inferiore solo a quelli di Russia e Francia.
Questi dati aggregati vanno letti considerando che l’economia italiana produce meno del 2% del Pil mondiale e rappresenta meno del 3% delle esportazioni mondiali, mentre la popolazione italiana non arriva all’1% dell’umanità.
Nell’insieme la filiera italiana dell’economia spaziale appare articolata, integrata, con nicchie specializzate di medie imprese, tecnologicamente avanzata. Nel 2016 la Cabina di Regìa per lo Spazio ha affermato che “l’Italia è una delle pochissime nazioni al mondo a disporre di una filiera produttiva completa nel settore spaziale”. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede che 2,3 miliardi di euri siano devoluti a quattro aree di investimento nel settore spaziale.

L’economia dello spazio
Come il caso italiano conferma, si è quindi configurato un nuovo settore di attività, una vera e propria “economia dello spazio”, che gli economisti cercano di analizzare pur essendo spesso privi di cognizioni scientifiche e tecnologiche.
Secondo la definizione dell’OCSE (OECD, The Space Economy in Figures, Paris, 2019) “l’economia spaziale ricomprende tutte le attività e le risorse impiegate che generano valore e arrecano benefici all’umanità attraverso l’esplorazione, la conoscenza, la gestione e l’utilizzo dello spazio. Essa include tutti i soggetti, pubblici e privati, impegnati nello sviluppare, fornire e utilizzare prodotti e servizi legati allo spazio: ricerca e sviluppo, costruzione e uso delle infrastrutture spaziali (stazioni a terra, veicoli di lancio, satelliti), applicazioni derivanti dallo spazio (strumenti di navigazione, telefoni satellitari, servizi meteorologici, etc.), come pure le conoscenze scientifiche che scaturiscono da tali attività. L’economia spaziale va ben oltre il settore spaziale in senso stretto perché si estende agli impatti sempre più pervasivi e mutevoli (in quantità e qualità) dei prodotti, dei servizi e delle conoscenze che dallo spazio derivano”.

Più in dettaglio le attività, oltre alla fabbricazione di strutture spaziali e di satelliti e alla navigazione satellitare, interessano molteplici altri campi: studio della Terra e del sistema solare; astrofisica, astronomia, geofisica; meteorologia; settori industriali quali microelettronica, computers, scienza dei materiali, telecomunicazioni; persino turismo nello spazio.
Agli obiettivi di ricerca scientifica e di sicurezza nazionale si è unita una gamma crescente di applicazioni della tecnologia spaziale: alle comunicazioni, alla medicina, all’energia, agli alimentari, all’agricoltura, ai tessili. I cosiddetti spin-off, gli utilizzi derivati dalle tecnologie spaziali, sono davvero innumerevoli, entrano nell’uso quotidiano. La raccolta e trasmissione di conoscenze, informazioni, dati, segnali satellitari penetrano negli smartphone, nelle fotocamere, nei pc portatili, nei servizi di localizzazione (per metà ristoranti e pub).
Tuttavia, la prospettiva che sempre più eccita gli animal spirits dei privati disposti a investire per un profitto concerne lo sfruttamento delle risorse naturali rinvenibili nello spazio. Dalla Luna e da Marte sono estraibili alluminio, cobalto, ferro, manganese, nickel, titanio, acqua, azoto, ossigeno, carbonio, elementi chimici vari (dall’iridio al tungsteno, all’Elio-3, scarsissimo sulla Terra). Ad esempio, la domanda di mercato di alcuni di questi elementi esploderebbe se gli autoveicoli elettrici sostituissero quelli attuali, mossi da combustibili. Gli asteroidi sono piccoli e numerosissimi. La dimensione di quelli conosciuti è compresa fra centinaia di chilometri (Ceres) e due metri (il 2015 TC25) di diametro. Ma un asteroide di un chilometro pare possa fornire, oltre all’acqua, centinaia di migliaia di tonnellate di ferro, nickel, cobalto e persino tonnellate di platino.

