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Recensione a  S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività, Napoli, Editoriale scientifica, 2024

di - 4 Luglio 2025
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Sommario: 1.- Presentazione: la <<nuova oggettività >>; 2.- Le soluzioni degli autori; 3.- La giustizia poetica e la visione del frammento di eternità; 4.- Due frammenti per rilanciare.

 

  1. Presentazione: la <<nuova oggettività >>.

Questo Libro è un dialogo.

Si svolge tra i due Autori e abbraccia cinque sfere: politica, digitalizzazione, sfera pubblica, solidarietà, cultura; cinque capitoli brevi ma densissimi, per gli interrogativi che aprono, per le conseguenze che scatenano. Ciascun capitolo corrisponde, secondo il lessico degli autori, a una “area tematica”, ma, lette tutte insieme, le aree rappresentano il mondo che viviamo.

Tutto il libro è un gioco reciproco di interrogativi e risposte. Da questo gioco, fitto di intrecci e di corrispondenze, viene fuori il titolo e anche il cuore del libro: la <<nuova oggettività>>.

Cosa è la nuova oggettività?

La sua apparizione è nella prima pagina del libro e la sua premessa è “la portata delle grandi trasformazioni in corso nella società e nell’amministrazione che potremmo definire con il termine nuova oggettività” [1].

La nuova oggettività è il declino del Soggetto moderno e corrisponde, simmetricamente, all’ascesa delle tecnoscienze, dell’organizzazione d’impresa, dell’economia.

Questa nuova oggettività si riversa nelle cinque aree tematiche, finendo per modificarle e dominarle. Vediamo in che modo, passando brevemente in rassegna ciascun capitolo. Alla fine di questo scritto si espongono alcune soluzioni degli autori e un paio di spunti di riflessione in più.

  1. Il declino della politica: Foà inizia osservando il “progressivo indebolimento del soggetto”, a favore di una “generale fiducia nel fenomeno dell’organizzazione”, fenomeno sorretto dalle tecno-scienze. La nuova oggettività, per l’Autore, porta a “valutazioni oggettive e misurabili”, che costituiscono la base di ogni decisione pubblica[2].

A questo si somma un altro fattore, rappresentato dal fatto che la destinazione delle risorse spetta ormai a istituzioni non statali bensì sovranazionali.

Gli effetti dei due fattori sono immediatamente visibili: le politiche pubbliche, le norme che si producono, le attività amministrative che le realizzano, sono il risultato di questa oggettivazione. Sfuggono alla politica e si alimentano quasi esclusivamente di tecnica e di economia. L’economia di mercato e le esigenze di equilibrio dei bilanci pubblici determinano la politica. Spesso, sono accompagnate da crisi pandemiche e da crisi dei mercati. Così, ci dice Foà, Scienza e Tecnica si sposano in una endiadi ancora ambigua, ma chiarissima nei suoi effetti costitutivi, specie sul diritto, perché l’endiadi porta a generare norme di “deroga” e di “settore. Donde, sul piano amministrativo, la configurazione di una nuova discrezionalità, che non è discrezionalità tecnica, bensì discrezionalità “misurabile grazie alla tecnica” (Foà).

Ne viene che la tutela dei diritti civili e sociali è solo un effetto riflesso e secondario, che si può realizzare solo se siano soddisfatte le esigenze della ripresa economica e dei bilanci pubblici. L’Amministrazione, in questo senso, è uno strumento, che garantisce prestazioni e soddisfa i diritti dei cittadini, ma solo nei limiti dei vincoli di bilancio e, dunque, con possibili “effetti escludenti” (Foà). Difatti l’Amministrazione sconta, al pari della politica, la “durezza dei processi economici”, collegata alla “fine del Soggetto moderno” (Montedoro)[3].

La fine del Soggetto moderno, aggiunge Montedoro, riflette l’impotenza e la scomparsa dei partiti; il partito, il Principe del Novecento, è in via di estinzione. Giuridicamente, per Montedoro, impotenza e scomparsa dei partiti corrispondono alla non attuazione dell’art. 49 Cost. e alla mancanza di una legge che dia corpo e vita al metodo democratico[4].

Su tutto, comunque, pesa la scomparsa del Soggetto moderno.

