Simone Boccardi, Pietrabbondante. I rinvenimenti numismatici dalle campagne di scavo 1959-2019, Giorgio Bretschneider Editore, Roma, 2023.
Colpisce il rigore scientifico con cui in questo libro si riferisce dei rinvenimenti monetari nell’antica Safìnim. Di fronte alle 1920 monete accumulatesi a Pietrabbondante nel volgere di secoli si può riproporre quanto gli economisti hanno detto della moneta in generale e si possono avanzare ipotesi suscitate dalla lettura del libro.
Sulla scia primi Ottocento di David Ricardo ed Henry Thornton la teoria della moneta ha seguito due linee solo in parte convergenti.
Una prima linea lega Marx, Schumpeter, Keynes. La primazia logica viene attribuita alla funzione di conto, essenziale per valutare i valori relativi delle risorse raccolte o prodotte. La primazia storica della funzione di conto è stata riscontrata da un numismatico come Philip Grierson. Una volta usata per calcolare, una moneta che riscuote fiducia, spontanea o derivata da un potere, è domandata, tesoreggiata, per poi acquistare, sdebitarsi, investire, quindi pagare nell’immediato o in futuro.
La seconda linea – Menger, Jevons – muove dal superamento della doppia coincidenza dei bisogni negli scambi, quindi del baratto. La funzione di pagamento è considerata originaria e vi sono riconnesse in forma, misura e sequenze varie le altre funzioni della moneta. Sul piano teorico e storico rinvio al miglio libro che conosco in materia (J. Melitz, Primitive and Modern Money. An Interdisciplinary Approach, Addison-Wesley, Reading, Mass., 1974).
Aderire all’una ovvero all’altra impostazione non è irrilevante, né per lo storico né forse per il numismatico.
Allo stato delle attuali conoscenze, prescindendo da Cina e India, nell’area mediterranea si continua a ipotizzare che la moneta coniata sia nata inTurchia, attorno allo scorcio del settimo secolo a.C. . Si sarebbe poi estesa dalla Lidia alla Grecia nel sesto-quinto secolo; a Roma, con ritardo, non prima del quarto secolo; quindi alla Spagna, via Roma, nel terzo secolo.
Dallo studio di Boccardi non risulta che, a differenza di qualche altro centro sannitico, a Pietrabbondante si fondesse o coniasse moneta, sebbene il santuario fosse importante centro religioso e politico. Risalenti e distribuite nei secoli le monete ivi reperite sono per il 10% del totale greche e pre-romane, campane, apule, tarantine; poi per un terzo romane repubblicane; da ultimo per metà romane imperiali. Monete delle colonie greche vi compaiono già tra la fine del V e gli inizi del IV secolo, ben prima delle guerre puniche, come aveva ipotizzato Crawford. Pezzi di aes grave repubblicano emergono intorno alla metà del III secolo, dopo le guerre perse dai sanniti contro i romani. Sebbene i sanniti siano stati più spesso in guerre con i romani – culminate nel 91-88 a.C. con la sconfitta della Lega Italica – la creazione del denarius nello scorcio del III secolo si riflette nell’accumulo di monete di Roma presso di loro, specie intorno alla seconda guerra punica. Successivamente anche a Pietrabbondante si conferma come la moneta imperiale, circolando nell’intera area mediterranea, si sia venuta a configurare come una sorta di euro del tempo, a cambio fisso con le divise locali. Secondo Rotondi, Lo Cascio, Vinci alla lex Cornelia nummaria di Silla dell’82 a.C. fecero seguito i richiami della ratio di tutela della moneta statale attribuiti a Costantino, o a Costanzo (343 d.C.). Sino alla vigilia della caduta dell’impero sembra che si imponesse al creditore il potere legale liberatorio della buona moneta con severe sanzioni per chi non la accettasse in pagamento.
Le attestazioni monetarie di Pietrabbondante sostanzialmente cessano nell’intorno del 346, l’anno del terremoto che distrusse il luogo, anche se è riemerso un piccolo bronzo della Bisanzio di fine V secolo.
I nuovi dati, di grande interesse, forniti da Boccardi suscitano più di una questione d’ordine economico.
Se il tempio e poi l’erario non coniavano, la moneta vi arrivava da chi a propria volta giungeva ad acquisirla e a detenerla. I Pentri erano allevatori di montagna e, in minor misura, agricoltori di collina e pianura. C’era, fra loro una primitiva divisione del lavoro, anche se nell’uso delle scarse risorse di una terra povera l’autoconsumo – riparo, cibo, vestiario, armi – doveva essere prevalente. I Pentri intrattenevano risalenti rapporti con le colonie greche d’Italia. Possiamo immaginarli, coperti di lana e di pelli, condurre le greggi in Puglia lungo i tratturi – vere autostrade già allora – probabilmente scambiando pecore con moneta locale. Anche i contatti con la Campania consentivano di offrire beni e manovalanza, civile e militare.
Come i Sanniti in genere, i Pentri erano temibili guerrieri. Saccheggiavano moneta come bottino. Erano altresì pagati con moneta da chi li assoldava, compresi Pirro nel (280-275 a.C.) e gli stessi romani contro Annibale, che distrusse Pietrabbondante, devastò il Sannio, ma dovette conoscere a proprie spese la valentia militare dei sanniti.
I Pentri accettavano le monete altrui. E a Pietrabbondante ciò avveniva nell’assenza di un potere statale che lo imponesse, come invece secondo Mommsen, riletto e apprezzato da Marcello de Cecco, avveniva a Roma.
L’afflusso al santuario e all’erario della moneta pervenuta al singolo per quelle vie poteva avvenire come offerta per il servizio religioso o come tributo alla amministrazione delle due strutture. Quindi santuario ed erario detenevano moneta. Lo facevano per far fronte alle loro necessità e spese di gestione, quindi per pagare chi rendeva prestazioni di lavoro, nella manutenzione degli edifici pubblici e nella costruzione di fortificazioni. Il libro di Boccardi mostra come le attività economiche e la circolazione monetaria presso quelle genti si siano spesso correlate con vicende belliche.
L’ultimo commento è forse il principale e si collega ai filoni di teoria monetaria richiamati all’inizio. I due filoni sono accomunati dal principio secondo cui l’accettazione della moneta e il suo impiego costituiscono un passaggio cruciale nella civilizzazione degli uomini riuniti in gruppi coesi. La moneta tocca tutti, ciascuno nel rapporto con gli altri. Non può definirsi comunità un insieme di esseri umani che non ricorrano a un mezzo accettato quanto meno per contare, confrontare, prezzare le risorse di cui possono disporre. A questo collante sociale i sanniti sono pervenuti relativamente presto, persino rispetto a Roma. Anche attraverso gli usi monetari fu grazie al contatto con le colonie greche che i pastori e guerrieri del Sannio vennero portati “da un livello protostorico ad un grado di civiltà pari a quello dei centri del mondo greco, fino alle più alte conquiste della civiltà arcaica” (M. Pallottino, Storia della prima Italia, Rusconi, Milano, 1984, pp. 80-81).