Un settore in rapida crescita
A livello mondiale e in questa ampia accezione l’attività nello spazio è settore con un tasso di crescita fra i più alti, che nemmeno le recenti recessioni hanno abbattuto. Nel 2020 il settore fatturava 450 miliardi di dollari, con un incremento annuale del 7% dal 2009 (che ne raddoppiava il peso). Anche nell’anno del Covid la sua espansione è stata del 4,4% rispetto al 2019, mentre il Pil mondiale fletteva del 3,1%.
Sempre nel 2020 nel gruppo del G20 è stato mediamente speso per le attività spaziali lo 0,05% del bilancio pubblico. Ma la componente commerciale rappresenta l’80% dell’attività spaziale e l’impegno dei capitali privati è in rapida ascesa. Società come Astra, Lockheed, Virgin, IRDM, ROKT, UFO, ARKX hanno realizzato ottimi ricavi, profitti, dividendi, guadagni in conto capitale. Morgan Stanley prevede che il fatturato del settore salga da 450 miliardi a un trilione di dollari nel 2040. Bank of America addirittura sconta una cifra di 1,4 trilioni nel 2030.
Negli Stati Uniti l’economia spaziale, con un valore aggiunto di 109 miliardi di dollari, si è ragguagliata allo 0,5% del Pil del 2018. Il fatturato dei dieci maggiori settori produttivi statunitensi nel 2021 si è situato tra gli 1,26 trilioni di dollari dei fondi pensione e i 703 miliardi delle banche commerciali. Le assicurazioni sulla salute, le farmacie, le auto, le case di cura, le assicurazioni sulla vita, la farmaceutica, le scuole, i supermercati hanno un volume d’affari ricompreso fra quelle due cifre.
Se continuasse a espandersi ai ritmi del 2009-2020, ulteriormente raddoppiando la sua dimensione, l’industria spaziale si collocherebbe entro le prime dieci industrie americane, con un fatturato di 900 miliardi dell’ordine del 4% rispetto al prevedibile Pil degli Stati Uniti.

Gli effetti sull’economia e sulla società
La dimensione della spesa spaziale è ancora relativamente modesta, rispetto a un Pil mondiale che supera 100 trilioni di dollari. Ciò induce a ritenere che il suo sostegno alla domanda mondiale sia contenuto.
Tuttavia, già si registrano importanti effetti qualitativi e di produttività su alcuni fronti dell’economia e della società. Gli apporti principali, ma anche questioni da risolvere, sono stati da ultimo illustrati nel documento Space Economy for People, Planet and Prosperity, preparato dall’ OCSE per il “G20 Space Economy Leaders’ Meeting” di Roma del 20-21 Settembre 2021:

Profili giuridici, rischi
Le Nazioni Unite a partire dal 1957 hanno emanato trattati e fissato principi in materia spaziale. Alla base vi è la qualificazione dello spazio, della Luna e degli altri corpi celesti come res communis omnium, non come res nullius. Ampiamente recepiti da oltre cento paesi, queste norme e questi principi di diritto internazionale, insieme con le legislazioni nazionali di quegli stessi paesi, costituiscono il quadro regolamentare delle attività connesse con lo spazio.
Nel diritto e nei principi internazionali rientrano l’uso pacifico e la tutela dello spazio, oltre che dell’ambiente terrestre, la responsabilità per i danni provocati dagli oggetti spaziali, la risoluzione delle controversie, il soccorso agli astronauti, lo scambio di informazioni sui rischi spaziali, l’uso delle tecnologie legate allo spazio.
Vi rientrano altresì la nozione dello spazio come patrimonio dell’umanità, la cooperazione e la buona condotta nelle attività spaziali, la libertà di esplorazione e di utilizzo dello spazio da parte di tutte le nazioni senza discriminazioni, la non appropriabilità dello spazio.
Quest’ultimo si configura come l’aspetto cruciale, molto controverso. Si discute se ai privati sia consentito un diritto di proprietà sulle risorse estraibili da porzioni di spazio date in concessione, e se le eventuali concessioni siano di competenza degli Stati nazionali ovvero di organismi internazionali.  Il Trattato ONU sullo Spazio in vigore dal 10 Ottobre del 1967 – una vera Magna Charta del diritto spaziale – sancisce che l’esplorazione e l’utilizzazione dello spazio extra-atmosferico “saranno appannaggio dell’intera umanità” in condizioni di “libero accesso” e che lo spazio, interessando l’intera umanità, “non può formare oggetto di appropriazione nazionale”. La maggior parte della dottrina giuridica ritiene che il divieto di appropriazione si applichi sia agli Stati sia ai privati. Ma un’altra parte della dottrina sostiene che, non essendovi nel Trattato un divieto esplicito, i privati possono fare proprie, non lo spazio, ma le sue risorse a fini commerciali. Nel frattempo lo US Space Act del 2015 e leggi simili emanate da Lussemburg (2017), Emirati Arabi (2019) e da ultimo Giappone (2021) hanno previsto la possibilità di appropriazione di quelle risorse da parte di privati, previa autorizzazione da parte dei rispettivi Stati. Gli Stati Uniti hanno persino siglato accordi con quattordici altri Stati – da ultimo il Messico – per sostenere il programma spaziale commerciale Artemis della NASA (Artemis Accords).