Cade qui in taglio una definizione, che a giusto peso Montedoro fornisce al lettore: per Soggetto moderno s’intende “individuo e collettività, capace di autonomia inclusiva nella libertà” [5]. Definizione, questa, che ci sembra importantissima e che si presta ad alcune osservazioni conclusive.

Intanto, la conseguenza immediata e visibile è la crisi dello Stato sociale e il “dominio dell’economico sul politico” [6].

 

 

2.- Digitalizzazione e AI

Il vero cuore del problema, dice Foà, è la garanzia di liceità, legittimità e correttezza. “Per me l’algoritmo resta un fatto, un mezzo, e non assurge ad atto giuridico” [7].

Montedoro risponde in termini di Logos e Téchne: l’IA non è solo una tecnica scoperta dal Logo (come il fuoco), ma una Tecnica che usa il Logos, o, meglio, è una “Téchne che è logos, senza mediazione alcuna”. È, dunque, una macchina che “crea linguaggio” e che fornisce risposte, alle quali tendiamo a dare “valore aleteico” [8]. E il diritto, che a sua volta è linguaggio, rischia di essere sostituito.

 

  1. La sfera pubblica

Il punto di partenza lo segna Foà – bisogna ricostruire una diversa “idea di autorità”, un “potere sovrano nuovo”, che sia all’altezza delle sfide che l’umanità sta affrontando: pandemia, vaccini, cambiamento climatico, ambiente salubre, energie alternative, consumo di suolo, migrazioni [9].

I fini sono tutti rispondenti, dice, a esigenze sovrastatuali della “umanità” e, quindi, alla “tutela dei diritti umani”. La tutela dei diritti fondamentali delle persone, però, non può fermarsi al diritto internazionale, ma deve costituire l’oggetto di un preciso “dovere dello Stato”, “nei confronti di tutti gli individui”, a “prescindere dalla nazionalità”. Il recupero della sovranità dovrebbe fondarsi su questi principi e fare dell’individuo un soggetto giuridico di diritto internazionale[10].

Risponde Montedoro: la visione della società e del futuro non appartiene più alla politica ma all’economia e alla tecnica; siamo al “tradimento delle funzioni simboliche dello Stato”. Donde la disaffezione, la crisi della democrazia” [11]. Non è solo pessimismo, perché Montedoro offre soluzioni, sulle quali si tornerà, nelle conclusioni.

  1. Solidarietà

La solidarietà odierna, dice Foà, è soprattutto nella comunicazione pubblica, ove assume la forma dei “diritti aletici”, ovvero: il diritto alla corretta informazione, che si costituisce quale presupposto da cui altri diritti si diramano: diritto alla conoscenza delle decisioni di governo, delle esigenze del bilancio e delle finanze, della affidabilità degli organi di governo; in fondo, sono tutti espressione dell’art. 21 Cost. e del diritto di essere informati[12].

Montedoro risponde evocando la civiltà della prossimità – una casa, una fontana, una torre, si potevano toccare e avevano un valore infinito, in cui “compassione” e “vicinanza” riguardavano persone e si potevano incontrare; donde una “etica della vicinanza” e della lontananza, che contribuiscono a una certa “integrazione morale” [13]. Anche in questo caso, gli autori offrono soluzioni, come vedremo nelle conclusioni.

  1. Cultura

Il punto di avvio- dice Foà- è quale intellettuale stia emergendo e quale giurista, fra tecnica e formazione umanistica, nel mondo globale[14].

Il giurista – risponde Montedoro- è un intellettuale che maneggia un sapere umanistico, dotato di un impatto pratico. Possiede una densità di linguaggio, una stratificazione storica, che viene dalla tradizione e dallo Stato. Il diritto pubblico – scrive- è pieno di parole la cui semantica può essere intesa compiutamente solo conoscendo storia, filosofia, sociologia, antropologia.

A garanzia e a sintesi di tutto questo, Montedoro propone la “giustizia poetica”. È una poetica del diritto e della giustizia, fondata sulla figura del poeta giudice; è così complessa che non si può riassumere e conviene rappresentarla esponendo gli elementi utili di soluzione che può offrire, nelle conclusioni.

