L’incontro di ApertaContrada su Xenofobia e nazionalpopulismo

L’introduzione dell’Amb. Salleo ha stimolato un vivace dibattito, che ha toccato diversi temi e che è stato affrontato da più angoli prospettici.

Il capitalismo. Si è  rilevato ad esempio in questi fenomeni di xenofobia un afflato anticapitalistico, recentemente ricorrente: in questo senso il volume di Piketty, di grande successo, al di là di alcuni difetti analitici, è espressione di un anticapitalismo confuso, e si incentra sul tema della diseguaglianza, la quale però, se è cresciuta tra paesi, a livello interno è diminuita.
Nel senso della critica al capitalismo si pone anche l’attuale Pontefice: ad esempio la recente enciclica Laudato Sì non è stata apprezzata dal noto economista W. Nordhaus, il quale vi ha riscontrato una  carenza di proposte e ha criticato la mancata considerazione della possibilità di risolvere con strumenti di mercato le disfunzioni all’ambiente, ipotesi sulla quale invece vi è oggi ampia convergenza; l’enciclica è stata commentata per AC anche dall’economista cattolico Ignazio Musu il quale, pur difendendo le tesi di fondo del Pontefice, ha evidenziato come nel suo pensiero manchi un’ipotesi alternativa al capitalismo. Ci si è anche chiesti però se il capitalismo sia una forma necessaria o contingente, e sulla base di questo interrogativo si è tentato comunque di sottolineare l’importanza del pensiero del Pontefice, allorché viene posto in questione se questo capitalismo vada bene per i tempi attuali.

La globalizzazione. Anche la globalizzazione, oggetto di critica da parte di chi sostiene idee xenofobe, a ben vedere non è una novità, in quanto essa si è presentata in diverse forme anche in passato. Il punto problematico non è tanto costituito dalla critica alla globalizzazione, in quanto quest’ultima è un fatto, di cui non si può che prendere atto, ma riguarda il come governare questo processo in corso. In particolare, questa globalizzazione  mette in evidenza le debolezze del sistema attuale e, per essere regolata, richiede forze maggiori di quelle messe in campo in passato.

La crisi economica. Nell’analisi della xenofobia riveste un ruolo particolarmente importante la crisi economica: se ci si limita a guardare la situazione europea, si nota in particolare che la produttività del lavoro risulta bassa, a causa di un deficit di innovazione e ricerca. Sono evidenziabili in questo senso gravi responsabilità  in capo alla Germania, la quale dissipa il proprio avanzo di bilancio, non impiegandolo, e lasciando così che rilevanti risorse fluiscano all’estero: ci si può chiedere allora perché il surplus del 9%, non sia usato per favorire la crescita. In maniera singolare, a livello mondiale c’è un paese che contribuisce alla sicurezza più di altri, e per questo ha assunto un ruolo di leadership, gli Stati Uniti, e invece in Europa la Germania, pur contribuendo al bilancio comune più degli altri paesi, ne rifiuta la leadership, come se avesse timore che possa rendersi responsabile della rivivescenza di drammi della storia passata.

L’inadeguatezza della politica, in particolare europea. È emerso nel dibattito come la xenofobia abbia radici non solo nella crisi economica, ma anche nell’inadeguatezza delle risposte della politica ai problemi attuali: sono stati richiamati ad esempio l’incapacità di gestione della crisi siriana, in cui sono stati combattuti sia Assad che i suoi nemici, o il caso degli Emirati Arabi, ai quali è stato consentito di aiutare gli arabi in Libia contro l’ONU. La crisi economica ha così rappresentato solo la scintilla che ha mostrato l’inadeguatezza della politica, in un contesto in cui peraltro l’Europa non è un attore principale nei tavoli che si occupano della situazione in Medio Oriente. In ogni caso non è possibile immaginare politiche anche sovranazionali condotte in autonomia: anche l’intervento dell’Europa invocato dalla Francia, alla luce dell’attacco terroristico di Parigi, ex art. 42 comma 7 del Trattato, richiederà, secondo la norma, che ogni azione sia preventivamente concordata con la Nato.

La crisi dei partiti. La discussione si è soffermata anche sulla relazione tra xenofobia e movimenti cd. populisti, i quali ultimi si affermano in una cornice di crisi e della forma di partito e della forma di governo. È stato amaramente constatato che attualmente i partiti non sono altro che correnti rappresentative di interessi, ed è stata sottolineata la specificità italiana, in quanto nel paese ha pesato per decenni un blocco politico, che ha fatto sì che i partiti si ponessero come roccaforti ideologiche, laddove in altre nazioni essi sono stati maggiormente capaci di cambiamento e adattamento. È però anche emerso che si tende a dare troppa importanza ai partiti, in un quadro di supposto tramonto della democrazia parlamentare.
Ci si è però anche chiesti se la crisi dei partiti non sia invece una crisi della forma di partito. Abbiamo infatti assistito alla decomposizione dei partiti ideologici e alla costruzione di nuovi soggetti politici sul modello americano: in quel sistema i partiti sono coagulazioni che si riuniscono al momento dell’elezione, e poi si affidano a fondazioni per il dibattito pubblico. In Italia questa trasformazione, indotta in particolare dalla riforma elettorale, ha mutato in la forma di governo, e del resto il sistema maggioritario è stato adottato proprio come strumento per rafforzare l’esecutivo e l’amministrazione. In questo senso, se è vero che i candidati dei partiti opposti conquistano le primarie attingendo alle posizioni più estreme, per poi convergere verso posizioni di centro per vincere le elezioni, di fatto le politiche tendono ad essere centriste, pur se ci si rivolge agli estremi.