La “corsa all’oro” per fare proprie le risorse presenti nello spazio resta da regolamentare in modo inequivocabile. L’ONU sta lavorando per porre le basi giuridiche di una soluzione che corrisponda equamente agli interessi di tutti i paesi membri.
Se non vengono distrutti prima che precipitino sulla Terra, gli asteroidi sono micidiali per l’uomo. Al tempo stesso costituiscono un immenso deposito di utilissime materie prime. Le materie prime tendenzialmente scarseggiano, perché la loro domanda aumenta e l’offerta sul Pianeta è da madre natura limitata. I loro prezzi oscillano, ma con fasi, come l’attuale, di forte incremento. Dal minimo toccato nel 2016, le loro quotazioni medie sono aumentate dell’80%, quelle dell’energia del 120%, quelle degli inputs per l’industria del 60%
Due secoli fa il sacerdote Giuseppe Piazzi, docente di calcolo sublime e astronomo in Palermo, scoprì Cerere, il primo “pianetino”. Oggi sono censite decine, se non centinaia, di migliaia di questi corpi rocciosi. Appaiono fondate già entro pochi anni le possibilità di una sorta di asteroid mining. Sia le agenzie pubbliche sia imprese private sono impegnatissime sui modi migliori di individuare, raggiungere, estrarre, trattare e far affluire sulla Terra le risorse degli asteroidi, almeno di quelli meno distanti dalla Terra.
Solo la cooperazione internazionale può prevenire il rischio più serio, rappresentato dai detriti orbitanti nello spazio e dall’inquinamento dello spazio, del cosiddetto Quarto ambiente.
Gli oggetti vaganti nello spazio – per lo più nella orbita bassa – sono centinaia di migliaia, e in aumento. Sono per lo più piccolissimi – compreso uno spazzolino da denti! – ma tutti micidiali in un urto perché viaggiano alla velocità di 17.500 miglia all’ora. Potenzialmente permarrebbero nello spazio per centinaia di anni. Le collisioni, financo a cascata (Sindrome di Kessler), entro costellazioni di satelliti, sarebbero disastrose, a cominciare dalla inutilizzabilità di preziose orbite. Le misure preventive, di mitigazione, e ancor più quelle di bonifica, di rimozione, dei detriti sono molto onerose.  Nel 2018 è abortito il tentativo dell’ONU di pervenire a direttive stringenti in materia. La Russia e altri paesi non hanno aderito. La stessa NASA è alquanto isolata, financo all’interno degli Stati Uniti, nel raccomandare che i satelliti delle costellazioni vengano ritirati dall’orbita, una volta raggiunto il loro scopo.
Altri rischi sono quelli dell’inquinamento nucleare, chimico, elettromagnetico e della bio-contaminazione tanto dei corpi celesti, quanto del pianeta Terra. Non meno seria è la minaccia insita nei satelliti dotati di armamenti anti-satellite. Russia e Cina pare vadano in questa direzione, mentre si dichiarano formalmente favorevoli a uno spazio disarmato. Il programma spaziale della Cina è molto ambizioso. Prevede, dopo l’invio del veicolo Zhurong su Marte, di raggiungere asteroidi e di inviare entro il 2029 una missione su Giove. Ma la sfida cinese ha anche una dimensione geopolitica nel rapporto con gli Stati Uniti, con la Russia, con l’Unione Europea.