 

  1. Le soluzioni degli Autori

Qui e là, con apparente leggerezza, gli autori fanno intravedere soluzioni, che, per le implicazioni cui si prestano, a parere di chi scrive, sembrano avere effetti formidabili. Proviamo a darne una breve esposizione, rispettando l’apparente incidentalità delle soluzioni e permettendo alcune nostre libere associazioni – per esempio, a nostro modo di vedere, politica e sfera pubblica vanno lette insieme.

Politica e sfera pubblica. Scrive Foà: bisognerebbe rivedere la categoria dei diritti finanziariamente condizionati, evitando il fallimento del servizio sanitario pubblico. Più in generale, la logica da evitare è quella di pensare che la ripresa economica venga prima della soddisfazione dei diritti soggettivi [15].

Inoltre, il principio della fiducia, con la sua ripartizione dei rischi, si potrebbe estendere. Infine, si potrebbe arrivare a un sistema che conservi solo quella specialità del diritto amministrativo che sia fondata sul vincolo della cura dell’interesse della collettività[16].

In questa ricostruzione Foà fa emergere un punto: ci vuole un “potere sovrano nuovo”, che sia all’altezza dell’umanità, delle sue sfide. Ecco, sembra questo il punto fondamentale. Preso sul serio, il principio di umanità significa che la tutela dei diritti umani non è un’esclusiva del diritto internazionale, è dovere dello Stato; e così, sostiene Foà, penetra nel diritto nazionale e rifonda la soggettività giuridica – nelle pagine successive, a proposito di solidarietà e di emigrazioni, Foà stigmatizza il fatto che il diritto di emigrare non corrisponde a un diritto all’immigrazione[17].

Un’altra conseguenza della rifondazione della sfera pubblica la trae Montedoro, usando i termini della dottrina tedesca: il diritto amministrativo è un “diritto costituzionale concretizzato” e porta l’Amministrazione a una funzione di “intermediazione necessaria”, tra interesse generale e interesse dei privati, tra interesse dello Stato e interesse delle imprese.  L’Amministrazione e il suo ordinamento, dunque, non negano il mercato, ma, dice Montedoro, al sistema occorre un capitalismo dalla vista lunga: profitti non alti, non immediati, legati alla volontà di durare.

E qui, richiamando quanto Montedoro dirà sulla rifondazione della sfera pubblica, si può aggiungere la sua visione del “mondo che viene”: fa intravedere all’orizzonte “organizzazioni imprenditoriali sovranazionali”, che potrebbero affermarsi “se sapranno farsi pubbliche (come fu nel passato per la Compagnia delle Indie)”[18].

Infine, Montedoro sente il bisogno di una “critica alla durezza dell’ordine liberista”, affinatosi con il contributo della U.E. e chiude il capitolo Politica con un auspicio: sarebbe bello che la U.E. aderisse alla Carta europea dei diritti sociali di Schutter[19].

 

 

  1. La giustizia poetica e la visione del frammento di eternità

Nel finale vi è un rimedio conclusivo, che merita un discorso a sé: è la giustizia poetica e appartiene all’ultimo capitolo, Cultura (Montedoro).

L’immagine iniziale della giustizia poetica è di Walt Withman ed è l’immagine di un fantasma che appare lungo la riva di un fiume – dice il fantasma: la Nazione dev’essere guidata non da presidenti ma da poeti. Il poeta è l’arbitro del diverso, è un giudice diverso, che, come il sole, fa vedere uomini e donne come pulviscolo e come sogni.

La novità, dice Montedoro, è che in quel fascio di sole o di pulviscolo il poeta-giudice vede uomini e donne sub specie aeternitatis: nel processo, quando giudica un Uomo, pur sentendo il suo fondo di male, il poeta- giudice vede in quell’uomo un portatore di eternità. Così il giudice può conciliare “l’universale della legge con la concretezza della vita”.  Non ignora il male (Foà), ma sa che esiste il “dovere di minimizzarlo”, sempre (Foà)[20].