Il populismo. In tale contesto, la necessità di frenare possibili derive xenofobe favorite dall’appello alle posizioni più estreme si scontra con la sempre più forte tendenza a cercare voti non con delle proposte, ma con appelli demagogici.
Si è osservato come proprio la modernizzazione produca unificazione e richieda semplificazione, il che però rende concreto il rischio che tale semplificazione possa tradursi in banalizzazione; il populismo xenofobo si presenta così come una risposta viscerale ad un problema reale, causato dalla semplificazione e dalla perdita di identità. Nella stessa direzione opera anche la comunicazione, in quanto l’imperativo a comunicare con chiunque in ogni momento implica l’abbassamento della qualità della comprensione richiesta.

Tale populismo, che ha il suo fondamento ideologico nella difesa della purezza della propria tradizione, si propone come un fondamentalismo molto simile a quello che si vuole combattere. Inoltre è un fenomeno che appare investire non solo i partiti, ma anche le elite, se si pensa ad esempio alla Germania, nella quale la Corte Costituzionale o la Bundesbank rivendicano la supremazia dei principi nazionali su quelli europei.
Vi è anche chi ha mostrato disincanto riguardo alla qualificazione di alcuni movimenti politici come populisti, in quanto è sempre stato definito populista ogni avversario politico, in particolare allorché promettesse ogni sorta di beneficio in abbondanza, nell’immediato, per tutti. Dall’altro lato della medaglia, appaiono troppo bistrattati i partiti, i quali, con andamento ciclico, sono prima guardati con favore, poi con odio, e nei momenti di loro crisi con rimpianto. Il problema dei partiti era stato posto da D. Hume fin dalla metà del 700, in un contesto in cui l’elettorato attivo e passivo era estremamente esiguo, e il filosofo inglese comunque giustificava l’esistenza del partito sulla base della necessità di controllare il comportamento dei candidati dopo l’elezione. L’intermediazione del partito appare perciò ancora ineliminabile, e probabilmente a tale istituto si attribuiscono in maniera infondata troppe colpe.

Le politiche di integrazione. Si è dibattuto successivamente delle politiche di integrazione. C’è stato generale consenso sul’insuccesso e del modello di assimilazione forzata cd, alla francese (rinuncia a simboli identitari) e della creazione di nidi-isole culturali cd. all’inglese, e si è osservato come invece non si tratti di multiculturalismo. Anche il richiamato modello statunitense del cd. melting pot, è stato osservato criticamente, in quanto  gli Stati Uniti hanno risposto al problema dell’integrazione con il riconoscimento di forme di autoregolazione a diverse comunità, ma senza scalfire il mantenimento del potere in capo ai cd. WASP: l’integrazione lì è stata possibile anche perché ci sono grandi spazi, dove queste comunità si sono stanziate e sono state in fondo isolate. La Francia ha invece adottato il metodo opposto del crushing pot, con il rifiuto delle differenze, anche se il modello sembra scricchiolare nel rapporto con l’Islam: in questo senso il tema del velo è solo una questione simbolica, che sottintende un conflitto più profondo. Il modello del melting pot americano poi non è adattabile nel Regno Unito, nel quale non vi è spazio territoriale a disposizione. Un modello misto infine è stato adottato in Germania: non a caso Berlino è la seconda città turca al mondo, ma con forme di controllo che funzionano bene.
Questi problemi hanno la loro matrice nelle contraddizioni insite nel liberalismo, il quale favorisce la circolazione dei beni ma si trova nell’impossibilità di trattare allo stesso modo la circolazione delle persone, che in teoria dovrebbe viaggiare di pari passo con la prima.
In questo senso, nella prospettiva economica, è stato evidenziato che la disoccupazione in Germania è al 5%, mentre negli altri paesi europei ammonta al doppio; la Germania su 80 milioni di abitanti ha 16 milioni di immigrati; se essa continua a non favorire la crescita di Spagna, Italia, Francia, Grecia, la migrazione extracomunitaria si concentrerà in modo problematico su di essa. Non a caso, la cancelliera Merkel si è recata di recente in Turchia per promuovere un interventi economico consistente e l’ammissione della Turchia all’Unione, in cambio di una riduzione del flusso di migranti.

Le politiche da adottare. In ultima analisi, è emerso che le risposte non possono che essere cercate nell’adozione di politiche adeguate, sfuggendo alla tentazione di rispondere al panico con il panico. Questo approccio va attuato in un momento in cui è in corso una transizione dal parlamentarismo verso un sistema in cui è forte il ruolo dell’esecutivo, in consonanza con quanto accade allorché i paesi si espandono, con un correlato problema di legittimazione democratica. Comunque la politica, più volte criticata, da sola non può operare, in assenza di una categoria di intellettuali. I processi reali sono più veloci della capacità di leggerli; l’attuale elite intellettuale è inadeguata, e bisogna lavorare per ricostituirla.

Documenti correlati:
Ferdinando Salleo, Xenofobia e nazional-populismo
Luigi Cavalchini, Intervento su xenofobia e nazional-populismo
Alessandro Pajno, Intervento su xenofobia e nazional-populismo