Il futuro
Al di là delle attuali, positive previsioni di sviluppo dell’economia spaziale nel suo complesso, le nuove frontiere del settore sono dagli esperti identificate nella ricerca di risorse, nel trasporto, nel turismo, in un progresso di produttività legato a digitalizzazione e a innovazione.
L’innovazione si configura sia di processo sia di prodotto. Sul piano organizzativo si è arrivati a ipotizzare una sorta di space factory specializzata, capace di concentrare attività produttive oggi disperse. Quanto ai prodotti, si farà più intenso, anche ricorrendo all’intelligenza artificiale, l’uso dei ricchissimi dati satellitari, segnatamente al fine di prevenire disastri ambientali e cambiamento climatico, ma anche per specifiche finalità commerciali.
I benefici per l’intera umanità si moltiplicheranno in settori quali la vigilanza sul clima e sull’ambiente, la meteorologia, la navigazione satellitare, le comunicazioni, la telemedicina, i sistemi di allerta rapida e tanti altri ancora.
Le difficoltà, i costi e soprattutto i rischi che si configurano rendono al tempo stesso sempre più urgente un coordinamento – attraverso una istituzione internazionale dedicata, una ONU dello spazio – nella ricerca e ancor più nella regolamentazione, recepita dagli Stati al loro interno. E’urgente un equilibrio migliore fra il momento della concorrenza e il momento della cooperazione pacifica fra le nazioni in questo promettente, ma delicatissimo campo.
Il coordinamento che si richiede non sarà certo facilitato dalle tensioni geopolitiche insorte con la guerra Russia-Ucraina, che hanno già interrotto rapporti di collaborazione spaziale fra la Russia e l’Occidente.
Oltre alla guerra in sé e ai suoi effetti immediati sulle economie – inflazione, ristagno, speculazione – vanno con grande preoccupazione considerati gli effetti di lungo periodo che possono scaturire dalle risposte d’ordine economico che l’Occidente ha dato per costringere la Russia a desistere dall’invasione dell’Ucraina e arrivare a un armistizio. Queste misure consistono in autarchia, protezionismi, sanzioni, spese militari, sussidi alle imprese in difficoltà. Il problema è che, al di là delle pressioni geopolitiche da esercitare sulla Russia, queste misure rischiano di distorcere, al limite di frantumare, l’assetto delle relazioni economiche internazionali basate sulla libertà di commercio, di movimento delle merci e dei capitali.
Un regresso nella cosiddetta globalizzazione – una de-globalizzazione – avrebbe conseguenze pesanti per lo sviluppo economico mondiale e per i progressi tecnologici nello stesso campo delle attività spaziali.
Il peggior nemico delle guerre è l’economia, il libero commercio fra le nazioni.
John Stuart Mill scrisse nel 1848: “E’ impossibile sopravvalutare l’importanza (…) del porre esseri umani in contatto con persone diverse da loro e con modi di pensare e agire diversi da quelli che sono loro familiari. Il commercio è ciò che fu la guerra, la fonte principale di tale contatto”.
E Francesco Ferrara dieci anni dopo, nel 1858, esclamò ai suoi studenti: “E’ l’economia che insegnò tra popoli e popoli essere solidarietà d’interessi, che imprecò alle guerre”.
Non resta che confidare in un pronto armistizio e in una cooperazione che sventi la possibile involuzione nei rapporti economici e finanziari internazionali.

Per consultare il contributo “Economia dello spazio sostenibile e cambiamento climatico” di Ignazio Musu clicca qui
Per consultare il contributo “Estrazione e utilizzazione delle risorse spaziali a fini commerciali: Quid Juris?” di Grazia Sanna clicca qui

Bibliografia essenziale
G. Catalano Sgrosso, Diritto internazionale dello spazio, LoGisma, Firenze, 2011;
J. Gregg, The Space Economy. The Industrialization of Space, Springer, New York, 2021;
Intesa San Paolo, Spazio: nuova frontiera per economia e ricerca, a cura di Serena Fumagalli, Direzione Studi e Ricerche, Milano, Novembre 2021;
A. Maddison, L’economia mondiale dall’anno 1 al 2030. Un profilo quantitativo e macroeconomico, Pantarei, Milano, 2008;
M. Madi-O. Sokolova (eds.), Space Debris Peril. Pathways to Opportunities, CRC Press, Boca Raton, 2021;
Messeni Petruzzelli, A.-Penniello, A., Space Economy. Storia e prospettive di business, Angeli, Milano, 2019;
OECD, Space Economy for People, Planet and Prosperity, Paris, 2021;
M. Roccas, Theory and Reality of International Trade, Bocconi University Press, Milano, 2021;
G. Sanna, New space economy, ambiente, sviluppo sostenibile. Premesse al Diritto Aerospaziale dell’Economia, Giappichelli, Torino, 2021;
G. Sanna, Estrazione e utilizzazione delle risorse spaziali a fini commerciali: quid juris? in “ApertaContrada”, 21 Marzo, 2022;
A. Sommariva, The Political Economy of the Space Age: How Science and Technology Shape the Evolution of Human Society, Vernon Press, Wilmington, 2018.