 

  1. Due frammenti per rilanciare

Le soluzioni degli autori consegnano al lettore nuovi interrogativi e, qui, offrono due suggestioni, utili a rilanciare la riflessione. Sono da leggere in questi termini: se mai vi sia una chiave di lettura o di revisione della nuova oggettività, questa, sul piano generale, per chi scrive, è la visione dell’eternità dell’uomo. Questa visione di eternità, che è in ogni uomo, anche in un solo pulviscolo o frammento, consente, per chi scrive, di acquisire un effetto giuridico: fissare la persona nella tutela giurisdizionale, come efficace riflesso dell’art. 2 della Costituzione, assumendo sempre, come dice Montedoro, un riflesso di giustizia, quel riflesso per cui il giudice vede in ogni uomo il portatore di un frammento di eternità.

Questa visione potrebbe avere, tra le tante, due conseguenze.

Anzitutto, il richiamo di Montedoro al Soggetto moderno, e, quindi, la definizione di Soggetto moderno che Montedoro offre al lettore: “individuo e collettività, capace di autonomia inclusiva nella libertà”.

Colpisce l’avvicinamento di individuo e collettività, e di autonomia e libertà, quasi a fondersi nella parola finale che chiude la formula: “inclusiva”. Tutti i termini della formula non sono certo in contrapposizione, ma in comunione. E’ questa, forse, la formula di una nuova soggettività giuridica?

Il soggetto giuridico, dunque, nella sua definizione, non è isolato, non è uno ma è molteplice ?

E, quindi, la definizione della soggettività giuridica evoca la vita dell’individuo nella società, dell’uno nell’altra?

E’ una rilettura possibile dell’ordinamento giuridico, delle sue nuove anime essenziali, il pluralismo, la relatività, la tolleranza ?

Secondo frammento, che deriva dal primo- dal Soggetto all’umanità il passo è immediato: si tratta del richiamo di Foà al nuovo potere sovrano, fondato sulle esigenze dell’Umanità. Sembra un richiamo potente, quasi una rifondazione dell’ordinamento, e trae con sé il suo immediato corollario, che sembra valere ancor di più: i diritti dell’uomo non sono solo del diritto internazionale, ma, dice Foà, appartengono anche al diritto nazionale e si costituiscono in doveri dello Stato.

Tutto questo fa pensare a una conseguenza: non è forse il caso di abbandonare quella giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ritiene che le norme della Carta europea dei diritti dell’Uomo, a differenza delle norme U.E., non sono immediatamente azionabili nel nostro ordinamento, in quanto norme di diritto internazionale ?

Forse la giurisdizione amministrativa dimentica l’art. 11 della Costituzione ?

E, in particolare, dimentica il principio per cui la Repubblica riconosce gli ordinamenti che promuovono pace e giustizia fra i popoli ?

In questa luce, conclusivamente, molto, quasi tutto, è nel vedere cosa resta e cosa si modifica dell’idea di tutela della persona, come riflesso di un frammento di eternità, nella visione di un giudice-poeta. Viene in mente Esiodo, che, già sul piano storico, Le opere e i giorni, ricordava il fatto che i primi interpreti della riflessione morale furono i legislatori e i poeti; e questo perché i legislatori e i poeti – ci spiega Robin nella sua Storia del pensiero greco- sono capaci di cogliere le esigenze più immediate e profonde della vita comune – si tratta di fatti che parlano all’intelligenza dell’Uomo e sono opera dello spirito, nella storia[21].

In conclusione: dell’idea di Uomo l’ordinamento giuridico non può fare a meno, se la memoria dell’ordinamento ha ancora un futuro. Il problema che si apre è intendere cosa resta e cosa cambia nella stessa eternità dell’uomo – per dirla con Mallarmé: Tel qu’en lui-même enfin l’éternité le change.

 

 

[1] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 15.

 

[2]

[3] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 26.

 

[4] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 19.

 

[5] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 19.

[6] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 22.

[7] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 30.

[8] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 33.

[9] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 43.

[10] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 48.

[11] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 55.

[12] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 61-62.

[13] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 66-67.

[14] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 73.

[15] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 22.

[16] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 22.

[17] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 67.

[18] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 54.

[19] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 26.

[20] S. FOA’, G. MONTEDORO, Dialogo sulla nuova oggettività … cit., 68

[21] Cfr. L. ROBIN, Storia del pensiero greco, Einaudi, 1951, 4 ed., 2.


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